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Mappa 4. La posizione di Xinzhucun, tra le città di Judian e Ludian (si veda il sito: Google Maps).

9. Sentirsi a casa o in famiglia

1.1 Uomo e paesaggio

Questo capitolo fa riferimento all’ambito disciplinare dell’antropologia del paesaggio. Vorrei ora fornire una definizione di ciò che intendo per “paesaggio” sulla base della prospettiva ecologica che ho adottato in questo studio. Questo approccio si oppone ad una visione tipica del mondo occidentale secondo cui, sulla stregua delle coppie oppositive che si sono viste nell’introduzione, il paesaggio sarebbe un oggetto staccato dal proprio osservatore, e per di più uno sfondo passivo che fornisce inerte materia prima e sul quale si stagliano i monumenti dell’intelletto umano, pensati e costruiti secondo un design; questo sarebbe il caso in cui, utilizzando il termine inglese, in un

landscape, “land” corrisponderebbe alla sostanza materiale e “scape” alla forma astratta. Su questi

panorami inerti sarebbe poi applicata, o “fatta galleggiare”, la cultura. Sulla base del coinvolgimento degli esseri umani in quanto organismi e il mondo di cui fanno parte, si può considerare un dato paesaggio in un dato momento come il prodotto cumulativo di tutte le attività condotte in lunghi periodi dagli infiniti elementi costituenti l’ecosistema del luogo (non solo dagli uomini), ciascuno dei quali è parimenti inserito nel continuo processo di creazione della vita (Ingold 2012: 203-205). Ingold

Fig.10. L’impiego degli aghi di pino nella trasformazione di un luogo da comune a sacro. A sinistra, lo si

vede sparso su un altare domestico e sul tavolo rituale in occasione di un matrimonio; A destre, lo si vede sparso sul tavolo e incendiato a terra durante il rito di Sacrificio a Dingba Shiluo, e nell’incavo all’ingresso della scuola dongba. Xinzhucun. Fotografia: L. Spinelli (2018).

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mette in luce le necessità di dare la priorità, piuttosto che ad una relazione ottica tra mente e mondo, che prevede un netto distacco tra i due, ad un coinvolgimento aptico «Of a mind that sews itself into the land long the pathways of sensory involvement» (Ingold 2012: 205). Similmente, Christopher Tilley sostiene che i paesaggi non vadano considerati come sistemi di segni, o come testi da interpretare, ma come agenti, e che sarebbe invece necessario concentrarsi su come i paesaggi siano sperimentati in modo sinestesico attraverso il corpo (Tilley 2012), e Griet Scheldeman afferma: «We smell, feel, listen, touch, get wet, walk, fall over, get back up, think, remember and improvise. This is how we get to know and see our world» (Scheldeman 2012: 34). Possiamo dunque definire il paesaggio in questo modo:

The landscapes described in this book are sometimes picturesque and certainly infused by social and cultural processes, but for us they are defined by neither of these. Instead they go beyond land to involve the relations between people, animals and plants – ultimately between beings and ways of being – in a variety of locales. People tell stories, hold to aesthetic values and engage in political activity through their relationships to land […] (Árnason et al. 2012).

Si tratta dunque di una componente fondamentale della vita delle persone e delle comunità, che ha direttamente a che fare con il loro passato, sia con le loro presenti modalità di essere-nel-mondo e con l’insieme delle loro pratiche routinizzate, sia con i loro tentativi di migliorare le proprie condizioni di vita e con la trasmissione di insegnamenti alle future generazioni. Come afferma Andrew Whitehouse:

Landscapes beg questions: Why is it like this? How should it be? What can I do here? What does it mean to me? These are questions that concern the past in which the landscape has emerged, the present in which people find themselves and the future, with its possibilities and dangers» (Whitehouse 2012: 161).

Parlare di paesaggio significa dunque nuovamente concentrarsi sulla dimensione dell’abitare, essendone il fulcro: il territorio può diventare paesaggio in relazione ad attività mondane di sussistenza e percorsi di viaggio, rappresentando ideologie e relazioni di potere, o venendo appreso come sacro (Ray 2012: 139). Ogni giorno siamo in pieno coinvolgimento somatico con il nostro ambiente, e si può dire che l’abitare fonde insieme passato, presente e futuro attraverso la corporalità del nostro organismo (Tilley 2012: 21). Esso è parte di noi tanto quanto noi siamo parte di lui: è in questo contesto che le persone vedono, interpretano, sentono e narrano il paesaggio (Ingold 2000: 191).

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L’antropologia del paesaggio si occupa di investigare, in una modalità fenomenologica, come le tendenze dell’abitare, dell’aprirsi una propria strada nel mondo, e del crearne un luogo ove ci si senta a casa, siano legate da strette relazioni con ciò che ci circonda. Non si tratta quindi di fare del paesaggio un oggetto di studi, ma un tramite, uno dei leganti attraverso cui è possibile osservare l’unione delle qualità temporali e relazionali del mondo (Árnason et al. 2012: 3).

Posso dunque riassumere il mio approccio al paesaggio secondo le seguenti parole di Tilley e di Catherine Allerton: «I understand the term “landscape” anthropologically. For me it refers to the richly nuanced contextual surroundings in which people move and think and dwell» (Tilley 2012: 15); «By “landscape” here I refer to a dynamic and potent matrix of places and pathways that is historically (and continually) constituted by human activity, whilst exercising an agency that shapes such activity» (Allerton 2012: 178).

1.2 Nodi

In this sense, narratives are also gatherings of related components generated through our activities in the landscape. […] We argue then, that narrative is the process of gathering relations with landscape par excellence. (Árnason et al. 2012: 10)

Si è visto nel capitolo precedente che l’abitare un luogo e il sentircisi a casa equivale a costruire una rete di nodi significativi al suo interno, ossia al semplice atto di vivere e memorizzare attraverso e nel proprio corpo esperienze personali necessariamente legate a dei punti specifici del suo spazio. La sofisticatissima esperienza che gli esseri umani hanno del proprio ambiente103 viene quindi «Incorporata attraverso altri tipi di esperienze individuali più profonde», legati alle proprie memorie personali (Ligi 2003: 279-281). Va sottolineata nuovamente l’importanza nella vita delle persone del contatto con l’ambiente esterno, sia esso un paesaggio naturale o domestico. Come afferma Ligi:

L’uomo fa molto più che vedere, udire, sentire, toccare, odorare, nel semplice senso di registrare il proprio ambiente. Egli lo interpreta, avanza inferenze riguardo ad esso, lo sogna, lo giudica, lo immagina, si impegna ancora in altre forme di conoscenza: elabora un denso paesaggio culturale che si intreccia indissolubilmente con la propria storia di vita. Sono tutte queste forme di conoscenza che permettono all’individuo di accumulare il passato, di pensare al presente e di anticipare il futuro (Ligi 2003: 283).

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Dal momento che ogni cosa esiste solo in relazione ad altre, e che ogni cultura offre dei modi di vedere diversi sui propri paesaggi, ma che anche semplicemente ogni individuo appartenente ad una comunità, a seconda della somma delle sue peculiari esperienze passate, ha un punto di vista diverso sulle strade che percorre ogni giorno104 e sugli elementi dell’ambiente su cui posa lo sguardo, fare antropologia del paesaggio significa sondare questa composizione di visioni: «How, for different people and in different ways, paths of relations serve to open up the complexity of landscape, while recognising that only partial views and transient sounds are possible» (Árnason et al. 2012: 4). E se queste esperienze vengono raccontate e diventano significative per l’intera comunità, possono iniziare ad essere tramandate come prodotto della società nel suo insieme, e svilupperanno una concezione o un sentire collettivo della comunità su un determinato punto nello spazio. Vi è dunque un continuo ritorno tra la dimensione personale e quella collettiva, che si riflette in quanto afferma Celeste Ray: «Landscapes’ myriad social dimensions may make them representative of national, ethnic or community identities, or significant idiosyncratically to individuals or families» (Ray 2012: 139). Il sentire di un paesaggio, benché appartenga ad una sfera strettamente personale, può quindi in parte essere condiviso. Da queste considerazioni si può trarre un’osservazione sul metodo di ricerca etnografica: per studiare il rapporto tra una comunità e l’ambiente in cui vive, non basta fare domande dirette sul sentire delle persone, che saranno in gran parte inconsapevoli di quanto il ricercatore vuole sapere. È invece utile cercare nelle storie annidate nei nodi significativi del paesaggio.se si volesse indagare quello di una comunità, un necessario punto di partenza sarebbe considerare le storie di vita individuali, e vedere in quali punti dello spazio queste si incrociano.