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Il plagio nel primo codice penale dell’Italia unita: l’art 145 del codice Zanardell

I PROFILI PENALI DELLA MANIPOLAZIONE MENTALE

1. Ricostruzione storica del delitto di plagio

1.2. Il plagio nel primo codice penale dell’Italia unita: l’art 145 del codice Zanardell

Il codice Zanardelli, la prima codificazione penalistica dell‟Italia unita, entrato in vigore il 30 giugno 1889, considerava espressamente la figura del “plagio” nel libro II, titolo II, «dei delitti contro la libertà», capo III «dei delitti contro la libertà individuale». Esso disponeva, all‟art. 145, che: «Chiunque riduce una persona in schiavitù o in altra

condizione analoga è punito con la reclusione da dodici a venti anni». La fattispecie di

cui all‟art. 145 del codice del 1889 presupponeva pertanto un‟azione meramente fisica, consistente nel porre la vittima in uno stato concreto e materiale di dipendenza da altri, senza, tuttavia, privarla dello status di uomo libero568. Evidente è anche la decisione di non qualificare finalisticamente il reato attraverso l‟inserimento del dolo specifico della finalità di lucro o dello sfruttamento del soggetto passivo, ai fini della configurazione del reato. L‟immissione della fattispecie in parola all‟interno del nostro ordinamento penale ha assunto un duplice significato: da una parte, si intendeva in questo modo mostrare la volontà di conformarsi alle tendenze e agli impegni internazionali che avevano rappresentato il motore delle spinte progressiste in tale periodo storico, dall‟altro si ostentava la vocazione avanguardista e attenta alle libertà individuali del nostro Paese569. La gestazione dell‟art. 145 non fu semplice né esente da copiose discussioni nel corpo legislativo e, anche a seguito della sua approvazione, attirò su di sé diverse critiche. In particolare, alcuni sostenevano l‟inutilità della fattispecie penale in parola, la quale sarebbe di fatto rimasta “lettera morta”, a fronte della scarsa applicazione pratica attesa, vista l‟ormai consolidata desuetudine della schiavitù570. Veniva criticata anche la collocazione sistematica del disposto, che alcuni avrebbero voluto inserito tra i delitti contro la persona571. La principale fonte di insoddisfazione era l‟asserita eccessiva indeterminatezza del disposto normativo, il quale venne

567 La lotta al plagio: cronaca di un reato annunciato a cura di FREE SOULS, novembre 2001, da

https://freesouls.it/old/religione/intolleranza/plagio/plagio_opinione.html [02.12.2018].

568

Ibidem. Così, Corte Cost. 9 aprile 1981, n. 96.

569 SCIARRINO M.; MARVELLI E.; L‟evoluzione giuridica del plagio nella normativa italiana e

sammarinese, in Sul Filo del Diritto, anno 4, n. 4 – dicembre 2013, p. 1.

570 CARUSO G.; op.cit., p. 139. 571

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addirittura definito enigmatico e tale da deferire alla discrezionalità (rectius, all‟arbitrio) del giudicante la decisione su quali comportamenti avrebbero dovuto essere puniti. Notevoli difficoltà interpretative interessarono, infatti, gli elementi costitutivi della condotta sanzionata, cioè le espressioni “ridurre in schiavitù” e “altra condizione

analoga”572. Della prima locuzione fu fornita una lettura che la faceva coincidere con la classica schiavitù “di diritto” (quindi la situazione in cui un essere umano veniva ridotto a mera res e veniva privato dei propri diritti, facendosi invece oggetto di diritti patrimoniali). Invece, la seconda espressione dava luogo a problemi di indeterminatezza e vaghezza, che la dottrina maggioritaria tentò di scongiurare sostenendo che l‟“altra condizione analoga” dovesse allacciarsi ad istituti giuridicamente riconosciuti, simili alla schiavitù ma non coincidenti con essa, rifiutando l‟alternativa interpretativa che la voleva risolversi in qualsiasi situazione di mero fatto di asservimento servile di un individuo rispetto ad un altro. Rebus sic stantibus, i pur apprezzabili tentativi ermeneutici della dottrina dovettero fare i conti con l‟avverarsi della predizione che alcuni avevano già compiuto in passato: quella, cioè, della inapplicabilità della norma e della sua inevitabile e genetica inclinazione alla inoperatività. Difatti, non esistendo nel nostro ordinamento la schiavitù come istituto giuridico, né ravvisandosi fattispecie penali ad essa analoghe, poteva configurare plagio solo il sequestro di persona consumato all‟estero (si pensi, soprattutto, ai territori coloniali), per poi trasportare il soggetto passivo in un altro Paese, dove sarebbe stato assoggettato alla condizione servile. È facilmente intuibile come la casistica relativa a tali azioni criminose fosse oltremodo scarsa, per l‟oggettiva difficoltà di verificazione dell‟evento richiesto. Se, invece, la condotta indicata dalla norma sul plagio fosse stata posta in essere in Italia, essa avrebbe tutt‟al più integrato gli estremi del reato di sequestro di persona573

. Fu così che altra parte della dottrina, tra cui Manzini, optò per un‟interpretazione “di fatto” di entrambe le condotte cui faceva riferimento l‟art. 145. Sarebbe stato possibile, per questa via, riconoscere una qualche razionalità alla scelta del legislatore, altrimenti inspiegabile, di inserire tale disposizione nel contesto di un ordinamento che non prevedeva la schiavitù come istituto giuridico574. Tale opzione ermeneutica avrebbe certamente assicurato una maggior probabilità di concretizzazione fattuale e giudiziale

572

Ivi, p. 141.

573 CRIVELLARI, Il Codice penale per il Regno d‟Italia, V, Torino, 1894, p. 525.

574 CIERVO A.; MONINA G.; Il reato di “plagio” e la “riduzione in schiavitù”. Una lettera di

Costantino Mortati a Lelio Basso (29 febbraio 1969); Il Mulino, Parolechiave (ISSN 1122-5300),

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del dettato normativo, altrimenti condannato al sonno perenne. Peraltro, la giurisprudenza si dimostrò entusiasta di questa proposta alternativa, e più volte applicò il reato di cui all‟art. 145 a comportamenti tali da ridurre una persona in uno stato di assoggettamento quasi servile, in modo cioè da trattarla come se fosse uno schiavo. Emerse, inoltre, un‟opinione intermedia, secondo la quale solamente il dettato riferito all‟“altra condizione analoga” avrebbe potuto essere oggetto di una lettura de facto. Questo avrebbe comportato la fruttuosa applicazione pratica, nel nostro Paese, solo di tale segmento dell‟incriminazione. Non si registrava uniformità di opinione, in dottrina, nemmeno in ordine all‟oggetto del reato, individuato da alcuni nella violazione della libertà e indipendenza individuale e da altri nella offesa alla personalità giuridica del soggetto, che veniva per questa via quasi tramutato artificialmente da persona a cosa575. Si consolidò invece l‟opinione secondo cui si trattasse di un reato a dolo generico e, dal punto di vista oggettivo, a forma libera, consumabile quindi con qualsiasi mezzo e modalità576. Si osserva, dunque, come la fattispecie di plagio contemplata dal codice Zanardelli fosse ancora fortemente legata al concetto di schiavitù. La formulazione adottata per l‟art. 145 del codice del 1989 non si mostra, infatti, perfettamente corrispondente a quella presente nella codificazione toscana (all‟art. 358), poiché la prima faceva riferimento unicamente alla riduzione in schiavitù, mentre la seconda comprendeva sotto la sua lettera diversi tipi di aggressione alla libertà personale577. Questo rende impossibile ritenere l‟art. 145 una norma costruita sul modello del previgente art. 358, nonostante riproduca lo stesso nomen juris. Come abbiamo già osservato, intorno alla disposizione si sviluppò un dibattito, risultando controverso se essa facesse riferimento alla schiavitù di diritto oppure alla schiavitù di fatto. Tale diatriba influenzò anche i successivi lavori per la redazione del codice del 1930. In tale sede, si discuterà in maniera accesa sull‟opportunità di destinare a ciascuna delle due forme di odioso asservimento e oppressione una specifica e autonoma figura di reato578.

575

Ivi, p. 144.

576 Ibidem.

577 USAI, A., Profili penali dei condizionamenti psichici. Riflessioni sui problemi penali posti dalla

fenomenologia dei nuovi movimenti religiosi, Giuffrè, Milano, 1996, pp. 2-3.

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