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68 RELAZIONI SECONDA SESSIONE

strategie Di prevenzione Delle inFezioni nosocomial

68 RELAZIONI SECONDA SESSIONE

deve includere la preparazione di un campo sterile e la disinfezione del raccordo con soluzioni alcoliche durante le manipolazioni (10), la limitazione dell’uso di raccordi multipli e di cateteri con più lumi, la riduzione dei prelievi di sangue, l’utilizzo di raccordi con “camera” antisettica per la somministrazione di farmaci (sia per i cateteri venosi centrali che ombelicali) (28,29).

Le linee guida del US Department of Health and Human Services Centers for Disease Control consigliano l’uso di soluzioni di Clorexidina Gluconato al 2% come disinfettante di prima scelta nella disinfezione della cute per l’inserzione del CVC (30). Viene sconsigliata l’applicazione di pomate disinfettanti o antibiotiche sul punto di inserzione del catetere per il rischio di infezioni fungine o di fenomeni di resistenza. Di particolare importanza è la prevenzione della colonizzazione del circuito di infusione e della contaminazione delle sacche di infusione. In un trial clinico randomizzato controllato la sostituzione del circuito ogni 72 ore comportava una maggiore contaminazione delle infusioni lipidiche rispetto alla sostituzione ogni 24 ore (3,54% vs 1,35%, P=0,001) (31). Recenti linee guida raccomandano la sostituzione dei circuiti ogni 72 ore per le soluzioni di nutrizione parenterale, ma ogni 24 ore se nella soluzione parenterale sono presenti lipidi (26).

2) il metodo più efficace per ridurre il rischio di sepsi legata a CVC è la riduzione dei tempi di permanenza del catetere. Molti studi hanno dimostrato una diretta correlazione tra i tempi di permanenza del catetere e l’incidenza di sepsi nei neonati (25). In uno studio prospettico del NICHD Neonatal Research Network su neonati VLBW la comparsa di una sepsi late-onset si associa a tempi di permanenza del catetere significativamente più lungo (16,4 vs 8,5 giorni per i CVC percutanei e 4,0 vs 2,8 per i cateteri venosi ombelicali, P<0,001). CVC percutanei lasciati in sede per un tempo inferiore a 7 giorni aumentavano il rischio di sviluppare una sepsi di 1,9 volte (P<0,001). Il rischio diventava significativamente più alto in caso di permanenza dei cateteri per 22 o più giorni, con un probabilità di sviluppare una sepsi 3,7 volte maggiore (P<0,001) (8).

3) L’utilizzo di cateteri impregnati con varie sostanze ad azione disinfettante o in grado di impedire l’adesione dei batteri alla superficie del catetere si è rivelato efficace nel ridurre l’incidenza di sepsi in numerosi trial clinici su pazienti adulti o pediatrici. Sostanze che si sono dimostrate in grado di ridurre la colonizzazione batterica sono la clorexidina+argento sulfadiazina, la cefazolina, la iodina, la minociclina- rifampina, la teicoplanina (25,26,32). In epoca neonatale l’unica sostanza utilizzata per ridurre l’incidenza di infezioni CVC-correlate è l’eparina. In un trial clinico randomizzato su 209 pazienti in età neonatale e pediatrica la frequenza di infezione era significativamente più bassa nei pazienti con catetere impregnato di eparina rispetto ai pazienti con catetere non impregnato (4% e 33% P<0,0005) (33). Non esistono tuttavia ad oggi raccomandazioni per l’età pediatrica e neonatale e sono necessari ulteriori studi per poter consigliare l’utilizzo di routine di tali cateteri in UTIN (30).

4) molti autori consigliano la precoce rimozione del CVC in presenza di emocolture positive. Benjamin e coll hanno riscontrato una minor frequenza di complicanze della sepsi batterica (colture ripetutamente positive, danno d’organo, mortalità) in neonati in cui il catetere veniva rimosso entro 24 ore dall’identificazione del microrganismo rispetto a quelli in cui veniva lasciato in sede nel tentativo di sterilizzazione (8% vs 46%; OR=9,8) (34). In lavoro retrospettivo condotto da Karlowicz e coll, neonati in cui il CVC veniva rimosso entro tre giorni dalla diagnosi di candidemia presentavano una minore durata della fungemia (3 vs 6 giorni, P=0,0002) ed una minore mortalità (2% vs 19%, P=0,008) (35).

È raccomandabile l’immediata rimozione del CVC in presenza di batteriemia causata da S.aureus o da Bacilli Gram negativi o in caso di fungemia (25,32,34).

Profilassi antimicrobica Profilassi antibiotica

La somministrazione empirica e prolungata di antibiotici ad ampio spettro seleziona ceppi batterici resistenti e favorisce l’insorgenza di infezioni fungine (36). L’utilizzo giudizioso degli antibiotici rimane uno strumento di fondamentale importanza per la prevenzione delle infezioni nosocomiali.

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SECONDA SESSIONE

Calil e coll. (37) hanno identificato nell’uso degli antibiotici un fattore di rischio indipendente per la colonizzazione da parte di batteri multiresistenti e riportano un riduzione della colonizzazione dal 32% al 10,8% e delle infezioni nosocomiali da 18 a 2 casi/anno causate da batteri multiresistenti dopo l’attuazione di un programma educativo e la sospensione dell’uso delle cefalosporine di terza generazione.

In un recente studio retrospettivo su 24111 pazienti Clark e coll. hanno messo a confronto neonati con sospetta sepsi early-onset trattati con ampicillina-cefotaxime e neonati trattati con ampicillina- gentamicina. La regressione logistica multivariata identificava nel trattamento con ampicillina-cefotaxime un fattore di rischio indipendentemente associato a morte prima della dimissione, anche se gli Autori stessi sottolineano che non è possibile escludere che il risultato sia stato alterato da vizi di selezione dei pazienti (38).

Isaacs ha recentemente riportato dieci punti che ritiene essenziali per ridurre i fenomeni di resistenza agli antibiotici (Tabella) (36).

L’utilizzo di una profilassi antibiotica nei pazienti portatori di un catetere venoso centrale è ancora oggi discussa.

Cinque trials clinici presi in considerazione da una meta-analisi Cochrane hanno valutato l’utilizzo della vancomicina per la profilassi delle infezioni nosocomiali in pazienti portatori di Catetere Venoso Centrale (39). La meta-analisi ha dimostrato una riduzione di tutti gli episodi di sepsi nosocomiale e della sepsi da CoNS senza però effetti sulla mortalità e sui tempi di degenza. Dati i minimi benefici clinicamente importanti, ed il rischio (teorico, ma non dimostrato) della comparsa di ceppi batterici resistenti, gli Autori sconsigliano l’uso di routine della profilassi con Vancomicina.

Un approccio alternativo per la profilassi “locale” delle infezioni legate al catetere venoso centrale è la tecnica “antibiotic flush” o “antibiotic lock”. In un trial clinico prospettico randomizzato su 90 neonati (40), 0,4 ml di soluzione fisiologica eparinata contenente vancomicina (25mcg/ml) venivano instillati due volte al giorno nel catetere e lasciati in sede per 20 minuti, quindi erano aspirati, ed il catetere veniva lavato con soluzione fisiologica. Gli autori hanno potuto registrare una significativa differenza di incidenza tra il gruppo trattato ed il gruppo non trattato (24,9 vs 8,2/1000 cateteri-giorno, RR 0,33; 95% CI:0,12- 0,80; P=0,004) né si è osservato un impatto della profilassi sulla colonizzazione o infezione da parte di enterococchi o stafilococchi vancomicina-resistenti.

Cura della cute

Nel neonato la cute offre una ridotta efficacia come barriera meccanica, poiché è molto sottile per ridotto spessore dello strato corneo, insufficiente è anche la barriera chimica del cosiddetto “mantello acido cutaneo” sia per l’alcalinità della vernice caseosa sia per la ridotta presenza di ghiandole sudoripare e sebacee.

La immaturità e la vulnerabilità cutanea è particolarmente evidente nei nati pretermine (nei quali la maturazione cutanea prosegue dopo il parto per 2-4 settimane) specialmente se ricoverati in UTIN e quindi sottoposti a lesioni provocate da cerotti, monitoraggi, prelievi ecc. Questa particolare “fragilità” cutanea dei nati pretermine costituisce un fattore di rischio nei confronti delle infezioni nosocomiali. Pertanto vari lavori scientifici nel tempo hanno valutato l’efficacia di unguenti sulla cute nel prevenire le infezioni nosocomiali.

Una revisione della Cochrane del 2004 concludeva che l’applicazione di unguenti sulla cute aumentava il rischio di infezioni nosocomiali e in particolare di quelle sostenute da stafilococchi coagulasi negativi e che questo tipo di trattamento non dovrebbe essere utilizzato di routine nei nati pretermine (41). Nello stesso anno Edwards e coll coinvolgendo 53 UTIN partecipanti al Vermont Oxford Network effettuavano uno studio randomizzato su 1191 neonati di età gestazionale < 30 settimane e di peso compreso tra 501 e 1000 g; di questi 602 venivano trattati con unguento a scopo profilattico nei confronti di sepsi di origine nosocomiale e 589 erano. I risultati non evidenziavano differenze di mortalità tra il gruppo trattato con unguento ed il gruppo sottoposto a cura routinaria della cute, mentre vi era una differenza significativa dell’incidenza di sepsi per i neonati di peso compreso tra 501 e 750 g (p=0,03)

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