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Lorenzo Attardo

8. Metodologia di lavoro

Il lavoro di documentazione fotografica è stato intrapreso come se fosse stato commissionato di- rettamente dal soggetto interessato all’elaborazio- ne delle analisi del quadro conoscitivo del Piano.

Sono stati analizzati quattro dei sedici morfoti- pi individuati dal PIT, per la metodologia seguita; poiché il lavoro vuole essere un modello, si è pre- ferito scegliere quattro tessuti esemplificativi: TR1. Tessuto ad isolati chiusi o semichiusi; TR2. Tessuto ad isolati aperti e lotti residenziali isolati; TR3. Tessuto ad isolati aperti e blocchi prevalentemente residenziali; TR4 Tessuto ad isolati aperti e blocchi prevalentemente residenziali di edilizia pianificata.

Per la natura stessa dell’oggetto indagato, vale a dire il morfotipo urbano nella sua composizione di caratteri generali riconoscibili, il progetto si è orientato liberamente nella scelta delle localizza- zioni delle aree fotografate; sono stati scelti quin- di dei campioni di riferimento di questi quattro morfotipi all’interno dei confini dell’area urbana fiorentina.

Il lavoro cerca così di far emergere la stratifi- cazione della città, estrapolando gli elementi sin- golari di ogni morfotipo, seguendo lo schema dei criteri dell’abaco precedentemente elencati; l’o- biettivo è, quindi, quello di realizzare una sorta di traduzione dal linguaggio testuale al linguaggio fotografico.

È chiaro che, quando si son dovuti fotografare gli elementi di criticità e valori dei tessuti contenuti nelle schede, al processo tecnico documentativo si è associa- to un processo interpretativo coadiuvato dal supporto del tecnico che ha formulato le schede del Piano.

È una documenta- zione delle tipologie, la progettualità sta nel cre- are la descrizione di tipi che siano direttamente confrontabili, avendo gli stessi parametri per poterli giudicare.

La luce permette di cogliere il volume e il rilievo del sogget- to, la giusta apposizio- ne di luci e ombre dà la sensazione di tridi- mensionalità ad un’im- magine fotografica che per sua natura è piatta e bidimensionale.

La scelta della giu- sta illuminazione è stata fondamentale per questo lavoro di interpretazione delle forme urbane, evi- tando quindi le ore del mezzogiorno per l’illu- minazione troppo forte e il contrasto eccessivo e preferendo l’illumina- zione fornita dal sole più tenue delle ore mattuti- ne e serali; questione le- gata anche alla scelta del bianco e nero che esalta queste condizioni.

La scelta di realizza- re immagini in bianco e nero nasce con l’in- tenzione di far risaltare gli aspetti volumetrici, i rapporti tra i pieni ed i vuoti; l’assenza del co- lore uniforma i diversi elementi dell’immagine che, trasformandosi in geometrie, inducono ad un ap- proccio visivo, mirato a cogliere la complessità piut- tosto che i particolari, il risultato di un’interazione piuttosto che gli aspetti dei singoli elementi.

9. Conclusioni

Il lavoro si pone quindi come base di partenza, come provocazione per una più attenta ‘pratica del- lo sguardo’ sulla città e sulle sue forme. Osservare una città, studiarne la struttura urbanistica, signi- fica confrontarsi con un complesso intreccio di re- lazioni che, trasformate in sistema urbano, affidano al loro aspetto spaziale l’immagine della città stessa.

Fotografare una città significa quindi indagare su queste relazioni, affidare alle immagini il com- pito di mostrare, in maniera diretta, le forme della loro complessità, i risultati delle loro interazioni.

Dal lavoro di analisi emergono inevitabilmente delle domande.

1. La tempistica di intervento della rappresentazio- ne fotografica: si interviene prima o dopo la de- finizione di un abaco?

2. Fotografare prima significa utilizzare l’immagine come vero strumento di analisi volto alla defini- zione dell’abaco o del lavoro di descrizione, che si tratti di un morfotipo urbano o territoriale o di un’unità di paesaggio etc.; fotografare dopo, a progetto realizzato, significa invece verificare se il progetto funziona, capirne le criticità e i va- lori, quindi interpretare i luoghi ‘trasformati’ e aiutare il progettista ad individuarne gli errori o ad accrescerne i valori.

3. Essendosi inserita nel processo d’analisi in un secondo momento, l’analisi fotografica perde si- curamente la sua chiave di ‘aiuto al pianificato- re’, ma cerca in qualche modo di restituire con l’immagine ciò che il fruitore del Piano dovreb- be immaginare e tradurre autonomamente in spazio reale.

4. La figura del fotografo-pianificatore: a chi com- missionare i lavori di fotografia? A un fotografo esterno all’ufficio di piano, oppure il pianifica- tore può essere in grado di trasferire le proprie conoscenze settoriali nei linguaggi più stretta- mente fotografici?

5. Dipende dalla natura del tipo di fotografia e dal- la capacità del pianificatore di utilizzare il mez- zo; in merito all’ultimo punto è indispensabile avviare già dal livello universitario una forma- zione all’importanza della rappresentazione

fotografica e al suo corretto utilizzo, istituendo corsi appositi, e successivamente favorire dei corsi di aggiornamento per permettere al piani- ficatore di approfondirne la conoscenza. Senza dubbio il progetto ha rafforzato la con- vinzione che la fotografia è uno strumento analitico assolutamente rilevante che arricchisce le capacità del pianificatore nel lavoro di analisi.

Dal lavoro svolto emerge la necessità di ulteriori sperimentazioni e studi per migliorare e integrare la collaborazione tra fotografia e urbanistica.

Riferimenti bibliografici

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I territori della contemporaneità. Percorsi di ricerca multidisciplinari, a cura di Claudio Saragosa e Maddalena Rossi

ISBN 978-88-6655-157-7 - CC BY 4.0, 2018 Firenze University Press

2. Verso un nuovo modello di carta