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Abbiamo visto nel paragrafo precedente come la medicalizzazione costituisca una fonte di studio molto diffusa e che essa, pur venendo intesa sempre quale cornice su cui si edificano le vite dei soggetti, venga indagata sotto vari aspetti. Inoltre, abbiamo messo in luce come tutte queste ricerche non possono prescindere dalla rilevazione che il meccanismo di medicalizzazione, che soggiace alla farmacologizzazione, all’automedicalizzazione e alla costruzione medicalizzata della vita, sia atto alla propagazione di una norma, cioè mira a plasmare e a creare dei comportamenti che, pur rientrando in un paradigma dato, non reprimono il corpo e lo slancio vitale, ma lo alimentano e lo ampliano al fine di incanalarlo all’interno di una via e di un ordine preciso che è quello proprio dell’apparato statale che si fonde con l’istanza economica e che regola il soggetto politico rappresentato dalla popolazione. La norma, instaurata dalla medicina, fa sì che si attui una visibilità e una classificazione costante del soggetto che consente di affermare che il problema della malattia del singolo s’inserisce all’interno del problema generale della salute della popolazione, poiché il potere assume dal XVIII secolo il nuovo compito di conservare la forza lavoro, compito che viene anche oggi perpetuato assieme a quello di capitalizzare la salute, quale forma che ogni soggetto vuole possedere. In altri termini, la medicalizzazione ha come propria essenza quella di porre il soggetto all’interno di una norma e di instaurare dei meccanismi interni ad esso che lo pongano come autore di una continua verifica personale finalizzata alle possibilità di essere funzionale all’ordine sociale a cui appartiene, la popolazione, la quale costituisce il bersaglio dell’agire del potere politico atto alla sicurezza sociale.

Questa tesi della medicalizzazione, proposta da Michel Foucault, viene oggi messa in discussione da Adele Clark e dagli studiosi che s’ispirano alle sue teorie, i quali asseriscono che tramite l’emergere della biomedicina, in particolare dell’ingegneria genetica, le funzioni dei meccanismi medici mutino dall’instaurazione nei soggetti della norma condivisa al fine di realizzare la sicurezza della popolazione, alla possibilità di realizzare i desideri propri dei singoli soggetti. La biomedicalizzazione, termine coniato da Adele Clark, mette in luce che con l’emergere dell’ingegneria genetica e della biomedicina il fine della medicina non sia più quello prospettato da Foucault cioè una medicina sociale della popolazione, ma esso si costituisce attorno alla propensione di migliorare e di rendere possibile la volontà singolare del soggetto di potenziare e ottimizzare la propria condizione vitale. La prassi medica muta così il proprio interesse finale dalla popolazione al soggetto. In altri termini si passa da una logica del controllo ad una logica della trasformazione, poiché mentre la medicalizzazione si focalizza sul controllo e sulla normalizzazione del corpo, le pratiche biomediche enfatizzano la trasformazione delle situazioni attraverso prassi che non vogliono solo curare, ma anche migliorare e trasformare gli stessi corpi. A questo proposito Clark scrive: “il punto cruciale

della teoria della biomedicalizzazione è che la biomedicina intesa in senso lato trasforma dall’interno gli assetti sociali vecchi e nuovi […] e trasforma le modalità di pensare la vita stessa. La medicalizzazione enfatizza il controllo sui fenomeni medici, malattie, infortuni o disfunzioni organiche. La biomedicina enfatizza la trasformazione di tali fenomeni medici, intervenendo non solo per curare, ma al fine di aumentare e produrre l’enhancement256”.

In altri termini la medicalizzazione, così come teorizzata da Foucault, è dedita a correggere la devianza sociale tramite l’annessione ad una norma dei corpi che si costituiscono in popolazione, la biomedicalizzazione agisce invece sulla trasformazione interna degli stessi al fine di migliorarne le capacità. Su questo punto Marco Marzano, professore ordinario dell’Università di Bergamo e studioso attento a queste tematiche, scrive: “l’osservazione

riguarda un punto trattato per esteso nel saggio di Clarke […] cioè la straordinaria trasformazione che ha investito i fini ultimi della medicina. Che oggi non assolve più solo al compito di rimetterci in salute e restituirci alla normale vita sociale né a quello di agire da strumento di controllo sociale delle nostre esistenze. No, oggi la medicina, si mette al servizio dei nostri desideri. Persegue l’ottimizzazione257”. Gli esempi portati da Marzano per cogliere

tale situazione sono facilmente comprensibili, infatti egli parla della possibilità di aumentare

256 A. Clarke, Biomedicalization: Technoscience, Health, and Illness in the U.S., Duke University Press, 2010, p.

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257 M. Marzano, Vecchi concetti nuovi paradigmi: la biomedicalizzazione in Italia, in Salute e Società, N. 2,

il seno, di rifarsi il naso, di assumere pillole per aumentare la memoria, di progettare a tavolino i figli che vogliamo avere, di ridurre o addirittura eliminare le malformazioni grazie alla possibilità di agire sul nostro patrimonio genetico. Sembra, così, che oggi la medicina sia radicalmente mutata rispetto a quella teorizzata da Foucault, poiché sembra aver messo l’accento sull’individualità, sui desideri del singolo nel suo rapportarsi nel mondo258. Non è un caso che la stessa Clarke sostenga che oggi si assiste ad uno spostamento dallo sguardo

clinico teorizzato da Foucault verso uno sguardo molecolare, ovvero l’accento si sposta dai

corpi e dall’insieme che i corpi costituiscono (popolazione) verso i geni che costituiscono gli stessi corpi. Non è un caso che la stessa scriva: “all’inizio della seconda metà degli anni’80,

alcuni grandi cambiamenti tecno-scientifici nella costituzione, organizzazione e pratica della biomedicina contemporanea hanno condotto al periodo della biomedicalizzazione […] le pratiche di biomedicalizzazione enfatizzano soprattutto quelle trasformazioni che avvengono attraverso interventi high-tech immediati indirizzati non solo al trattamento, ma sempre di più anche al mantenimento, al miglioramento e all’ottimizzazione della salute – il senso crescente di obbligo o responsabilità individuale di fare il meglio possibile di se stessi259”. In

particolare la studiosa sostiene che è possibile elaborare una classificazione storica che possa mettere in luce l’ascesi della biomedicalizzazione. La prima tappa da cogliere è quella relativa al periodo tra il 1890 e 1945, anni nei quali si assiste all’ascesa della medicina e alla sua specificazione e legittimazione. Il paradigma della pratica medica era relativo al curare le patologie più gravi per assicurare la permanenza nel mondo del soggetto. Dal 1945 al 1985, invece, si assiste al mutare del paradigma verso ciò che prende il nome di medicalizzazione, ovvero la medicina diviene un’istanza di controllo dell’ambito sociale, situazione che cambia nuovamente dal 1985 in poi e che si protrae sino ai nostri giorni, nei quali l’ingegneria genetica e tutte le pratiche biomediche portano la stessa ad assumere il nome di biomedicalizzazione, che trova il proprio scopo nella trasformazione e ottimizzazione dell’uomo che agisce nell’ambito sociale. La biomedicalizzazione non è più, in prima istanza, una forma medica che tende al controllo sociale, ma essa punta al rafforzamento e alla trasformazione dei soggetti che, agendo nell’ambito sociale, ne mutano il corso in ragione delle loro possibilità potenziate. Per tal ragione Clark afferma che lo scopo della biomedicalizzazione non è normalizzare, ma ottimizzare, dove con questo termine non

258 Su questo tema il filosofo francese Christian Godin scrive: “ci si potrebbe chiedere, in effetti, se oggi non stiamo assistendo a una trasformazione dell’immagine della scienza, che nel suo ruolo tradizionale soddisfaceva i bisogno dell’essere umano e che in seguito […] si è indirizzata sempre più verso i desideri”. La vita in vendita,

Lindau, Torino 2005, p. 70

259 A. Clarke, Medicalizzazione e biomedicalizzazione rivisitate: tecno-scienze e trasformazioni di salute, malattia e biomedicina, in Salute e Società, N. 2, 2009, p. 233

s’intende la sola possibilità di ricondurre all’interno di una norma al fine di regolare e proteggere la società, ma si riferisce alla possibilità di cambiare continuamente il mondo da parte del soggetto ottimizzato. Infatti, essa sostiene che: “ottimizzazione – ovvero gli sforzi

per migliorare e assicurare il miglior futuro possibile per se stessi. […] l’ottimizzazione coinvolge anche l’assunzione di nuovi tipi di identità individuali e collettive (incluse quelle famigliari) modulate biologicamente, originariamente descritte come modalità tecnoscientifiche260”. La medicalizzazione, così come teorizzata da Foucault, finisce, secondo

Clarke, quando compaiono le tecnologie che non solo conformano il soggetto alla normalità che si stabilisce quale regolazione della popolazione al fine di proteggere il sociale, ma lo trasformano in conformazione ad un ideale più ampio di salute che tenga conto anche della volontà singolare del soggetto stesso. Non si tratta più di riferirsi alla popolazione e dunque di mettere in luce delle pratiche di soggettivazione che permettano al soggetto di uniformarsi alla norma, ma si svincola il soggetto dalla popolazione, trasformando lo stesso nell’autore consapevole di forme nuove di soggettività che lo conducono ad agire al di là delle regole normanti di sicurezza date da un potere mirante alla protezione della popolazione stessa. La trasformazione porta, dunque, nuove possibilità al soggetto che possono essere lette come un’inversione dei meccanismi di soggettivazione, infatti non è più la normalizzazione prodotta della medicalizzazione che offre le modalità con le quali il soggetto si pensa tale, ma sono le possibilità aperte dall’ottimizzazione che offriranno sempre nuove modalità di rappresentarsi da parte del soggetto. Il punto da cogliere è che la medicalizzazione è una modalità che agisce sull’umano, la biomedicalizzazione è invece ciò che potrebbe portare all’insorgere del post-umano, ovvero alla possibilità di cambiare l’uomo da come noi oggi lo consideriamo. La differenza fondamentale tra i due paradigmi si ritrova dunque in ciò che assume il nome di enhancement, ovvero il miglioramento delle capacità del soggetto: la biomedicina infatti sposta il focus da curare e normalizzare a trasformare e migliorare.