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Stronati, A Borghes

strategie Di prevenzione Delle inFezioni nosocomial

M. Stronati, A Borghes

Neonatologia, Patologia Neonatale e Terapia Intensiva, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia Introduzione

Si definiscono nosocomiali le infezioni contratte in ambiente ospedaliero che non sono evidenti né in incubazione al momento del ricovero ma si manifestano durante o dopo la degenza e sono a questa correlate; vengono generalmente considerate nosocomiali neonatali quelle infezioni insorte dopo 48 - 72 ore dal momento del ricovero (1).

Negli ultimi quindici anni si è verificato un notevole incremento (fino ad oltre l’80%) della sopravvivenza dei neonati di peso molto basso alla nascita che costituiscono per le loro peculiari caratteristiche e per la prolungata permanenza in ospedale una popolazione ad alto rischio infettivo (2).

Le infezioni costituiscono un problema rilevante nelle Terapie Intensive Neonatali (UTIN) dove si evidenziano con una frequenza del 7- 24,5% (2-5) e fino al 40% in neonati di peso < 1000 g. o di età gestazionale < 28 settimane (2,6,7).

Le più frequenti infezioni in UTIN sono le setticemie (45-55%), le infezioni delle basse vie respiratorie (16-30%) e delle vie urinarie ((8-18%) (1,5). I microrganismi in causa sono soprattutto Gram positivi (55,4- 75%), seguiti da Gram negativi (18-31,2%) e miceti (9-12,8%) (1,8), mentre sottostimato in queste infezioni è il ruolo svolto dai virus i quali sempre più frequentemente negli ultimi anni si sono resi responsabili di gravi epidemie (6).

La mortalità nelle infezioni nosocomiali dipende dal microrganismo in causa: per un Gram negativo oscilla tra il 26-42%, per un Gram positivo tra l’8,7-10,1% e per le infezioni sistemiche fungine tra il 27- 28% (1,2).

Le strategie in grado di permettere il controllo delle infezioni nosocomiali sono numerose e mirano principalmente a interrompere la trasmissione dei microrganismi all’interno dei reparti, a limitare la suscettibilità e ad aumentare le difese del paziente, a promuovere un utilizzo mirato dei farmaci antimicrobici (9). Il Vermont Oxford Network ha dimostrato che una scrupolosa attenzione ad alcune misure di controllo (“Potentially Better Practices”) permette di ridurre l’incidenza delle infezioni nosocomiali (10). Tali “better practices” includono la standardizzazione e la promozione del lavaggio delle mani e della cura della cute del paziente, la riduzione dei tempi di permanenza dei cateteri centrali e della durata della ventilazione meccanica, il miglioramento della “cultura” del reparto al fine di rendere consapevole lo staff del ruolo svolto nella disseminazione delle infezioni. L’applicazione di stretti protocolli, lo svolgimento di programmi di educazione del personale, la continua verifica, ed il feedback al personale stesso dei risultati ottenuti si sono rivelati strumenti efficaci nel ridurre l’incidenza di infezioni nosocomiali.

Recentemente numerosi lavori hanno guardato all’uso di tecniche molecolari, finora utilizzate solo a fini epidemiologici, per l’identificazione delle sorgenti di infezione e delle vie di contaminazione durante gli episodi epidemici e la programmazione di strategie di prevenzione (11).

Molti sono i fattori che possono aumentare il rischio di contrarre un’infezione nosocomiale. Tra questi prenderemo in considerazione i più importanti che sono suscettibili di essere limitati efficacemente da strategie preventive attuate dal personale sanitario come: l’igiene delle mani, l’uso dei cateteri centrali, la chemioprofilassi, la cura della cute.

Igiene delle mani

L’igiene delle mani rimane la strategia più semplice ed economica e, secondo i Centers for Disease Control and Prevention (CDC), il provvedimento singolo più importante per impedire la trasmissione dei microrganismi nelle UTIN (12,13).

Nonostante Semmelweis dimostrasse già circa 150 anni fa che la mortalità legata alle infezioni ospedaliere poteva essere ridotta mediante il lavaggio delle mani da parte del personale sanitario, ancora oggi l’aderenza alle raccomandazioni continua ad essere molto bassa, di non più del 20-50% (14-16).

67 RELAZIONI

SECONDA SESSIONE

In un trial clinico multicentrico condotto da Pittet e coll (17), una intensa campagna di promozione dell’igiene delle mani si traduceva in un significativo aumento della aderenza ai protocolli (dal 48% al 66%, p<0,001). Nello stesso periodo era possibile registrare una riduzione della frequenza di tutte le infezioni nosocomiali (dal 16,9% al 9,9%, p=0,04) ed in particolare una riduzione della frequenza di trasmissione dello Staphylococcus aureus meticillino-resistente (MRSA) (da 2,16 a 0,93 episodi per 10000 pazienti- giorno, p<0,001).

La scelta dei prodotti per il lavaggio delle mani è ancora oggi materia di dibattito. Secondo alcuni Autori i disinfettanti alcolici (principalmente disinfettanti a base di 2-propanolo al 60%), rispetto al lavaggio delle mani con sapone (microbicida o non), sembrano avere maggiore efficacia microbiologica, agiscono più velocemente, sono meno irritanti per la cute, e possono essere posizionati in vicinanza del posto di ricovero (16,18,19). Girou e coll in un trial clinico randomizzato hanno osservato che la contaminazione batterica delle mani si riduceva mediamente dell’83% dopo la disinfezione alcolica contro una riduzione del 58% dopo lavaggio con acqua e sapone (p=0,012). Al contrario Larson e coll (20) in un più recente lavoro non hanno riscontrato una differenza statisticamente significativa delle conte microbiche medie dalle mani degli operatori dopo lavaggio con acqua e sapone o con soluzioni alcoliche (3,21 vs 3,11 log10 di unità formanti colonie; p=0,38), né hanno potuto osservare differenze nella frequenza di infezione tra i due gruppi (OR 0,98).

Le raccomandazioni per il lavaggio delle mani recentemente pubblicate dalla Centers for Disease Control and Prevention (CDC) Healthcare Infection Control Practices Advisory Committee (HICPAC) (21) consigliano il lavaggio delle mani con acqua e sapone (microbicida o non) in caso di mani evidentemente sporche di sangue, liquidi corporei o altro, e lo sfregamento delle mani con soluzioni disinfettanti alcoliche in caso di mani non visibilmente sporche, e per la disinfezione tra un paziente e l’altro. Va ricordato che le unghie devono essere curate e prive di smalto e non devono essere indossati anelli, braccialetti, orologi ed unghie finte.

Il miglioramento della compliance alle raccomandazioni deve essere un obiettivo di qualsiasi UTIN e può essere ottenuto attraverso interventi che includano programmi di educazione del personale sanitario, il monitoraggio dell’aderenza ai protocolli ed il feedback al personale sanitario dei risultati ottenuti (21). Prevenzione delle infezioni e cateteri venosi centrali

L’utilizzo dei Cateteri Venosi Centrali (CVC), spesso indispensabile in UTIN specialmente per i neonati di peso molto basso per la nutrizione parenterale e la somministrazione di farmaci, aumenta considerevolmente il rischio di sepsi (4,22).

Freeman e coll. già dai primi anni ’90 riportavano che il 14,9% delle infezioni da CONS poteva essere attribuito all’uso di CVC, e che il 56,6% di tutti i casi di batteriemia poteva essere causato dall’uso di emulsioni lipidiche per via endovenosa (23). In un successivo lavoro lo stesso gruppo dimostrava che l’uso dei CVC e dei lipidi per via endovenosa si associa indipendentemente al rischio di sviluppare una batteriemia nel corso della degenza in UTIN (24).

Le strategie per ridurre le infezioni legate al CVC includono: 1) precauzioni durante le procedure di posizionamento e durante le manipolazioni del CVC, 2) riduzione dei tempi di permanenza del CVC, 3) utilizzo di cateteri impregnati, e 4) rimozione del CVC in presenza di colture positive.

1) Il trasferimento della flora cutanea del paziente al catetere può avvenire durante le procedure di inserzione, durante le manipolazioni del raccordo e durante le procedure di sostituzione del circuito di infusione(25).

Particolarmente importante è la scelta del punto di inserzione (26) e la sterilità nelle manovre di inserzione secondo il concetto di “maximal barrier precautions” (uso di cuffia, maschera, guanti, e camice sterile) (27).

Golombeck e coll. riportano un decremento delle infezioni totali da 15,8 a 5,1/1000 cateteri-giorno dopo l’istituzione di una “maintenance team” costituita da un medico e due infermieri dedicati al posizionamento e al mantenimento dei cateteri centrali secondo adeguati protocolli (28). La corretta gestione del CVC

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