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I vincoli della decisione di bilancio

A seguito della riforma del 2012 la dottrina maggioritaria ha sostenuto che vi sia una sostanziale continuità tra la disciplina vigente e quella precedente, si è cioè affermato che l’attuale framework normativo sia duttile e disancorato da ogni dottrina economica. La decisione di bilancio insomma, secondo la letteratura prevalente, potrebbe essere impostata sui binari delle politiche keynesiane o su quelli del rigore in base alle valutazioni compiute dagli organi di indirizzo politico. Tuttavia, alla luce di quanto illustrato, tale giudizio non è persuasivo.

Alcuni spunti critici, a riguardo, sono stati tratti già dall’analisi del testo costituzionale. Se il concetto di equilibrio, come richiamato dal primo comma dell’art. 81 della Costituzione, è inidoneo a definire come rigido il paradigma della decisione di bilancio, esso, d’altra parte, non può da solo provare la sua duttilità. Come già detto, l’espressione a causa della sua vaghezza serve solo a escludere la sussistenza del vincolo più stringente (il pareggio nominale) lasciando impregiudicate tutte le altre possibilità.

Segnali meno equivoci provengono invece dal secondo comma; esso, infatti, limitando e rendendo eccezionali i casi in cui è ammesso il ricorso all’indebitamento dimostra una chiara avversione verso le politiche in deficit

spending. Se nella Costituzione del ’48 il deficit è un’opzione liberamente

percorribile dai policy maker, nel testo attuale diviene un’eccezione, mentre il rigore contabile è la regola. La concezione patologica dell’indebitamento è altresì rivelata dal fatto che nel caso in cui si faccia ad esso ricorso si deve (obbligatoriamente) provvedere contestualmente a indicare un piano di rientro, cosicché la deviazione dei conti pubblici dal “tracciato” si esaurisca entro un arco di tempo ben individuato. Infine anche il terzo comma dell’articolo 81 rivela un mutamento rispetto al passato: attraverso l’eliminazione del sistema di reciproche

Celestino Carlo Locci, Governance economica europea e decisione di bilancio, Dottorato in Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Sassari

188 limitazioni tra legge di bilancio e norme di spesa, la Carta esprime la preminenza dell’interesse finanziario su ogni altro.

I contorni di questo quadro normativo divengono ancora più nitidi se si rivolge l’attenzione alla legge di attuazione della disciplina costituzionale. Con la legge 243 del 2012, infatti, il legislatore elimina ogni margine di ambiguità e chiarisce la portata della regola dell’equilibrio, declinandola in un vincolo numerico che (seppur stabilito all’interno di una forbice) non può mai essere inferiore al “valore soglia” individuato dalla Commissione (l’MTO minimo) sulla base di un calcolo matematico. Nella più “flessibile” delle possibilità quindi il saldo netto strutturale dell’Italia dovrà attenersi a un vincolo numerico individuato da Palazzo Berlaymont sulla base di un’operazione aritmetica. L’anelasticità del governo dei conti pubblici è inoltre denunciata dalla previsione del meccanismo automatico di correzione che impone all’Esecutivo, laddove si verifichi uno scostamento che possa pregiudicare il raggiungimento dell’obiettivo a medio termine, di adottare tutte le misure necessarie per il suo conseguimento entro l’arco di tempo già stabilito. Il rispetto del precetto contabile viene così accompagnato da un’ulteriore garanzia che però, come appare chiaro, comprime la sfera di discrezionalità degli organi di indirizzo. Non solo. Si ricordi, infatti, che l’assoggettamento dei saldi di bilancio a un vincolo di carattere numerico, l’avversione verso l’indebitamento e l’istituzione di un meccanismo automatico di correzione sono elementi essenziali del paradigma di bilancio elaborato dalla Constituional Political Economy. Inoltre dalla lettura della legge 243, cit., si ha l’impressione, confermata dai numerosi rinvii all’ordinamento eurounitario, che il legislatore statale abbia voluto adeguare l’impianto normativo nazionale alla costituzione fiscale europea. Ne deriva che il diritto interno, al pari di quello sovranazionale, vede nella stabilità finanziaria la

Grundnorm su cui fondare il governo dei conti pubblici. È alla luce di quanto

appena illustrato che si ritiene di poter inferire che l’attuale disciplina in materia di bilancio sia: rigida, perché vincola la decisione a un limite di carattere numerico, e orientata verso la dottrina economica della Consitutional Political Economy. In definitiva è possibile affermare che tra i due modelli costituzionali richiamati nella

Celestino Carlo Locci, Governance economica europea e decisione di bilancio, Dottorato in Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Sassari

189 prima parte del lavoro (§ 3, Cap. I), l’Italia abbia deciso di aderire a quello che limita le prerogative degli organi statali e impone, ex lege, decisioni finanziarie ispirate al canone del rigore.

Per falsificare quanto prospettato si dovrebbe dare una risposta a questo interrogativo: possono attualmente i policy maker statali sulla base di una valutazione politica, e quindi in virtù di un giudizio di opportunità, attuare politiche in deficit spending? Se la risposta è positiva le superiori conclusioni sono evidentemente fallaci, diversamente si dovrà concordare con l’impostazione generale prospettata.

Si può quindi sostenere che vi sia una soluzione di continuità tra l’attuale quadro normativo e quello in vigore prima della riforma del 2012, del resto da qualsiasi punto si inquadri la questione un dato sembra incontrovertibile: il vincolo dell’equilibrio di bilancio («vago e impalpabile») descritto dalla giurisprudenza costituzionale è stato sostituito da uno di carattere numerico, e tanto basta a rivelare la distanza siderale intercorrente tra il paradigma anteriore alla riforma del 2012 e quello successivo. Bisogna tuttavia riconoscere che la scelta di introdurre vincoli così stringenti all’interno della Costituzione è stata liberamente assunta dal legislatore italiano: non esistevano infatti obblighi giuridicamente rilevanti che imponessero questa soluzione (come attestato dalla giurisprudenza costituzionale francese), né valore vincolante può essere attribuito alle sollecitazioni informali poste in essere dalle istituzioni europee. Non solo. Come dimostrato dagli orientamenti della Corte Costituzionale, il risanamento dei conti pubblici si sarebbe potuto condurre anche attraverso un’interpretazione più rigorosa della disciplina in vigore e quindi a Costituzione invariata. Seguendo questa via, invece, l’Italia ha deciso di assumere un vincolo opprimente che parte dal presupposto, scientificamente non pacifico (§ 3, Cap. I), che l’austerità sia il più corretto tra gli indirizzi su cui può essere impostata la politica fiscale, a prescindere dal contesto nel quale essa dovrà intervenire.