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Il pregiudizio e il bullismo etnico nel contesto scolastico italiano

Proponente: B. Palladino, Università di Firenze

Discussant: M. Camodeca, Università di Milano-Bicocca

Descrizione del simposio:

Le migrazioni in Europa, dal 2000, sono in costante aumento e tale trend sembra essere confermato anche nei prossimi anni (European Commission, 2015). La scuola italiana è conseguentemente sempre più multietnica (ISTAT 2016-2017) e gli studenti e le studentesse italiani si trovano quindi a confrontarsi sempre più spesso con compagni e compagne con origini di altri paesi. Se da un lato questo può rappresentare una opportunità di confronto e arricchimento, emergono sicuramente aspetti di rischio connessi al pregiudizio e al bullismo etnico, fenomeno in cui le prepotenze vengono messe in atto proprio a partire dalle caratteristiche etniche della vittima. In Italia, solo recentemente è stata data specifica attenzione a questo fenomeno (Caravita et. al 2016). Obiettivo del presente simposio è quello di approfondire gli aspetti connessi al bullismo e alla vittimizzazione etnica nel contesto scolastico italiano. Il primo contributo di Caravita e colleghi, a partire da un approccio qualitativo, cercherà di approfondire gli aspetti legati alle motivazioni sottese al bullismo verso stranieri in un gruppo di adolescenti. Nello specifico, il lavoro testerà l’ipotesi secondo cui la provenienza da un paese diverso dal proprio accresce la percezione di devianza associata alle vittime, in linea con la constatazione che il bullismo si rivolge verso pari che non si conformano al gruppo dominante (Thornberg, 2010).

Nel secondo contributo di Palladino e Nappa, saranno approfonditi i fattori di rischio e protezione rispetto alla vittimizzazione etnica in un gruppo di adolescenti. In particolare, saranno valutati gli effetti dello status di cittadinanza, del ritiro sociale e dell’acculturation orientation come possibili fattori e processi chiave implicati a livello individuale.

Negli ultimi due contributi sarà analizzato il pregiudizio sia a livello di ricerca empirica sia a livello di variabile target di un intervento. Nello specifico, Miragoli e colleghi cercheranno di capire i fattori di rischio specifici del bullismo e del bullismo etnico in adolescenza, analizzando il diverso peso che possono avere il pregiudizio verso gli immigrati e lo status nel gruppo rispetto a questi due tipologie di comportamenti. Nell’ultimo contributo, Cadamuro e colleghi, partendo dal presupposto che durante l'infanzia i pregiudizi siano più facili da trattare, valuteranno gli effetti di una strategia di intervento basata sull'immaginazione e volta a ridurre il pregiudizio etnico in bambini in età prescolare.

132 SIMPOSIO 4.5 - Prima comunicazione:

LE RAGIONI DEL BULLISMO VERSO I COETANEI ITALIANI E STRANIERI SPIEGATE DAGLI ADOLESCENTI: UNO STUDIO CON APPROCCIO GROUNDED THEORY.

Simona Caravita1, Angela Mazzone2, Robert Thornberg3, Sara Stefanelli1, Livia Cadei4 1 Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano & Brescia, C.R.I.d.e.e.

2 Dublin City University (IE), Anti-Bullying Research and Resource Centre 3 Linköping University (SE), Department of Behavioural Sciences and Learning 4 Università Cattolica del Sacro Cuore, Brescia

Introduzione: Il bullismo è un comportamento aggressivo sistematico, agito ai danni di un pari più debole. La letteratura evidenzia che il bullismo può essere compreso come un fenomeno socio-culturale, influenzato dall'interazione tra fattori associati a genere, apparenza, gruppo dei pari, e al più ampio contesto socio-culturale. Il bullismo, inoltre, colpisce maggiormente i giovani immigrati rispetto ai nativi (Caravita et al., 2016; Vieno et al., 2009). Alla luce degli studi che suggeriscono che il bullismo possa essere una forma di violenza collettiva verso pari che non si conformano al gruppo (Thornberg, 2010) è possibile che questo accada perché provenire da un Paese diverso contribuisce a far percepire la vittima come deviante. Mancano però dati di approfondimento di quest’ipotesi e comprendere le ragioni alla base di questo tipo di bullismo nella scuola italiana sempre più multietnica (ISTAT 2016-2017) è essenziale per pianificare interventi adeguati. Scopo di questo studio è, quindi, indagare direttamente il punto di vista degli studenti rispetto al bullismo verso coetanei stranieri vs. italiani.

Metodo: Diciotto adolescenti nativi e 17 immigrati (età: 11-15 a.), alunni di scuole italiane, sono stati intervistati somministrando (in ordine casuale) due scenari raffiguranti situazioni di bullismo: in uno la vittima era un nuovo compagno proveniente da altra città italiana, nel secondo era un nuovo compagno proveniente da altra nazione. Le ragioni addotte dai partecipanti per spiegare il bullismo verso i coetanei italiani e stranieri sono state esaminate con un approccio Grounded Theory.

Risultati: Dalla codifica e analisi dei dati è stato sviluppato il concetto di “socializzazione della devianza”, il quale si riferisce alla condivisione di credenze, nel gruppo dei pari, rispetto alla devianza della vittima. I risultati evidenziano che credenze e comportamenti degli adolescenti sono il prodotto degli standard di normatività e delle norme condivise all'interno del gruppo dei pari, i quali interagiscono con i messaggi provenienti da diversi agenti di socializzazione (famiglia; insegnanti). Quindi, la devianza della vittima è un prodotto sociale che deriva dall'interazione tra diversi strati socio-culturali. Tre sotto- categorie relative a entrambe le forme di bullismo sono emerse dal concetto centrale di socializzazione della devianza: (a) Rifiuto della devianza del nuovo compagno; (b) Rifiuto della devianza fisica; (c) Rifiuto della personalità deviante. Queste sotto-categorie sono associate alle sotto-categorie del bullismo verso i coetanei immigrati: (d) Rifiuto della devianza culturale; (e) Razzismo appreso.

Conclusioni: I risultati mettono in luce come per contrastare il bullismo gli interventi debbano includere azioni mirate a educare alla tolleranza e al rispetto della "devianza", nelle varie forme, e che si rivolgano oltre che agli adolescenti ai diversi agenti di socializzazione, in primis genitori e insegnanti.

133 SIMPOSIO 4.5 - Seconda comunicazione:

LA VITTIMIZZAZIONE NEL BULLISMO ETNICO: EFFETTI DI ACCULTURATION

ORIENTATIONS, ESCLUSIONE SOCIALE E STATUS DI CITTADINANZA.

Benedetta Emanuela Palladino, Maria Rosaria Nappa

Università di Firenze, Dipartimento di Scienze della Formazione e Psicologia

Introduzione: La letteratura ha evidenziato che la prima generazione di adolescenti immigrati sperimenta un più alto tasso di vittimizzazione da parte dei pari rispetto alla terza generazione e ai nativi (Pottie et al., 2015; Caravita et al., 2016). Tra i meccanismi caratterizzanti gli individui che vivono in una cultura straniera, assumono particolare rilevanza le acculturation orientations (Berry,1997, 2005) che riguardano due processi complementari: il primo si riferisce a quanto è importante per l'individuo mantenere il proprio patrimonio culturale; il secondo riguarda il valore della partecipazione alla cultura della società che accoglie. Obiettivo del presente lavoro è analizzare come le acculturation orientation verso il paese di origine e il paese ospitante interagiscano con il ritiro sociale e lo status di cittadinanza nell’associarsi alla vittimizzazione connessa alla provenienza etnica.

Metodo: All’interno di un più ampio progetto (N=1672), abbiamo selezionato 252 studenti (età media=13.4; DS=1.6; maschi 57,9%): 70 adolescenti nati all'estero figli di entrambi genitori stranieri (ndr cittadinanza straniera); 96 adolescenti nati in Italia figli di entrambi genitori stranieri (ndr possono tendenzialmente chiedere la cittadinanza al compimento dei 18 anni); 86 adolescenti nati in Italia con un genitore italiano e uno straniero (ndr in possesso di cittadinanza italiana). Ai partecipanti sono stati somministrati i seguenti strumenti: la Brief Acculturation Orientation Scale (Demes, Geeraert, 2013); un adattamento delle FBVSs (Palladino, Nocentini, Menesini 2015) per la vittimizzazione connessa alla provenienza etnica; lo YSR (Achenbach, 1991) per valutare il ritiro sociale.

Risultati: A livello univariato (ANOVAs) è emerso che gli adolescenti con un genitore italiano mostrano livelli significativamente più bassi di vittimizzazione etnica (F(2, 250)=6.305; p=.002) e livelli più alti di acculturation orientation verso la cultura italiana (F(2, 250)=14.078; p <.001). Dai risultati della regressione (20% della varianza spiegata) è emerso un effetto significativo dell’acculturation orientation verso il paese di origine (B=.007; p=.015) sulla vittimizzazione etnica e una interazione significativa tra le altre tre variabili indipendenti. Nello specifico, ad alti livelli di ritiro sociale, l’acculturation orientation verso l’Italia diventa un fattore protettivo per quegli adolescenti con un genitore italiano (B=-,046; p=.01) e, in misura minore, per quelli nati in Italia con genitore straniero (B=-,026; p=.02). Conclusioni: I risultati saranno discussi in termini di implicazioni a livello di interventi di prevenzione, contestualizzandoli sia nelle dinamiche tra pari sia nel più ampio contesto delle politiche sulla concessione della cittadinanza italiana.

134 SIMPOSIO 4.5 - Terza comunicazione:

QUESTIONE DI STATUS O PREGIUDIZIO? FATTORI DI RISCHIO PER IL BULLISMO A DANNO DI IMMIGRATI

Sarah Miragoli1, Livia Cadei2, Angela Mazzone3, Sara Stefanelli1 1 Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano & Brescia, C.R.I.d.e.e. 2 Università Cattolica del Sacro Cuore, Brescia

3 Dublin City University (IE), Anti-Bullying Research and Resource Centre

Introduzione: Gli studi indicano che nelle scuole italiane gli alunni immigrati corrono un rischio di essere prevaricati maggiore rispetto ai compagni nativi (Caravita et al., 2016). Tra i fattori di rischio del bullismo a danno di immigrati quindi, potrebbe esservi il pregiudizio, come rilevato per altre forme di bullismo discriminatorio quali il bullismo omofobico (Camodeca et al., 2018). Tuttavia, è stato ipotizzato che le caratteristiche di eventuale diversità della vittima in realtà non siano rilevanti nel bullismo (Olweus, 1996), mentre la letteratura individua nello status nel gruppo come popolare uno dei motivatori principali della condotta prepotente (Sijtsema et al., 2009). Se questa ipotesi è vera, il bullismo a danno di immigrati potrebbe essere imputabile più che al pregiudizio verso gli immigrati allo status di popolarità nel gruppo dei prepotenti, che per mantenere tale status potrebbero prendere di mira il compagno immigrato in quanto provenire da un diverso Stato costituisce un pretesto e una potenziale vulnerabilità. Scopo di questo studio è investigare il peso relativo del pregiudizio verso gli immigrati e dello status nel gruppo dei prepotenti come fattori di rischio per il bullismo a base etnica.

Metodo: Hanno partecipato 692 studenti alunni di scuola secondaria (20.5 % immigrati; età M=13.8 a., ds=1.4 a.; 54.8% f.) che hanno risposto a strumenti self-report per misurare il bullismo e il bullismo a base etnica (Palladino et al., 2015), la percezione che la diversità culturale è accettata a scuola (Georgia Dept. of Education et al., 2015), il pregiudizio verso gli immigrati e l’apertura verso i pari di diversa cultura (Caravita & Miragoli, 2008; Maggi & Buccoliero, 2006), e a nomine dei pari per lo status nel gruppo come preferito e popolare (Cillessen & Mayeux, 2004). I dati sono stati analizzati con correlazioni e regressioni multilivello (per controllare la percentuale di immigrati a livello di classe).

Risultati: I pregiudizi correlavano positivamente con il bullismo in generale (.09*) ma in misura maggiore con quello a base etnica (.12*). Lo status come popolare correlava con il bullismo a base etnica (.12*) ma in misura maggiore con il bullismo generale (.18*). Nei modelli di regressione, il bullismo generale era associato significativamente (p<.05) con lo status come popolare (b .05) ma non con i pregiudizi, invece il bullismo a base etnica era associato con i pregiudizi (b .13) ma non con lo status. Infine, il bullismo era associato negativamente alla percezione che la diversità culturale è accettata a scuola in misura maggiore nelle classi in cui vi erano immigrati vittima (b. -.13*) che nelle classi in cui non vi era una vittima immigrata (b -.08*).

Conclusioni: I risultati evidenziano che le cognizioni pregiudiziali costituiscono fattori di rischio per il bullismo a base etnica più dello status nel gruppo, che invece è più rilevante per il bullismo in generale, fornendo importanti indicazione per l’intervento.

135 SIMPOSIO 4.5 - Quarta comunicazione:

RIDURRE IL PREGIUDIZIO ETNICO IN ETÀ PRESCOLARE: GLI EFFETTI DI UN INTERVENTO DI CONTATTO IMMAGINATO

Alessia Cadamuro, Gian Antonio Di Bernardo, Veronica Margherita Cocco, Loris Vezzali Università di Modena e Reggio Emilia, Dipartimento di Educazione e Scienze Umane

Introduzione: Le ricerche hanno dimostrato come i bambini inizino a mostrare pregiudizi espliciti verso membri dell’outgroup quando hanno circa 3-4 anni (Aboud, 2008), con un picco tra i 5-7 anni (Raabe & Beelmann, 2011). Poiché durante l'infanzia i pregiudizi sono più facili da trattare e gli interventi risultano più efficaci (Killen, Mulvey, Hitti e Rutland, 2012), appare sempre più necessario intervenire nella prima infanzia, estendendo gli interventi all’età prescolare.

Metodo : Abbiamo condotto due studi per verificare l'efficacia di una strategia basata sull'immaginazione volta a ridurre il pregiudizio etnico in bambini in età prescolare.

Nel primo studio, che ha coinvolto 60 bambini di 5 anni, è stato chiesto (gruppo sperimentale) di immaginare e disegnare un incontro con un membro dell'outgroup (bambino di colore) oppure disegnare semplicemente un bambino di colore (gruppo di controllo). Successivamente ad entrambi i gruppi sono stati somministrate: una misura di atteggiamenti intergruppi, una misura di intenzioni comportamentali e una misura di bias di allocazione delle risorse.

La metodologia del secondo studio, condotto su 45 bambini di età compresa tra 4 e 5 anni, è la medesima, però questa volta ai bambini del gruppo sperimentale è stato chiesto di immaginare che un nuovo bambino (di colore) venisse nella loro classe e di scrivergli una lettera (da dettare allo sperimentatore). Nella condizione di controllo ai bambini veniva mostrato un disegno di un bambino bianco ed era richiesto di immaginare il contatto con lui/lei. Come per il primo studio, successivamente i bambini sono stati intervistati per completare le misure dipendenti, con l'aggiunta di una misura di inclusione: è stato chiesto di indicare quanti dei loro tre migliori amici avrebbero voluto presentare al nuovo bambino di colore per giocare tutti insieme

Risultati: Complessivamente i risultati hanno evidenziato che i bambini in età prescolare nella condizione sperimentale, rispetto a un gruppo di controllo, hanno riportato meno pregiudizi intergruppi in forma di intenzioni di contatto e allocazione delle risorse, nonché una maggiore inclusività comportamentale; gli effetti sono stati mediati dal miglioramento degli atteggiamenti verso i membri dell'outgroup.

Conclusione: Gli studi dimostrano l’efficacia del contatto immaginato nel ridurre il pregiudizio etnico anche in bambini di età prescolare. Inoltre, gli effetti non sono limitati agli atteggiamenti o alle intenzioni, ma si estendono al comportamento, indicando un maggiore comportamento altruistico nei confronti dell'outgroup.

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SIMPOSIO 4.6: Crescere bilingui nei servizi educativi 0-6 anni: interventi di osservazione ed educazione

Proponenti: S. Pirchio, Università di Roma La Sapienza; A. Bello, Università di Roma III

Discussant: C. Fiorilli, Università di Roma LUMSA

Descrizione del simposio:

La gestione del fenomeno migratorio nei sistemi educativi è un tema prioritario per i Paesi Europei e per l’Europa nel suo complesso. Un aspetto cruciale, in tale ambito, è rappresentato dalle politiche e pratiche di accoglienza dei bambini figli di immigrati all’interno delle strutture educative, passo necessario per l’integrazione culturale e sociale del bambino e della sua famiglia nel paese ospite.

E’ quindi oggi rilevante l’elaborazione e la sperimentazione di “buone” pratiche che permettano di accogliere e includere nelle strutture educative e scolastiche i bambini esposti a più lingue insieme alle loro famiglie e monitorare e promuovere lo sviluppo del loro linguaggio. A tale fine, è necessario fornire agli educatori e insegnanti indicazioni appropriate rispetto alle strategie da adottare nei diversi contesti educativi (scuola e famiglia) per sostenere lo sviluppo bilingue.

La letteratura mostra infatti crescenti evidenze che il bilinguismo precoce non rappresenta un ostacolo allo sviluppo delle capacità comunicative e linguistiche, ma al contrario comporta lo sviluppo di un funzionamento cognitivo più flessibile, oltre a evidenti vantaggi sociali a breve, medio e lungo termine. Tuttavia, ostacoli allo sviluppo del bilinguismo permangono soprattutto per quei bambini nati in famiglie immigrate e in condizioni di svantaggio socio-economico, per i quali si osserva una riduzione dei benefici connessi a tale condizione, difficoltà nel mantenimento della cultura d’origine della famiglia e impoverimento della lingua dei genitori. Per questi bambini, il ruolo delle istituzioni e del personale educativo può costituire quindi un punto di svolta nel loro percorso di crescita, offrendo supporto ai genitori immigrati nella scelta e mantenimento di un progetto familiare di educazione al bilinguismo. Le relazioni del presente simposio riportano esperienze di ricerca in asili nido e scuole dell’infanzia che offrono un contributo nella direzione di fornire evidenze e spunti di discussione circa le “buone” pratiche di osservazione e promozione dello sviluppo comunicativo e linguistico che educatori di nido e insegnanti della scuola dell’infanzia possono applicare nel lavoro con i bambini figli di immigrati in sezione e in classe. L’esperienza d’inclusione dei bambini immigrati nelle strutture educative è stata analizzata tramite una varietà di strumenti di osservazione, che coinvolgono gli educatori e gli insegnanti (es. Picchio e Mayer, Bello e coll., Passiatore e coll.), i genitori (Passiatore e coll., Bello e coll.) e i bambini (Picchio e Mayer, Passiatore e coll.).

I risultati delle tre ricerche condotte forniscono indicazioni sia di ordine metodologico rispetto agli strumenti e alle procedure d’indagine del fenomeno oggetto di studio, sia di ordine educativo rispetto ai fattori promotori della partecipazione del bambino alle attività proposte e dello sviluppo linguistico, fattori individuabili a livello sociale, scolastico e familiare.

Parole chiave:

137 SIMPOSIO 4.6 - Prima comunicazione:

VARCARE LA SOGLIA DI UN SERVIZIO PER L’INFANZIA: L’ESPERIENZA DEI BAMBINI FIGLI DI GENITORI STRANIERI

Mariacristina Picchio, Susanna Mayer

CNR, Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione, Roma

Introduzione: Come hanno sottolineato numerose ricerche e recenti documenti europei di indirizzo, garantire l’accesso a servizi di educazione e di cura per la prima infanzia di alta qualità rappresenta uno strumento importante non solo per offrire pari opportunità educative a tutti bambini ma anche per favorire processi di inclusione sociale. In tale prospettiva, la crescente hyper-diversity che caratterizza oggi i servizi educativi richiede agli operatori di ripensare le proprie pratiche e solleva nuovi interrogativi per la ricerca. Quale esperienza i bambini figli di genitori stranieri vivono quando per la prima volta si trovano a transitare da uno spazio domestico, spesso anche socialmente svalorizzato, a un contesto educativo diverso da quello familiare non solo da punto di vista sociale, ma anche culturale e linguistico? In questo contributo presenteremo un’analisi del processo di familiarizzazione dei bambini di famiglie straniere con il servizio educativo durante il primo anno di frequenza mettendo in luce le difficoltà che possono incontrare nel comprendere le caratteristiche del contesto sociale e nel partecipare alle attività e agli scambi comunicativi con le insegnanti e i pari.

Metodo: È stata condotta una raccolta di dati osservativi all’interno di due percorsi di ricerca-azione svolti in due città italiane. Sono stati filmati continuativamente dalle 8.30 alle 13 i comportamenti e le attività di bambini e insegnanti in gruppi ad alta presenza di figli di genitori stranieri, per un totale di 11 sessioni di videoregistrazione effettuate nel corso dell’anno educativo in due gruppi nido, che accoglievano bambini nel secondo e nel terzo anno di vita, e 5 sessioni in una scuola dell’infanzia, che accoglieva bambini nel quarto anno. Tutti i filmati sono stati visionati e sono state individuate e trascritte le sequenze relative ai comportamenti, attività ed espressioni comunicative dei bambini figli di genitori stranieri nel corso dei mesi. Le sequenze sono state analizzate e discusse in incontri periodici tra le ricercatrici, il coordinamento pedagogico e le insegnanti dei servizi coinvolti.

Risultati: L’analisi qualitativa delle sequenze ha messo in evidenza che molti dei bambini figli di genitori stranieri hanno difficoltà nel comprendere il nuovo contesto e nel partecipare alle attività e alla comunicazione con gli adulti e i pari. Queste difficoltà sono state espresse con comportamenti che variavano individualmente ma sono state tutte superate nel corso della frequenza. La discussione condotta con il personale educativo ha evidenziato le condizioni educative che hanno favorito il processo di familiarizzazione dei bambini con il contesto e la loro partecipazione alle attività e agli scambi.

Conclusioni: I risultati offrono elementi utili per migliorare le pratiche nei servizi educativi e meglio comprendere le problematiche connesse ai processi di inclusione delle diversità.

Parole chiave:

138 SIMPOSIO 4.6 - Seconda comunicazione:

OSSERVAZIONE E PROMOZIONE DELL’ITALIANO IN BAMBINI FIGLI DI MIGRANTI ALL’INTERNO DELLA SCUOLA D’INFANZIA

Arianna Bello1, Paola Perucchini1, Silvia Stefanini2

1 Università di Roma III, Dipartimento di Scienze della Formazione 2 AUSL Parma

Introduzione: I bambini figli di migranti costituiscono una popolazione “speciale” che pone numerose sfide a livello educativo. Essi crescono esposti a due o più lingue, ma la quantità/qualità di esposizione è influenzata da vari fattori. Un bilinguismo positivo e costruttivo è un fattore di protezione rispetto al successo scolastico e a un’adeguata integrazione sociale (Moro, 1998). Oggi, i progetti per sostenere il bilinguismo dei figli di migranti in età prescolare sono ancora esperienze rare, nonostante le diffuse “Indicazioni nazionali per il curriculo della scuola d’infanzia (2012)”. Questo progetto di ricerca-azione si pone due obiettivi: 1. esplorare le capacità linguistiche di questi bambini in età prescolare, attraverso nuovi strumenti, idonei all’ambito scolastico; 2. impiegare questi strumenti all’interno di alcune classi di scuole d’infanzia e progettare percorsi di promozione dell’Italiano.

Metodo: Partecipano 24 bambini di età 3-4 anni, figli di migranti, frequentanti la scuola d’infanzia, le loro famiglie e le insegnanti. Per ogni bambino, le insegnanti raccolgono dati sul contesto linguistico familiare (“Intervista per i genitori”) e sulle competenze in Italiano a scuola (“Scheda osservativa del Linguaggio”).

Risultati: Dalle interviste per i genitori si ricavano dati sulla famiglia (es. livello di scolarità, occupazione, anni di permanenza), sul contesto linguistico familiare (es. percentuale di esposizione alla lingua d’origine e Italiano), sulla scelta di educazione al bilinguismo intrapresa (es. pratiche educative familiari - esposizione a TV, lettura condivisa, racconto di storie). Dalle schede osservative si ricavano dati sulla competenza (comprensione; produzione) e sull’uso dell’Italiano a scuola da parte del bambino. Analisi descrittive e correlazionali permettono di indagare l’associazione tra le informazioni rilevate. In linea con

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