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vaccini, memoria immunitaria e sottopopolazioni b.

A.G. Ugazio

Il problema della memoria immunologica attraversa da sempre, come una sorta di filo di Arianna, tutta la storia della moderna immunologia per rimanere a tutt’oggi tra gli aspetti più controversi ed oscuri. Tutto questo a dispetto della constatazione che nel campo delle vaccinazioni, quello della memoria è uno dei problemi che più ci preoccupano.

Cosa intendiamo anzitutto per memoria immunologica? Operativamente, il migliore indicatore di memoria immunitaria è la risposta anticorpale al secondo incontro con un antigene che si manifesta con la produzione di anticorpi IgG ad alto titolo e ad alta affinità mentre, come è ben noto, la così detta risposta primaria, vale a dire quella che fa seguito al primo incontro con un antigene, è caratterizzata dalla produzione di anticorpi IgM a basso titolo e a bassa affinità. In realtà l’immunologia ha compiuto progressi rilevanti nella comprensione dei meccanismi che sottendono la generazione della memoria immunologica: nel corso della risposta secondaria, i T linfociti helper esprimono il CD40-ligando (CD40L) che lega le molecole di CD40 presenti sulla membrana dei B linfociti. Questa interazione, congiuntamente con il riconoscimento dell’antigene da parte dei recettori immunoglobulinici dei B linfociti ed al riconoscimento dei peptidi antigenici espressi dagli stessi B linfociti in associazione con molecole HLA di classe II, fa scattare i meccanismi di ricombinazione genetica, mutazione e differenziazione che portano al cosiddetto “switch isotipico” e alla selezione positiva dei cloni più affini, quindi in ultima analisi alla generazione di B linfociti di memoria e di precursori delle plasmacellule produttrici di IgG ad alta affinità.

Se è vero quindi che le nostre conoscenze sulla generazione della memoria immunitaria possono considerarsi sufficientemente accurate, è altrettanto vero che non possono certo considerarsi tali quelle sul mantenimento della memoria. In altre parole: cosa fa si che la memoria possa mantenersi per lunghissimi anni, a volte per tuta la vita? Il fatto che i B linfociti di memoria hanno una lunghissima emivita? La cross reattività tra antigeni che porterebbe a continui richiami ambientali? L’esistenza della cosiddetta rete idiotipica, autentico specchio interiore dell’universo antigenico ambientale? La lunga persistenza degli antigeni nell’organismo? Le prove sperimentali in nostro possesso rendono estremamente improbabili tutte queste ipotesi.

D’altro canto, come già si è accennato, il problema della memoria ha risvolti pratici, soprattutto in ambito vaccinale, che richiederebbero una conoscenza approfondita dei meccanismi di mantenimento della memoria immunitaria. Perché la memoria ci preoccupa? Anzitutto perché aumenta l’età media e si cominciano a segnalare con crescente frequenza focolai epidemici di morbillo, pertosse e di altre malattie infettive nelle comunità di anziani, vale a dire nei soggetti che hanno superato in età pediatrica queste malattie, che sono stati vaccinati o entrambi. Evidentemente l’anziano di oggi (che è mediamente assai più anziano dell’anziano di ieri!) può perdere la memoria immunitaria; questa graduale perdita di memoria è peraltro facilitata dalla riduzione della circolazione microbica che abbiamo ottenuto grazie alle vaccinazioni. Giusto per limitarsi ad un esempio, fino a qualche decennio or sono, chi aveva superato il morbillo o era stato vaccinato, continuava per tutta la vita ad incontrare nuovamente il virus del morbillo ed ogni nuovo incontro rappresentava un vero e proprio richiamo per la memoria immunitaria. Oggi, con coperture vaccinali ancora insoddisfacenti ma che toccano tuttavia il 90%, il virus del morbillo circola ben poco ed i “richiami naturali” scarseggiano sempre più. Un secondo problema è rappresentato dai titoli anticorpali che, mediamente, sono più bassi dopo vaccinazione che in seguito all’ infezioni naturale. Né possiamo dimenticare che gli anticorpi ricevuti dalla madre per via transplacentare e per il tramite del latte rappresentano l’unico autentico strumento di difesa immunitaria in possesso del neonato. Oggi, per i meccanismi cui abbiamo fatto cenno e per l’età media sempre più elevata delle gestanti, le madri trasmettono al neonato anticorpi in quantità sempre minore, ciò che potrebbe favorire l’insorgenza precoce di infezioni come quelle responsabili della distruzione delle Insulae pancreatiche, quindi

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PRIMA SESSIONE

dell’insorgenza sempre più frequente e più precoce del diabete insulino-dipendente e di altre malattie immunomediate. Disponiamo ogni anno di nuovi vaccini e siamo quindi fortemente interessati a renderli sempre più in grado di conferire una memoria immunologica di lunga durata. Tuttavia, i meccanismi di mantenimento della memoria immunitaria sono rimasti oscuri fino a non molti anni or sono.

Due linee di ricerca hanno finalmente consentito di comprendere quelli che oggi ci appaiono come i meccanismi essenziali di mantenimento della memoria immunitaria. Anzitutto sono state scoperte nel midollo osseo plasmacellule a lunghissima emivita, certamente responsabili della produzione di gran parte delle IgG circolanti. Ma soprattutto si è osservato che, quando iniettiamo un antigene, vengono prodotti, soprattutto nel corso di una risposta secondaria, altissimi titoli di anticorpi specifici diretti contro quel determinato antigene ma al contempo anche incrementi rilevanti di tutti gli anticorpi IgG diretti contro tutti gli antigeni che quel soggetto ha incontrato nel corso della propria vita. In sostanza, le infezioni servono a rafforzare non soltanto la memoria anticorpale diretta verso i propri antigeni ma anche tutta quanta la memoria immunitaria nel suo insieme. Come può avvenire questo fenomeno? La risposta è venuta dagli studi immunità innata o naturale, quella che non richiede il riconoscimento degli antigeni microbici ma che interviene con i microfagi ed i macrofagi, con il complemento e con altri meccanismi ancora attaccando e uccidendo direttamente i patogeni che tentano di invadere l’organismo. Sappiamo oggi che le cellule dell’immunità innata riconoscono porzioni molecolari legate alla patogenicità (i così detti PAMP, Pathogen Associated Molecular Patterns) per mezzo di PRR (Pathogen Recognition Receptors) che sono rappresentati principalmente dai Toll Like Receptors (TLR). La scoperta chiave è stata quella che i linfociti di memoria esprimono non soltanto immunoglobuline di membrana capaci di riconoscere l’antigene ma anche TLR in grado di legare i patogeni. Il quadro di insieme, a questo punto è chiaro (Fig. 1): quando penetra nell’organismo, il patogeno stimola tramite le immunoglobuline di membrana i cloni di B linfociti diretti contro i propri antigeni ma al contempo lega e stimola tramite i propri PAMP i TLR espressi dai B linfociti di memoria provocando così un richiamo generalizzato dalla memoria immunitaria. Sappiamo bene che nel corso di questi ultimi 50 anni e, più in generale nel corso di quest’ultimo secolo, l’adozione di stili di vita sempre più igienici ha portato ad un crollo della circolazione microbica ambientale con conseguente crollo della mortalità infantile che è passata da poco meno del 20% all’inizio dello scorso secolo all’attuale 3-4 ‰. Al contempo, l’igienizzazione ha portato ad un aumento epidemico delle malattie allergiche, di molte malattie autoimmuni e, per quanto si è detto poc’anzi ad un progressivo affievolimento dei meccanismi di mantenimento della memoria immunologica. Nessuno sarebbe tanto folle da desiderare il ritorno ai livelli di mortalità infantile dei secoli scorsi per evitare allergie e malattie autoimmuni. Sarà invece necessario approntare vaccini sempre più immunogeni per garantire una lunga memoria ed al contempo mettere appunto PAMP farmacologici in grado di stimolare la memoria immunologica ma, a differenza dei patogeni, privi della capacità di provocare malattie.

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Ogni agente infettivo porta con se determinati antigenici (Ags) che incontrano i cloni specifici di B linfociti (“Naif B cell”) dando luogo ad una risposta immunitaria antigene - specifica.

Al contempo gli agenti infettivi portano con se molecole (Pamp, Patoghen Associated Molecular Patterns) riconosciute dai recettori dell’immunità innata. Questi recettori sono espressi anche dai B linfociti di memoria (IgM memory, Switch Memory) che vengono quindi stimolati dai Pamp proliferano e si differenziano in plasmacellule anticorpopoietiche. Tutte le infezioni contribuiscono a rafforzare la memoria immunologica di tutto il repertorio antigenico.

SECONDA SESSIONE

12 DICEMBRE 2009

Presidenti: Luigi Cataldi, Antonio Correra

Moderatori: Gerardo Chirichiello, Ciro Martiniello, Gennaro Vetrano, Renato Vitiello

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SECONDA SESSIONE

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