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Mappa 4. La posizione di Xinzhucun, tra le città di Judian e Ludian (si veda il sito: Google Maps).

2. Riti e narrazioni tradizional

2.4 Le lotte di Ts’ò con gli Shu

Il progenitore maschile del genere umano, Ts’ò, protagonista del mito precedente, e Shushuzi degli Shu, gli Spiriti della Natura, sarebbero fratelli per metà, entrambi figli di Lazhou’ee-asee (padre Lazhou’ee)124. In principio, piante, animali e spazi erano un tutt’uno, ed essi li suddivisero

amichevolmente: al primo sarebbe toccato il dominio su quelli domestici, al secondo su quelli selvatici. Ma appena tutto fu stabilito, i due iniziarono ad oltrepassare i confini dell’altro. Secondo la versione di Mu Lichun, fu il grande Nabu, appartenente alla famiglia degli Shu, a desiderre di separare la propria famiglia (fenjia) da quella dei fratelli umani. Tanto fece e tanto urlò che perfino gli spiriti degli antenati spaventati «Iniziarono a radunare i propri oggetti per traslocare» (Mu 2006: 93,

121 Mi riferisco in particolare ai due pittogrammi Naxi legati ai matrimoni a cui si è fatto riferimento nel capitolo

precedente, in cui il Ssú della sposa viene legato alla casa del marito.

122 Credo che le due visioni siano del tutto conciliabili, dal momento che prendono corpo a partire delle stesse

narrazioni mitiche. Mentre i Ssù sarebbero per lo più incontrollabili, come vedremo in seguito, i Ssú sarebbero gestiti dalle persone attraverso la ritualità quotidiana e domestica, mettendo nelle mani degli uomini il dominio sulla sfera degli elementi domestici.

123 Farò qui riferimento alle traduzioni che ho fatto a partire della versione inglese riportata da McKhann (2017:

388-390) e da quella cinese riportata da Mu (2006: 93-99).

124 Secondo la versione di Mu Lichun, la madre del primo sarebbe la Terra, quella del secondo il Mare (Mu 2006:

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traduzione mia). Il padre lo accontentò, e divise la superficie terrestre in due parti. Incontentabile, Nabu voleva sempre di più. Scaturì una guerra tra uomini e Natura, che lasciò entrambi tramortiti e privi di forze. Secondo la versione di McKhann, fu invece Ts’ò ad oltrepassare il confine, coltivando e pascolando in alta montagna, cacciando con i cani e pescando nei fiumiciattoli, prosciugando laghi e tagliando alberi, inquinando le fonti d’acqua con il sangue dei loro animali e sporcando altri luoghi dove gli Shu vivevano. Gli uomini non avevano mai abbastanza, così Ts’ò e Shushuzi combatterono, finchè non si raggiunse una forma di equilibrio.

Anche nel mito dunque si può notare un’associazione tra l’uomo e gli elementi domestici e tra gli Shu e gli elementi naturali o selvatici. Si tratta degli stessi che aveva partorito la dea dagli occhi verticali di cui si era invaghito Ts’ò nella narrazione precedente. L’uso che l’uomo fa di queste entità è illegittimo, e viene descritto come inquinante. L’intimità di uomini e Shu è riflessa nel loro ritratto come mezzi fratelli, inclusa la loro reciproca dipendenza e le tensioni tipiche di un rapporto di parentela stretta. Tradizionalmente, si riteneva che la pace era raggiunta nel mondo quando i due stessero in pace, senza invadere uno il domini dell’altro. Questo in passato era adempiuto tramite l’usanza di compiere riti di offerta nei confronti degli Shu in tre diverse occasioni: una cerimonia formale nei primi giorni del secondo mese dell’anno lunare, che aveva luogo coinvolgendo i membri di ogni famiglia125; in caso di malattia, sintomo del fatto che uno Shu avesse rubato l’anima all’ammalato mentre questo si aggirava nei pressi della fonte d’acqua o dell’abitazione dello spirito; dopo disastri naturali, come alluvioni, incendi, frane o terremoti, attribuiti agli Shu come punizione per lo sconfinamento dell’uomo nei propri domini (cacciando, tagliando alberi, pascolando greggi). Dal momento che questi crimini si ripetevano e ripetono inevitabilmente all’infinito, altrettanto continuativa è la necessità di placare gli offesi Shu. Come affermava Rock riguardo al rito che si è visto in precedenza, si tratta dunque di nuovo di un rapporto fondato su uno scambio ineguale tra natura, che fornisce sussistenza e si impegna a non recare danni, e l’uomo, che in compenso delle proprie trasgressioni sacrifica simbolicamente degli animali in favore delle forze selvagge (McKhann 2017: 388).

Ma è su questa base di pensiero che si fondava la serie di regole comportamentali relative al trattamento dell’ambiente naturale. Queste, da un lato, prevedevano che si utilizzassero le risorse naturali in modo discreto, senza eccedere nel consumo di nulla, e che ogni volta che si volesse sottrarre un bene agli Shu glielo si richiedesse con la promessa che li si ricompenserà con generosità

125 Si tratta di un rituale, denominato Shu Ggv, che attualmente, benché nei villaggi Naxi dello Yunnan

settentrionale non sia frequentemente praticato, sulla scia di quell’arbitrario accostamento delle etnie della zona con tendenze ecologiste, sta ricevendo una grande attenzione mediatica e talvolta è addirittura praticato all’estero, in musei dedicati alla “cultura dongba” in Svizzera o negli USA (McKhann 2017: 391-392).

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al momento del rito di offerta. Dall’altro lato, comportavano un grande rispetto nei confronti degli elementi naturali, quali montagne, foreste, fonti, corsi e bacini d’acqua. Per esempio, nell’acqua non si poteva nemmeno starnutire, perchè sarebbe stato irriguardoso. Nessuno, nemmeno i bambini, potevano bagnarsi nelle fonti d’acqua, o ci sarebbe stato da aspettarsi una sorta di malocchio da parte dell’ente naturale disturbato o ignorato, che avrebbe recato sventura alla persona o alla famiglia. Gli elementi naturali, dai più semplici e non contraddistinti da segni particolari (come i rigagnoli), ai più particolari nella forma (come certe rocce), ai più possenti ed antichi (come i vecchi alberi, le secolari colline), in questa particolare forma di religiosità sembrano essere delle sorte di dimore delle entità soprannaturali126. Ricordano appieno quanto afferma Mircea Eliade a proposito delle rocce in quanto ierofanie del sacro: secondo l’autore, il senso del sacro delle persone verrebbe “pietrificato”, espresso attraverso la roccia (1996). Per i Naxi, lo stesso sarebbe accaduto innanzi ai diversi elementi naturali che popolano il loro paesaggio. Queste pratiche e credenze sono ora ignorate dalla quasi totalità delle persone. Il ricordo di questa modalità di approccio all’ambiente, però, attraverso le insistenti narrazioni dei membri più anziani della comunità, si sono tramandate fino ai giovani d’oggi, a cui, benché un riscontro effettivo non si noti, sono state insegnate per filo e per segno durante le lunghe serate invernali trascorse accanto al focolare.