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Mappa 4. La posizione di Xinzhucun, tra le città di Judian e Ludian (si veda il sito: Google Maps).

2. Riti e narrazioni tradizional

2.1 Migrati dal lontano nord

La prima narrazione, è invece strettamente legata al rito funerario. Al giorno d’oggi, i riti funerari in stile Han che prevedono la sepoltura in cimiteri, spesso accompagnati da pratiche geomantiche (风水 fengshui) 106, hanno sostituito quasi del tutto e in quasi ogni zona quelli Naxi, che

106 Gli elementi che denotano il passaggio, oltre ovviamente alla conformazione dei cimiteri e delle tombe, volte

al culto degli antenati nella modalità in cui viene praticato dai cinesi Han, sono numerosi. Per citarne uno, il colore bianco associato dagli Han alla morte, sarebbe stato invece un colore beneaugurale presso i Naxi (Hsu 1998: 9-11, 18), che però oggi lo impiegano abbondantemente nei loro riti funerari. A proposito di fengshui, un giorno, per esempio, mi ero recata al calar del sole con uno dei miei principali interlocutori a visitare il cimitero di un personaggio eminente del villaggio. Tornati, il ragazzo è stato apostrofato da un amico se non avesse avuto paura di recarsi in un luogo simile, con una donna, e per di più con la luce calante: si sarebbe trattato di un pericoloso eccesso di energia oscura o femminile “阴 yin”. Sullo stesso principio, l’antico cimitero (poi smantellato dalle Guardie Rosse) era reputato contenere una grande energia positiva “阳 yang”, e si reputava che le famiglie che avevano un vicino antenato sepolto lì dovessero avere la strada spianata in futuro.

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prevedevano la cremazione e l’avviamento dell’anima del defunto sulla sua strada ancestrale (McKhann 1998: 43)107. Nonostante le decorazioni dello spazio rituale e la destinazione finale del

corpo del defunto siano determinati da credenze Han e molti elementi del culto come veniva anticamente praticato si siano persi, non si può però ignorare la densità di particolari e la presenza di intere sezioni che si possono ascrivere a precedenti usanze Naxi. Faccio riferimento per esempio alla presenza di rami di piante come il pino e il ginepro (qui, secondo l’opinione di Xu Zhang, simbolo del dio della vita della famiglia e degli antenati), la lampada “eterna”, che servirà come luce per seguire la via verso la terra degli antenati (verrà spenta in un gesto da tutti considerato drammatico, accostabile alla dipartita dell’anima dal cortile di casa), o un uovo in una ciotola, con il significato del ritorno alle proprie origini (in riferimento al suddetto viaggio) (Zhang 1998: 127-138); alla composizione del gruppo di persone che seppelliscono la bara: nove se il defunto è di sesso maschile, sette se il defunto è di sesso femminile, per richiamare un ulteriore mito sull’origine delle prima comunità Naxi; e infine alla presenza di un dongba, che di fatto dirige la cerimonia in tutto e per tutto, trascorrendo lunghe ore a cantilenare lunghi manoscritti che indubbiamente con i classici cinesi hanno poco a che fare. Uno degli elementi in comune che legava molti dei gruppi etnici del Nord-ovest dello Yunnan con origini tibeto-birmane (Yi, Lisu, Pumi, Mosuo, Naxi, ecc.), era la credenza che l’anima di una persona, per riposare in pace dopo la morte, dovesse viaggiare lungo un percorso ben definito verso il posto dove risiedono gli antenati (Yû-ndsù-bpó-lû-k’ô (He e He 1998: 139)). Queste strade, che variano a seconda delle storie migratorie specifiche dei diversi lignaggi, sono descritte in dettaglio nei testi conservati dagli esperti rituali di ogni famiglia e vengono cantati dai preti dongba durante rituali ciclici e legati alla vita delle persone. Nel caso dei Naxi, come si è visto, che questi documenti traccino un percorso del tutto simile a quelli che si ricavano dalla storiografia cinese Han a proposito della migrazione del proto-gruppo etnico Qiang, da qualche parte al distante Nord: la terra dove risiederebbero gli antenati coinciderebbe dunque a grandi linee con il Sichuan occidentale. Le sequenze di nomi o descrizioni di luoghi sono scritte e lette in ordine cronologicamente invertito, in modo che l’anima viaggi dal qui/ora al là/allora e diventano via via più sfocate allontanandosi nel tempo e nello spazio (McKhann 1998: 29-30). Tuttavia, il luogo di origine dei propri antenati è rimasto un punto fermo nel panorama cosmologico dei Naxi, tanto da venire reiterato con parole e gesti durante i riti e incastonato nella conformazione stessa di alcune costruzioni: per esempio, nella cerimonia di Propiziazione del Cielo, si sacrifica il maiale mentre questo ha il viso rivolto a nord, e i vari terreni rituali sono situati a nord del villaggio, dal momento che questo è associato alla sacra direzione da cui provennero gli antenati, al luogo dove abitano gli dei e a cui le anime devono fare ritorno (Rock 1998: 182). In questo gruppo etnico si è dunque sempre fatta un’associazione tra lo

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spazio geografico e il tempo ancestrale (e mitico), che si può far risalire a un tipo di geografia sacra che è simultaneamente una storia del gruppo e dei suoi vari rami (McKhann 1998: 43).

2.2. La discesa di Ts’ò

La seconda narrazione che prenderò in considerazione, è strettamente legata al rito di Propiziazione del Cielo108. A parere di Rock, si tratta del più antico dei rituali Naxi, tramandatosi fin dai tempi in cui essi abitavano le praterie del Tibet nord-orientale109. Prima degli anni ’50, si trattava di evento rituale calendaristico praticato due volte all’anno: in corrispondenza del picco della stagione delle piogge, per ringraziare la Terra per la rigogliosa vegetazione concessa, e in corrispondenza del picco della stagione secca (il primo mese dell’anno lunare), per implorare il Cielo di concedere un nuovo ciclo di abbondanza110. Oltre al ringraziamento per quanto era stato concesso, si trattava quindi di una richiesta agli dei di fertilità e prosperità per l’anno a seguire. Il rito era praticato in gruppi cerimoniali la cui composizione si può fare all’incirca risalire all’appartenenza allo stesso “osso”, allo stesso patrilignaggio o “ts’ò’ô” (persone dell’osso), o a più di un ramo familiare con un antenato in comune, che quindi possedevano un terreno cerimoniale condiviso, solitamente collocato in corrispondenza di antichi alberi di pino, ginepro o quercia che non potevano essere tagliati (Rock 1998: 182, McKhann 1998: 31,44)111. Ciò che è certo è che la casa/famiglia era l’unità basica che restava unita in tutti i gruppi cerimoniali (Rock 1998: 174-175). Gli oggetti che vengono collocati sull’altare, che sono esattamente gli stessi impiegati per la cerimonia che ho descritto sopra, hanno un’origine precisa, a cui sono stati sovrapposti nuovi significati: ceste piene di riso, ciotole per le offerte, e piccoli fasci di incensi sono collocati di fronte a pietre bianche triangolari, denominate ndù-

lvᶺ, ossia “le pietre del dio creatore Ndù”, in passato utilizzate come supporti per eseguire sacrifici;

queste venivano a loro volta appoggiate ai tre rami112, gli effettivi destinatari delle offerte, gli “alberi-

dei”: quello di sinistra (di quercia) rappresentava la Terra, quello di destra (ancora di quercia) il Cielo, e quello centrale (di ginepro) l’imperatore, figura del mediatore dell’uomo tra Terra e Cielo di chiara influenza Han. Questa spiegazione del significato degli alberi politica ed orientata sullo Stato si sovrapponeva ad un’altra, in cui i tre protagonisti sarebbero il Cielo, la Terra, e il fratello della Terra.

108 In lingua Naxi, Muân bpò’ (Hsu, McKhann, Rock 1998) oppure Mee Biuq (McKhann 2017). 109 Si confronti con: Tian (2007).

110 A parere di McKhann, non vi sarebbero invece occorrenze in cui i Naxi celebrano le proprie divinità (2017:

391-394).

111 Abitudine accostabile a quanto avviene oggi per il culto degli antenati in stile Han, sia per quanto riguarda la

composizione del gruppo di persone, che per quanto concerne la proprietà condivisa di un appezzamento terreno volto alla celebrazione di riti.

112 Si tratta generalmente di rami di Quercus muehlenbergii (quercia gialla) o di Quercus semecarpifolia, e di Juniperus squamatus (Rock 1998: 179).

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La leggenda a proposito dell’origine di questa cerimonia, cantata ogni volta che la si esegue, narra della discesa (dal cielo) del progenitore del genere umano113, Ts’ò (o Coq)114, scampato

all’alluvione scatenata dagli dei a seguito dell’unione dei suoi fratelli e sorelle, atto illegittimo che aveva “inquinato” la terra. Sospinto dalle acque fin nel cielo, egli ebbe dei rapporti sessuali con due dee sorelle, figlie celesti di padre Cielo e madre Terra115, che gli erano per diversi motivi proibite. Dall’unione con la prima dea, dall’aspetto bellissimo e sovrumano (i suoi occhi erano verticali), nacquero scimmie, orsi, serpenti, alberi e un’altra serie di esseri “selvaggi”. La seconda, di bellezza meno palese ma molto capace (i suoi occhi erano normalmente orizzontali), chiamata Ts’á’-khù-bû- bù-mí116, era promessa in sposa a Muân-zô-K’ô-lô-zô, comandante delle celesti truppe del male, figlio del fratello di sua madre, Muân-zô-K’ò-khì-k’ô-lô-ngv-szî117, com’era consuetudine. Quando Ts’ò riuscì a prendere la ragazza con sé e a portarla sulla terra, scatenò la furia di ben due “ossa” celesti: la famiglia del padre e quella dello zio di Ts’á’-khù-bû-bù-mí, sconvolti uno per aver perso la figlia e l’altro per aver ceduto la sorella (la Terra) ma perso una futura moglie. Ts’ò ben presto si accorse che la moglie non poteva avere figli, e decise di tornare in Cielo per chiedere ai genitori acquisiti cosa potesse fare per pacificare le divinità: tornò sulla terra con una descrizione dettagliata della cerimonia di Propiziazione del Cielo. Una volta che ebbe eseguito le istruzioni, riuscì ad avere con la moglie tre figli e tre figlie. Ma i bambini nacquero disabili: fu così che Ts’ò ricordò di avere dimenticato di includere nell’adorazione rituale la famiglia Muân-zô. Per circuire la loro rabbia e prevenire i disastri che essi desideravano scatenare sulla terra, in mezzo ai due rami di quercia rappresentanti i genitori della moglie celeste di Ts’ò, venne inserito un ramo di ginepro per ricordare il terzo “osso” coinvolto, ed aggiunto il paletto sorreggente l’uovo. Ts’á’-khù-bû-bù-mí riuscì così a partorire tre figli, che rispettivamente diedero origine alle stirpi dei Tibetani, dei Naxi e dei Bai, ossia all’”intera” varietà degli esseri umani.

In questo modo, il compenso restituito dall’uomo si avvicina ad un inganno: invece che cedere una moglie, viene sacrificato un maiale in favore delle divinità, nascondendo dalla loro vista (ossia dal terreno rituale) tutte le ragazze in età da marito, riservandole per alleanze tra i suoi simili. Al rituale di Propiziazione del Cielo, infatti, le donne non potevano partecipare (Rock 1998: 175-178). Il rito, com’era praticato prima degli anni ’50, avveniva all’incirca secondo le modalità che ho

113 Per quanto riguarda i nomi dei personaggi farò riferimento alle versioni che ne forniscono, da una parte, Hsu,

McKhann, Rock (1998) e dall’altra McKhann (2017: 394). Nonostante ad oggi sia in uso la seconda serie, lascio nel testo i nomi della prima, dal momento qui se ne trova un numero maggiore.

114 T’sò-zâ’-llú’-ghû’gh, abbreviato in Ts’ò (Hsu, McKhann, Rock 1998), oppure Coqssei’leel’ee, abbreviato in

Coq (McKhann 2017).

115 I cui nomi sarebbero rispettivamente Dzî-là-à’-p’û e Ts’á-khù’-à’-dzî (Rock 1998).

116 Ts’á’-khù-bû-bù-mí (Hsu, McKhann, Rock 1998), oppure Ceilhee-bbubeq (McKhann 2017).

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descritto sopra. Mentre i partecipanti cantavano o litaniano storie sulle migrazioni di Ts’ò, sulle sue vicende familiari e ringraziano gli dei, venivano fatte le offerte, spruzzando d’alcol e appendendo pezzi di carne ai rami degli alberi-dei, versando sangue sulle pietre nd’ù-lv^, ed inondandole dei profumi del cibo cotto. Finito il rituale, ad ognuna delle famiglie partecipanti veniva regalato un rametto di ognuno dei tre alberi-dei, affinché lo appendessero sulla cima del pilastro portante delle loro case o dietro all’immagine degli Spiriti del Focolare della stanza centrale. Rock riporta come rientrando al villaggio si ripetesse in continuazione il nome di un’antica famiglia Naxi, Wuâ-dshó

khò, forse la prima a compiere il rituale Muân bpò’, o in alternativa si esclamasse «Lunga vita

all’imperatore!», in un perfetto miscuglio di influenze cinesi su uno sfondo tibeto-birmano118 (Rock

1998: 187).

McKhann, con uno sguardo incentrato sulle dinamiche sociali messe in scena, attribuisce la pratica all’espressione di una questione inerente ai rapporti tra patrilignaggi: il Cielo qui rappresenterebbe l’”osso” che cede mogli al gruppo che sta eseguendo il rito, e la problematica a cui si fa riferimento è la trasgressione del modello matrimoniale del matrimonio tra cugini incrociati per via patrilineare e il debito che consegue all’acquisizione di una moglie da parte di un gruppo familiare con cui non si è già relazionati per via di scambi precedenti (McKhann 1998: 31). La relazione tra l’uomo e dei celesti sono così perpetuate come uno scambio di ricompense ineguali (Rock 1998: 176).

2.3 I Ssù e i Ssú

La terza narrazione tradizionale, simile letteralmente e tematicamente alla precedente, ci fornisce un nuovo punto di vista sulle interazioni degli esseri umani con le forze soprannaturali. Al fine di comprenderla, è indispensabile fare una premessa sulle concezioni cosmologiche tradizionali Naxi. Secondo queste, come avviene in diverse altre etnie di origini tibeto-birmane, natura e cultura sarebbero intrinsecamente unite. I testi rituali dongba119 parlano nostalgicamente di un lontano passato in cui gli alberi potevano camminare e le rocce parlare. Elementi geografici e naturali, come montagne, laghi, fiumi, torrenti, e fonti d’acqua (specialmente le sorgenti), erano associate a delle forze soprannaturali, una vasta classe di divinità territoriali ctonie, montane o genericamente naturali, chiamate collettivamente Ssù o Shu120, che avevano a seconda delle circostanze un’influenza benefica o dannosa sugli esseri umani. Esse erano infatti collegate con i disastri naturali, con le malattie e con

118 Sull’origine tibeto-birmana di questo culto, derivante dal proto-gruppo etnico Qiang, si veda Rock: 1998: 174. 119 McKhann fa riferimento al Coq Bber Tv (2017: 384).

120 Ssù (Yang 1998) e Shu (McKhann 2017) sono entrambi nomi collettivi che fanno contemporaneamente

riferimento ad ognuna di queste divinità. Sono entrambe traslitterazioni del termine Naxi, e il secondo è identico alla pronuncia cinese (术).

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la fertilità naturale ed umana. Dipinti come esseri dalla coda di serpente e dal torso umano, essi avevano il dominio sulla sfera degli elementi naturali o selvatici (McKhann 2017: 82-88). Di contro, infuse di presenze soprannaturali come spiriti, demoni e divinità e legate agli elementi materiali che costituiscono la loro vita quotidiana, le antiche credenze Naxi prevedevano la presenza di particolari divinità della vita Ssú legate ad ogni individuo di pertinenza della sfera umana: le persone, gli animali domestici, il bestiame e le coltivazioni nei campi. Si trattava sempre di spiriti fortemente ancorati ad un luogo, che questa volta era la casa, il focolare domestico; avevano dimora in un piccolo cesto intrecciato, pieno di oggetti simbolici, solitamente appoggiato sul tempietto degli dei o appeso sul pilastro centrale della sala centrale di una casa Naxi. Loro compito, in comunione con gli Spiriti del Focolare, era mantenere pace tra i membri della famiglia, legati tra loro tramite vincoli di sangue e legati al focolare come piccoli fili attorno ad un perno121; durante un matrimonio o alla morte, era necessario aiutare gli spiriti dei vivi a staccarsi da quello della ragazza che lasciava casa o del defunto, affinché ognuno prendesse la propria strada (Yang 1998: 189-207). Similmente, sarebbero gli uomini ad avere la responsabilità di gestire animali, piante e spazi (per esempio, fattorie e campi) appartenenti alla sfera degli elementi domestici122. In questo modo, un sistema binario che vede opposti Shu ed uomini è imposto su tutto il mondo. Questa visione è perfettamente riflessa nella narrazione tradizionale che li vede protagonisti.