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Mappa 4. La posizione di Xinzhucun, tra le città di Judian e Ludian (si veda il sito: Google Maps).

1. Contesto storico e politico

1.4 I Naxi di Lijiang

1.4.3 Rettificazione dei nomi ed autenticità

La prima classificazione delle etnie minoritarie in Cina avvenne durante il periodo maoista, e fu dovuto al tentativo, tuttora in vigore, di esercitare un maggior controllo ed inglobare completamente i vari gruppi etnici per uniformarli al resto della popolazione, secondo il modello sovietico. Si può dire che gli sforzi governativi furono informati a una sorta di applicazione del principio confuciano della “rettificazione dei nomi” (Scarpari 2010), secondo il quale l’importanza non starebbe tanto nella corrispondenza dei nomi a categorie reali ma nel rispetto della convenzione che prende corpo nel creare arbitrariamente delle differenze (McKhann 1998: 24). Gli etnografi inviati dal governo cinese presero a modello una definizione di cultura come entità astorica ben definita, ed i criteri che essi tentarono di applicare per distinguere un’etnia dall’altra furono quelli dettati da Stalin per definire una nazione: comunanza di lingua, territorio, vita economica, e carattere psicologico (risultante in specifici tratti culturali). A questi si aggiunsero principi ispirati ad un pensiero che doveva essere scientifico, quello di Lewis Henry Morgan, che li portò a suddividere le etnie della zona in diversi gradini evolutivi secondo il principio, sempre confuciano, ormai ben noto, che vede i cinesi Han come portatori di civiltà e gli “Altri” come barbari20. Questo principio sottende

18 Si veda: Chao (2012: 19-48); il sincretismo dei culti Naxi è molto evidente anche in Mueggler (1991, 2001). 19 Per una dettagliata trattazione degli avvenimenti storici riguardanti la Cina moderna e contemporanea, si veda:

Samarani (2008).

20 Questo discorso si è, a parere di McKhann, tramesso dalla Cina imperiale allo Stato socialista, che vede ora

opposti gli avanzati Han delle grandi città e i retrogradi Han delle campagne, o i contadini appartenenti alle minoranze. L’autore sottolinea anche il rischio in cui si incorre di ricorrere a simili radicali dicotomie nello svolgere studi etnografici in Cina, come spesso accade a ricercatori desiderosi di mostrare le imposizioni attuate sulle periferie (in qualsiasi senso le si considerino) dal centro del potere politico cinese, che è di origine Han: un discorso che radicalizza l’opposizione delle cinquantacinque minoranze contro quella Han è ugualmente sbagliato, dal momento che queste culture ormai da secoli si compenetrano (McKhann 1998: 23-24). Si confronti con: Mueggler (2001) e Chao (2012: 55-65).

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tutt’ora molte linee di ricerca sulle cosiddette “etnie minoritarie”, e porta ad una preoccupante diffusione di idee riguardo alle etnie come intrinsecamente retrograde anche se dipinte come “tradizionali”, “oneste” e “ospitali”. A queste caratteristiche, come si vedrà a breve, si è in anni recenti aggiunta quella della coscienza ecologica. Questi concetti sono penetrati così a fondo da cambiare il modo in cui gli appartenenti a questi gruppi spesso parlano riferendosi a se stessi, in lingua cinese: ad esempio, la parola comunemente in uso non è “cultura” (文化 wenhua), ma “usi e costumi” (风俗 习惯 fengsu xiguan) (McKhann 1998: 23-25). Siamo pienamente nell’ambito descritto da pensatori come Jean-Loup Amselle, che descrive lungamente gli svariati modi in cui il dare nomi e creare categorie secondo le quali concepire il mondo, sono azioni politiche, e prevedono l’esercizio di potere da parte di chi li sceglie (1999)21. Lo Stato, desideroso di imporre la propria visione della storia e la concezione che la popolazione ha delle etnie (inclusa la loro idea su se stesse), attua un processo che Charles McKhann definisce “folklorization”, in cui impone su esse i loro stessi tratti culturali. Le autorità hanno dunque spinto verso un condensamento di veri o presunti tratti culturali etnici per poi venderli ai turisti sia domestici che esterni al paese, dando contemporaneamente l’impressione di starsi occupando della protezione della diversità delle “minoranze” all’interno dei propri confini. L’immagine che la Cina avrebbe voluto proiettare di sé all’estero voleva essere quella di un modello di armonia multi-etnica. La difficoltà di attuare concretamente la suddivisione portò negli anni a continui rimaneggiamenti, in parte dovuti a incertezze tra gli studiosi ed in parte a rivendicazioni delle etnie stesse, fino ad arrivare all’odierno panorama di cinquantacinque gruppi in totale, dei quali venticinque vivrebbero nello Yunnan.

Da che essi fecero la propria comparsa nei testi storiografici ufficiali dell’impero cinese, i gruppi etnici residenti nello Yunnan settentrionale vennero definiti Moso (il termine correntemente in uso è 摩梭 Mosuo). Negli anni della Repubblica alcune differenze all’interno di questo gruppo iniziarono ad emergere, e negli anni ‘50, si cercò con enormi difficoltà di mettere mano all’enorme variabilità di tratti culturali della zona. Pur considerando uno solo dei quattro principi di Stalin, quello linguistico, non si riuscì a catalogare la grandissima varietà di sottodialetti presenti sul territorio, pregni di prestiti linguistici; la situazione fu inoltre complicata da fatto che spesso i locali erano in grado di parlare dai tre ai cinque dialetti della zona. Il nome venne dapprima cambiato in Naxi, per via delle rivendicazioni della porzione numericamente maggioritaria che costituiva questo gruppo dai confini incerti. Ad oggi, si contano ufficialmente diversi sottogruppi, tra cui, oltre ai Naxi, figurano i Mosuo, i Rerkua (o Ruanke) (软克族 Ruankezu), i Meng (蒙族 Mengzu), ecc. Il confine che li

21 Si veda anche Fabietti (2013).

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distingue dalle confinanti etnie denominate Yi, Lisu, Pumi, come si è più volte visto, è sottile (Hsu 1998: 10, 67; McKhann 1998: 27).

Si è dunque sviluppata una sorta di classificazione di vari gruppi etnici dai confini netti, in cui si è attribuita ad ognuno una determinata serie di stili di vita, usi e costumi, canzoni popolari ed abiti tipici, una sorta di etichettamento di tradizioni specifiche cristallizzate nella forma della “cultura materiale”, perfetta per essere raccolta ed esposta nelle sale di un museo o fotografata, commentata e racchiusa nelle pagine di volantino turistico o di un sussidiario scolastico. Il governo è infatti intervenuto in questi anni in diversi modi, dei quali i principali riguardano l’esposizione di “prodotti culturali” locali in musei ed eventi (come spettacoli di musica o danze “tradizionali”22), attività che

fomenta l’industria di riproduzione della cultura materiale locale (o semplicemente “etnica”23), e una

campagna di sensibilizzazione di bambini ed adulti riguardo alla propria appartenenza ad una “minoranza”, e di cosa questo comporterebbe in termini di usi e costumi. Ad oggi, la capillarità di tale tendenza delle politiche statali è riscontrabile anche parlando con i locali di zone periferiche. Ad esempio, mi è stato mostrato da una ragazzina di Xinzhucun, che frequenta le scuole medie, un piccolo libricino fornitole dalla scuola che elencava le etnie cinesi; mentre ne sfogliava le pagine, mi ha chiesto quale fosse a mio parere la più bella, e mi ha indicato quella che piaceva di più a lei, nello stesso modo in cui da bambina guardavo con le amiche album di figurine per scegliere la principessa o il Pokemon preferito. Altrettanto significativamente, una ragazza della mia età che, guardando le immagini che mi ero procurata per elicitare reazioni in merito alla propria appartenenza al gruppo etnico così come esso è mostrato dall’industria turistica di Lijiang, era solita scherzare dicendo ironicamente: «Noi non siamo Naxi abbastanza», aveva una forte passione per gli abiti tradizionali delle etnie cinesi. Passava molto tempo davanti al suo cellulare su siti di compravendita online, a cercarne uno dal prezzo accettabile, e la sua passione erano i costumi tibetani. Ai matrimoni, suscitava la delizia di tutti vestendosi da capo a piedi in “abiti tradizionali Naxi”24, con scarpette rosse, gonna

al polpaccio, camicetta bianca, un largo e spesso grembiule tenuto in vita da un’alta cintura, e un copricapo decorato ai lati con una serie di stelle, simboleggianti la laboriosità delle donne, già sveglie prima del sorgere del sole (fig. 4).

22 Un buon esempio è rappresentato da quel tripudio di bellezze esotiche pubblicizzate in uno dei primi volantini

in cui mi sono imbattuta una volta atterrata a Lijiang, relativo ad uno spettacolo complessivo di danze delle etnie dello Yunnan.

23 Riferendosi con questo termine a qualsiasi oggetto desueto, o dalla forma inconsueta, o molto colorato, o

recante fantasie geometriche o immagini di donne (e uomini) abbigliati con veli multicolori.

24 Da quanto emerge da foto ed etnografie sui gruppi etnici della zona, sembrerebbe che il costume tipico

consistesse in calde pelli di capra sovrapposte agli abiti da lavoro (McKhan, Rock, Oppitz 1998). È rilevante il fatto che, purchè la simbologia dei presunti vestiti tradizionali come sono creati oggi sia davvero un’invenzione recente (Hobsbawm e Ranger 1983, Fabietti 2013), sia stata enfatizzata la laboriosità come qualità prevalente della donna Naxi.

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La modernità ormai si diffonde a vista d’occhio in quasi ogni area della superficie della Cina, creando similitudini più che differenze; quello che è o era il panorama autentico della variabilità etnica della zona rimane dunque in ombra, mentre gli abitanti di queste zone, nonostante spesso lottino per un riconoscimento ufficiale di quella che ritengono essere la propria appartenenza etnica, rimangono per lo più al di fuori di queste discussioni accademiche o politiche riguardo alla propria appartenenza etnica (Solinger 1977)25.

Un aspetto importante del processo di folklorization, è l’associazione che viene compiuta tra etnia e religione. Nel 1981 venne fondato a Lijiang il Dongba Cultural Research Institute, che si occupa di trascrivere tutte le conoscenze tradizionali del popolo Naxi prima che gli esperti rituali scompaiano dal bacino. Contemporaneamente, venne coniato il termine “cultura dongba”. I dongba erano delle figure che si potrebbero accostare esperti rituali. Attraverso le loro performance collettive, guarivano membri dei villaggi e mantenevano pacifico il rapporto tra il mondo umano e quello spirituale. Facilmente individuabili, accostabili a preti o monaci buddhisti e dotati di un corredo di

25 D’altra parte, come è risaputo, le libertà dei cittadini sotto il “soft power” applicato dal governo cinese

contemporaneo non possono andare oltre un certo limite: per quanto riguarda le minoranze etniche, nell’articolo 4 del primo capitolo della Costituzione della Repubblica Popolare Cinese del 2004 si afferma: «Discrimination against and oppression of any nationality are prohibited; any act which undermines the unity of the nationalities or instigates division is prohibited» (si veda il sito: The National People’s Congress of the People’s Republic of China), non lasciando equivoci sul fatto che certi diritti dovrebbero essere protetti dallo Stato, certi, come l’appartenenza ed il riconoscimento della nazione, non si possono nemmeno mettere in discussione.

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oggetti rituali, tra i quali i preziosi manoscritti pittografici, i dongba erano perfetti per attuare un’operazione di folklorization sul Naxi (la sorte in questo caso fu avversa ai sanba, o sainii, più simili a sciamani, le cui pratiche non erano adeguate ai principi che, a parere degli esperti statali, non contraddistinguerebbero una religione) (McKhann 2017: 83). Il nome di queste figure tipiche delle culture di questa zona venne dunque utilizzato come emblema dell’identità del gruppo etnico, indice dell’intero insieme di tratti categorizzabili come tipicamente Naxi. In realtà, il loro stile di vita contemporaneo è stato delineato poco sopra, ed è un’appendice diretta di quanto è stato detto a proposito dei luoghi in cui essi dimorano26. La composizione della popolazione urbana di Lijiang è estremamente varia ed eterogenea, e comprende ormai tanto i Naxi, che rimangono la maggioranza, quanto persone appartenenti ad altre etnie, tra le quali forse quella Han è prevalente. Tra gli aspetti della cultura contemporanea di coloro che si possono in modo leggermente controverso classificare come Naxi, vi è l’esaltazione più o meno spinta o sentita della “cultura dongba” in quanto presunta propria cultura, tanto antica quanto attuale. Oltre a questo, si è forzato un aspetto della religiosità tradizionale Naxi, quello che vedeva uomini e natura come un tutt’uno, e lo si è enfatizzato a dismisura fino ad associare l’etnia Naxi, e quasi l’idea stessa di nativo e di “minoranza etnica”, con una spontanea coscienza ecologica e delle innate tendenze ambientaliste. Si tratta di un’idea molto apprezzata dagli amanti del turismo etnico, che vanno ormai in cerca di un’original ecological culture (原生态文化 yuan shengtai wenhua) e che a Lijiang si aspettano di assistere a performance degli “eco-guru” dongba in rituali ecologici come lo Shu Ggv, il rito di Sacrificio agli Spiriti Shu della montagna (McKhann 2017: 384-385). Queste concezioni non hanno riscontri in quelle native. Si potrebbe dire, come solitamente affermato dagli esperti del Dongba Cultural Research Institute, che l’autentica cultura dei Naxi si è mantenuta quasi intatta nei villaggi più remoti, dispersi fra le montagne. Di certo questi paesi hanno subito molto meno l’influsso della cultura apportato dal governo cinese. Indicativo è però stato il riscontrare che spesso gli abitanti di simili luoghi non hanno idea di cosa sia la “cultura” dongba (Chao 2012: 49-81, McKhann 1998: 26).

Parlare di “tradizione” in questo contesto, ed in particolare di tradizione “Naxi”, è a dir poco confusivo. Ad oggi, gli studiosi delle etnie dello Yunnan settentrionale, certo non adiuvati dai lavori di colleghi che lavorano in stretta collaborazione con il governo per le sue esigenze classificatorie, hanno difficoltà a comprendere l’origine delle più svariate pratiche sociali e religiose riscontrabili nella zona (Hsu 1998: 9-13, McKhann 1998: 24). Il panorama contemporaneo in questa area è dunque estremamente variegato. In prossimità dei centri turistici, la popolazione locale, nella speranza di

26 Credo infatti che fosse importante contestualizzare il mio studio di campo focalizzandomi sui luoghi, dal

grande al piccolo, per rendere l’idea di quanto a caratterizzare i nuovi tratti della “cultura” locale siano i posti più che differenze culturali pregresse e variamente categorizzabili.

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ottenere condizioni di vita migliori, aderisce alle logiche del mercato e adatta la propria identità di facciata proprio a questo fine. Altrove, dove non si sente questa necessità, la realtà della distruzione delle differenze culturali attuate sui gruppi etnici vissuti nell’impero e poi nello Stato cinese è altrettanto tangibile, in modo diverso. Le percezioni delle persone sul paesaggio27, sulla composizione e struttura sociale della propria comunità, del genere e delle proprie priorità mutano congiuntamente al mutare del contesto in cui vivono. Xinzhucun, al di fuori delle rotte turistiche del turismo etnico delle nuove Città antiche di Lijiang e Dali, e del turismo naturalistico della Montagna nevosa Meili (美丽雪山 Meili xueshan) o della Gola del Salto della Tigre (虎跳峡 Hutiaoxia) (fig. 5), è un caso indicativo delle modalità di trasmissione, modifica o perdita di quelle che erano le abitudini ed i modi di vivere ed abitare lo spazio che per lunghi secoli si sono attuate in quelle valli e che con una buona approssimazione di possono definire Naxi.