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Mappa 4. La posizione di Xinzhucun, tra le città di Judian e Ludian (si veda il sito: Google Maps).

3. Politiche governative

3.2 Protezione ambientale

Come si è già visto, il Nord-ovest Yunnan venne riconosciuto come “hotspot globale di biodiversità” dalla WWF e dalla IUCN nel 1997 e l’area dei tre fiumi paralleli divenne area protetta dall’UNESCO nel 2003. Dato il suo alto valore di conservazione per quanto riguarda la diversità sia biologica che culturale, la regione ha da allora ricevuto l’attenzione di molte organizzazioni internazionali e, in seguito all’urgenza di intervento messa in luce da alcuni disastri naturali accaduti sul territorio nazionale, la protezione dell’ambiente naturale divenne infine oggetto di politiche statali.

A seguito di una rovinosa alluvione del fiume Changjiang nel 1998, il valore delle foreste naturali come protezione dai disastri naturali iniziò ad essere via via maggiormente riconosciuto dal governo. Dopo il lungo periodo di sfruttamento, il governo virò le proprie politiche mirando alla conservazione dell’ambiente. Inizialmente, si rivolse alle patiche dei gruppi etnici locali, con il loro stile di vita e le loro tecniche tradizionali di coltivazione, come se fossero i principali responsabili del degrado ambientale. A partire dal 1999, con l’annuncio dello “Sloping Land Conversion Program” o “Grain for Green”, queste tecniche vennero bandite o rese futili (data la scarsa produttività economica) dal governo locale, in nome della protezione ambientale (Wilkes et al. 2010). Questo tipo di sistema agricolo prevedeva la coltivazione di diverse varietà di prodotti in appezzamenti corrispondenti alle

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zone di foresta primaria. L’impatto sull’ambiente non era invasivo; anzi, erano previsti periodi di astensione dall’attività agricola in cui alla foresta era dato il tempo di rigenerarsi, e l’agrobiodiversità non faceva che trarne giovamento. Inoltre, il consumo di questi prodotti era considerata un’abitudine salutare presso i vari gruppi etnici che lo praticavano. Con l’intervento del governo, dal momento che non potevano più sostentarsi come avevano sempre fatto, i contadini non poterono fare altro che convertire i campi disponibili in coltivazioni ad alto reddito, portando ad una generale perdita di abitudini culturalmente specifiche, legate all’ambiente, che a ben vedere contribuivano contemporaneamente a mantenere intatta la biodiversità (Wilkes e Xu 2004; Wilkes et al. 2010). Vennero poi istituiti una serie di limiti sulle attività praticabili sul territorio e un intensivo sistema di riserve naturali strettamente regolate in tutto lo Yunnan, all’interno delle quali è vietato cacciare e raccogliere sia legname che qualsiasi altro tipo di prodotto forestale. Questa soluzione creò diversi inconvenienti. Per esempio, per quanto riguarda l’allevamento, in numerose località dove questa attività ha radici antiche, si erano trovati modi per permettere al suolo dei pascoli e alla vegetazione che li ricopre di rigenerarsi. A causa di alcuni divieti statali, come quello di accedere alle riserve per far pascolare gli animali, o quello di bruciare il terreno (pratica che, associata ad altri procedimenti, secondo quando è depositato nel sapere ecologico nativo, aiuterebbe a renderlo fertile), si ebbe nuovamente una grande perdita di specie vegetali, che fino ad oggi non sono più riuscite a rigenerarsi; le mandrie sono confinate in ristrette porzioni di terreno, che vengono eccessivamente sfruttate e che rapidamente diventano inutilizzabili44. Una delle questioni che derivano direttamente dalle politiche statali sui limiti di accesso alle risorse in vista della protezione della biodiversità e sulla proprietà di terreni e foreste, riguarda l’equità di questo tipo di misura. Infatti, mentre le foreste statali erano state convertite in aree protette, una seconda fase di Forest Tenure Reforms portò ad una sempre maggiore privatizzazione delle aree forestali che precedentemente erano collettive. Questo porta tuttora gli abitanti dei villaggi a competere per il possesso di zone più ricche di risorse rispetto ad altre, e in un ambiente così diversificato e che è stato a lungo proprietà collettiva, non è facile imporre confini netti. In molti casi gli abitanti stessi favoriscono un sistema di proprietà collettiva, almeno delle foreste, in modo che almeno siano il caso e la bravura a determinare la fortuna dei raccoglitori, garantendo una certa forma di equità, irraggiungibile impiegando altri sistemi (Wilkes e Xu 2004; Wilkes et al. 2009). Nel 1999 venne promulgato il National Forest Protection Program: in tutto il Nord-ovest dello Yunnan è da allora imposto un divieto sul disboscamento e sulla raccolta di legname nelle foreste naturali, che prevede un limite nel volume di legname che può essere ricavato in ogni area. Dal momento che il consumo delle popolazioni locali è diversificato a seconda delle proprie peculiari

44 Si vedano: Mikesell e Xu (2003), Litzinger (2004), Wilkes e Xu (2004), Wilkes et al. (2005, 2009, 2010), Xu

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abitudini culturali e dalle caratteristiche geografiche e climatiche della zona, la quantità di legna concessa ad ogni area è diversa: per gli alti villaggi montani della prefettura di Diqing, essa è sicuramente maggiore che per i villaggi situati sull’argine del fiume Jinsha, ad un’altitudine inferiore di migliaia di metri. Contemporaneamente, si è incoraggiata la conversione di una porzione di terreno agricolo in foresta: lo Stato sta da anni tentando di riparare ai danni piantando alberi nelle aree maggiormente a rischio, ma scegliendo di seminare una sola specie in aree estese. I casi studiati dimostrano che questo piano non ha portato benefici, dal momento che le specie vegetali piantate non hanno ricostituito la ricchezza di biodiversità che caratterizzava queste zone in precedenza (Wilkes e Xu 2004).

Oltre ai diversi tipi di problematiche qui descritte, ne persiste una legata all’effettiva applicazione delle norme statali. Infatti, una delle prime risposte da parte della popolazione rurale fu l’utilizzo illegale delle risorse. La mancanza di regolamenti di proprietà chiari, o della capacità di renderli effettivi ha portato a risultati molto negativi: spesso si eccede nell’utilizzo di legname, o si manca nei propri doveri di piantare nuovi alberi per riforestare. Il sistema a cui si è ricorso negli ultimi anni, prevede l’appello sia ad enti statali come il China State Forestry Bureau, che ad ufficiali governativi a livello di prefettura. Le agenzie governative locali sono incaricate di mediare con le esigenze degli abitanti dei villaggi, ma spesso non sono che un tramite per tentativi di imposizione delle nuove norme statali e centri di diffusione delle nuove tecnologie. Dato che la tendenza recente è di dare maggior peso alle diversità locali per quanto riguarda questioni di scarso rilievo nazionale, un’istituzione ormai immancabile è il comitato di comunità, un collettivo costituito dai rappresentanti dei villaggi. Spesso l’implementazione delle norme meno cruciali viene affidata a questi gruppi informali, con risultati incerti (Wilkes e Xu 2004).

La piantumazione delle foreste a monocoltura da parte dello Stato, la coltivazione di cash crops e la conversione dei terreni in pascoli da parte di contadini e pastori, hanno contribuito, dopo questo lungo periodo di eccessiva raccolta di legname, alla soppressione della naturale rigenerazione delle foreste. Queste norme hanno inoltre avuto un impatto negativo sulla popolazione rurale, dal momento che improvvisamente è stato loro impedito di accedere ad una varietà di risorse naturali che erano fino ad allora state parte del loro stile di vita ed essenziali per il loro benessere. Il governo locale spera che i sussidi concessi alle famiglie più danneggiate possano concedere loro il tempo di trovare una strada all’interno della nuova economia di mercato, e che l’aumentare del volume del turismo nella zona possa compensare le grandi perdite. L’impoverimento della stessa biodiversità che dichiara di voler proteggere, e la non indifferente influenza distruttiva sulla diversità culturale e sullo stesso benessere degli appartenenti ai gruppi etnici locali che questo tipo di politica ha provocato

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nello Yunnan degli ultimi decenni, è dunque più che evidente. Non si può affermare né che il governo stia attualmente promuovendo politiche volutamente avverse alla conservazione ambientale o al benessere delle popolazioni locali45, né che queste non siano in grado di gestire il proprio ambiente

in modo consono. Ma la mescolanza delle condizioni preesistenti e il susseguirsi delle politiche locali e statali nel Nord-ovest dello Yunnan hanno portato ad una situazione in cui chi conosce davvero il territorio è stato privato di voce in capitolo; apparentemente, a decidere è una forza superiore con poca consapevolezza in merito alla specificità dei paesaggi naturali e contemporaneamente culturali, con i loro delicati equilibri, che si trova a dover gestire. Questo ha recato danni sia al preziosissimo patrimonio biologico dell’area sia al benessere e agli stili di vita dei gruppi etnici che vi abitano46.

Per porre un argine a questa situazione, sono recentemente intervenuti centri di ricerca, agenzie ed ONG nazionali ed internazionali. Queste associazioni partono dal presupposto che lo sviluppo di interventi statali utili per il mantenimento della biodiversità e contemporaneamente equi nei confronti delle popolazioni locali richieda una strategia politica che leghi cultura e natura come un insieme olistico ed integrato, e che dia voce e diritti prioritari ai gruppi etnici che vi abitano. L’accento è sempre posto, da questi progetti di ricerca ed intervento, sulla necessità di gettare luce sulle varie caratteristiche del territorio e sui diversi stili di vita delle etnie, in modo che non si applichino norme senza aver considerato quali potrebbero essere le conseguenze diversificate a livello locale. È, per esempio, da segnalare l’intervento dell’agenzia The Nature Conservancy, che in collaborazione con il governo provinciale dello Yunnan sta creando progetti come lo Yunnan Great Rivers Project per la protezione sia dell’ecosistema di questa zona che del benessere delle etnie che vi risiedono. L’ONG Center for Biodiversity and Indigenous Knowledge sta similarmente contribuendo ad un dialogo tra la popolazione ed i governi locali in modo che si creino soluzioni convenienti per entrambi, sulla base di rilevamenti ed analisi scientifiche dei processi sociali e biologici in corso nell’area. Un ruolo particolare è rivestito dal Yunnan Three Parallel Rivers Management Bureau, il corpo di coordinazione dell’Area protetta dei tre fiumi paralleli, che ha le sedi principali nelle tre prefetture di Diqing, Nujiang e Lijiang ed uffici rappresentativi in più di venti province. L’area protetta è divisa in diverse zone, ciascuna delle quali è regolata da leggi di conservazione leggermente diverse sia a livello nazionale che locale (sono incluse, per esempio, le riserve naturali). La maggioranza dei fondi viene versata ogni anno dallo Stato, sia per quanto

45 A questo proposito, il già citato articolo 4 del primo capitolo della Costituzione della Repubblica Popolare

cinese del 2004, afferma esplicitamente «All Nationalities in the People’s Republic of China are equal. The State protects the lawful rights and interests of the minority nationalities and upholds and develops a relationship of equality, unity and mutual assistance among all of China’s nationalities» (http://www.npc.gov.cn/englishnpc/Constitution/2007- 11/15/content_1372963.htm consultato il 14/06/2018).

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riguarda lo sviluppo dei progetti volti alla protezione del territorio che per le esigenze quotidiane che la gestione comporta47. Non è però da ignorare il fatto che spesso queste organizzazioni non agiscano

sulla base di principi e fini condivisi con i locali, e per quanto il loro scopo sia di andare incontro alle loro esigenze finiscono per scegliere oggetti o per applicare modalità di protezione che rientrano nelle proprie concezioni del mondo. A partire dalle prime missioni cristiane fino a progetti di salvaguardia di ecosistemi o culture moderni e contemporanei, ovunque nel mondo, simili casi non mancano48. Possiamo dunque concludere questa sezione con le parole di Julie Cruikshank:

The nature we are most likely to hear about in the early twenty-first century is increasingly represented as marvelous but endangered, pristine or biodiverse. Such depictions make it more difficult to hear or appreciate different points of view. Environmental politics and what Descola (1992) calls “scientific naturalism” have so normalized our understanding of what “nature” means that we can no longer imagine how other stories might be significant. As claims and counterclaims made in nature’s name proliferate, local knowledge shifts its shape, with sentient and social spaces transformed to measurable commodities called “lands” and “resources”. Indigenous peoples then face double exclusion, initially by colonial processes that expropriate land and now by neocolonial discourses that reformulate their ideas (Cruikshank 2012: 63).