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Il concetto di guarigione: dalla critica medica all’analisi sociale

Conrad e Blech hanno messo in luce come la medicina entri sempre più nella vita di ogni soggetto, tanto da diventarne non solo la fonte di risoluzione di alcuni problemi, ma il vero e proprio mezzo a cui votarsi per tentare di dar senso al mondo da parte dello stesso soggetto. In altri termini possiamo oggi affermare, come sostiene Popper, che la scienza, intesa come medicina, abbia totalmente preso il posto della religione nell’organizzazione di senso propria dei soggetti. Secondo Furedi il fenomeno di analisi dell’impatto che la medicina riveste nella nostra società, che prende il nome di medicalizzazione della vita, nasce originariamente attorno agli anni 60 come critica al professionalismo medico, con particolare riferimento all’esercizio di potere imposto dai medici come forma di controllo sociale sui corpi e sui comportamenti non conformi alle norme prevalenti. A questo proposito scrive: “la tesi sulla

medicalizzazione emerge come critica al professionalismo medico, in particolare si focalizza sul potere medico. Essa rappresenta una reazione contro il razionalismo che gli esperti insegnano e rispetto al modello biomedico di salute che propongono. Spesso, questo esercizio del potere è stato ritratto come forma di controllo sociale […] atto a conformare alla norma prestabilita. Per molti degli esponenti di questa tesi, la medicalizzazione fu associata alla ricerca consapevole dell’interesse medico, attraverso la creazione di un’egemonia nella definizione e nella gestione della salute e della malattia. La metafora “imperialismo medico” fu rappresentata per esprimere l’idea di un’espansione predatoria della professione medica81”.

Per cogliere lo sfondo in cui nasce la teoria della medicalizzazione della vita è necessario far riferimento all’opera di Talcott Parsons, il quale sin dagli anni ’50 studia il concetto di fenomeno sociale, partendo dal presupposto che ogni fenomeno presente in una determinata società rappresenti il risultato di un insieme strutturato di relazioni che avvengono tra attori sociali. Ne segue che per Parsons il sistema sociale è costituito da parti connesse tra loro, dalle connessioni di queste parti nascono degli effetti strutturali che possono essere “funzionali” o normali” e effetti cosiddetti “devianti” che pur essendo interni al sistema stesso

possono strutturarne una diversa conformazione 82. Da questo assunto di base si può dedurre come nessun individuo sia indipendente dal sistema sociale, in quanto in ogni momento conserva tutti i propri ruoli sociali83. La società, pertanto, è orientata nel conservare il proprio ordine sociale, stabilendo delle regole, delle norme e delle sanzioni, ma all’interno di tale sistema i diversi attori possono strutturare il loro rapporto al fine di guadagnare potere. In particolare, nel decimo capitolo di The Social System, egli asserisce che anche la medicina e l’oggetto della stessa, la malattia, agiscano in un sistema sociale dato, mostrando però come la malattia si erga anche a situazione contraria ai principi normativi e funzionali stabiliti dalla società, infatti scrive: “la malattia rende incapaci di assolvere efficacemente i ruoli sociali

[…] si può così considerare il malato come un deviante e per tal ragione esiste un interesse funzionale della società al suo controllo84”. Ne segue che la medicina disciplinando i corpi

verso una normalità data acquisisca un forte potere all’interno della società, per tal ragione la stessa medicina può dilatare il confine tra normale e patologico al fine di creare degli effetti strutturali interni al sistema stesso che determinano un nuovo modo di definire l’essere funzionale o l’essere deviante. Così facendo la medicina può agire all’interno del sistema società guadagnando potere su nuove dimensioni dell’esistenza. Alla descrizione di società fornita da Parsons si aggiunge la tesi di Jesse Pitts85, il quale sostiene nel 1968 che l’estensione della medicina sia funzionale al desiderio dei medici di attuare un controllo sociale, ad esempio per Pitts la medicina si occupa dell’alcolismo facendo passare lo stesso da peccato (cattiva abitudine o attitudine di vita) a malattia (sindrome che necessita una cura). Cosi facendo essi estendono il loro potere e colonizzano sempre nuove sfere dell’esistenza. Dello stesso parere si pone anche Freidson86, il quale sostiene che il potere dei medici si alimenta grazie alla possibilità d’influenzare le seguenti situazioni: organizzazione dell’erogazione delle modalità di cura, prescrizione degli aspetti formativi riguardo tutti coloro che si occuperanno di sanità, individuazione delle gerarchie tra le professioni sanitarie. Ne segue che il termine medicalizzazione nasca come forte critica al potere medico, l’accento viene così posto sulla volontà degli stessi medici di agire al fine di ampliare il loro potere. Insomma, tra gli anni ’60 e ‘70 la medicina viene accusata di non guardare unicamente al bene del paziente, ma di servirsi di questo mandato al fine di incrementare i propri vantaggi e il proprio potere sociale. La classe medica diviene una casta che detiene un forte potere e lo vuole ampliare a dismisura, unicamente per realizzare un proprio vantaggio.

82 Cfr. U. Gerhardt, Talcott Parsons: An Intellectual Biography, Cambridge University Press 2002 83 Cfr. S. Segre, Talcott Parsons, University Press of America 2012

84 T. Parsons, The Social System, The Free press, 1951, pp. 438-439

85 J. R. Pitts, Social control: the concept, in International Encyclopedia of the social Sciences, n. 14, 1968 86 E. Freidson, Profession of Medicine, Harper and Row, 1970

Tale situazione cambia dalla metà degli anni ’70 in cui le analisi attorno alla medicalizzazione cominciano ad allontanarsi dalla pura critica della professione medica e del colonialismo che ne deriva, iniziando a considerare il ruolo dei medici come inserito all’interno di una volontà di controllo e di normalizzazione che vede gli stessi medici come delle pedine in mano ad altri poteri. In particolare l’autore di riferimento è Irving Kenneth Zola il quale, in un testo del 1972, mette in luce come la medicina stia diventando un’istituzione capitale di controllo sociale, che sostituisce le istituzioni tradizionali della religione e del diritto. Egli prosegue le sue analisi affermando che la medicina sia da considerarsi come la depositaria assoluta delle possibilità di stabilire una realtà, poiché degli esperti, i medici, si esprimono in maniera oggettiva attorno alla salute, la quale s’iscrive come una componente naturale presente nella vita dell’uomo. Egli scrive: “dalla sessualità all’alimentazione, dalle aspirine ai vestiti, dalla

guida automobilistica alla pratica del surf, sembra che in certe circostanze o nell’interazione con alcune sostanze o attività o in grado troppo o non abbastanza elevato, praticamente ogni cosa possa condurre a un problema medico. In breve, ho finito per convincermi che vivere è pericoloso per la salute. Questa osservazione non è così buffa come potrebbe sembrare, poiché qualsiasi aspetto della nostra vita quotidiana contiene degli elementi di rischio per la salute87”. Nonostante queste osservazioni Zola invita nello stesso saggio a riflettere sul fatto

che il processo di medicalizzazione non derivi unicamente dalla volontà da parte della classe medica di ottenere sempre più potere, ma esso sia il prodotto della società stessa la quale, cogliendo l’influenza del fattore salute nella vita degli uomini, sprona la medicina a diventare una nuova potenza di controllo sociale. In altri termini, Zola produce un notevole salto logico nella teoria della medicalizzazione della vita invitando a spostare il focus dal puro colonialismo medico alle potenze sociali, prima tra tutte il governo, che incita la medicina a guadagnare sempre più potere al fine di garantirsi un maggior grado di controllo sulla popolazione. Dunque, ciò che afferma Zola è che la medicina pur volendo perpetuare una forma di colonialismo professionale non è l’unica forza in campo che permette una tale presa di potere sulla vita. Le tesi di Zola vengono riprese, sostenute ed elaborate da Robert Crawford88, il quale sostiene che la medicalizzazione deve essere spiegata almeno sotto due

aspetti il primo è relativo alla volontà da parte della professione medica di espandere il proprio potere, il secondo è relativo all’utilità da parte delle forze sociali, come quelle che reggono il governo, di suddividere tutto il reale non tra giusto e ingiusto, ma tra salutare e non salutare. Poter disporre di una disciplina che s’interessa di ogni aspetto della vita e che scinde

87 I. K. Zola, Medicine as an Institution of Social Control, in Sociological Review, N. 20, 1972, p. 498

88 R. Crawford, Healthism and the Medicalization of Everyday Life, in International Journal of Health Services,

in questo ciò che è naturalmente accettabile e ciò che non lo è, risulta molto proficuo per chi detiene il potere, poiché potrà ordinare la popolazione non sulla base di leggi che rappresentino degli asserti etico-morali di comportamenti, ma attraverso un ordine naturale prestabilito. Le riflessioni di Zola e Crawford spostano completamente la modalità d’intendere la medicalizzazione, la quale da una critica alla professione medica, si trasforma in un’analisi molto più complessa volta al cogliere le molteplici forze in gioco che traggono profitto dal medicalizzare la vita quotidiana. Gli anni ’80-90 portano in dote questa maniera di leggere il fenomeno della medicalizzazione, la quale grazie alle analisi di Conrad, di Appleton89, di Furedi, di Blech e di molti altri estende il loro sguardo dalla sola classe medica ad altri soggetti come lo Stato, le industrie farmaceutiche, i media e i pazienti. Per tal ragione la medicalizzazione della vita non diventa più un problema confinato all’interno della sola analisi medica, ma diventa un territorio d’indagine politico, sociale e medico, in cui cercare di cogliere l’andamento della società, delle istituzioni che la sorreggono e dei soggetti che la compongono. Tale tendenza viene particolarmente evidenziata nel concetto di guarigione, poiché facendo continuamente riferimento al fatto che la medicina sta espandendo i propri confini, i quali abbracciano delle situazioni di vita che prima erano considerate come normali eventi vitali, il compito della stessa istituzione sarà quello di far guarire da questi eventi. Curare vuol quindi dire eliminare gli elementi che producono fastidio nella vita di tutti i giorni, ma vuol anche dire che si è stabilito una norma che prevede che tali atteggiamenti deviano dalla naturalità umana. Per far cogliere questa sfumatura si può far riferimento alla proposta di Colin Camerer, il quale sostiene che grazie ai suoi esperimenti sarà possibile entro dieci anni produrre una pillola per migliorare la capacità di prendere decisioni nel mercato azionario90. Oppure si parla molto della medicalizzazione delle difficoltà scolastiche91, dove l’oggetto sono le difficoltà dei bambini di ascoltare l’insegnante, di concentrarsi ecc. Ad esempio la ricercatrice Melissa Orlov, nel suo volume The ADHD effect on marriage, propone di curare il disturbo da deficit di attenzione al fine di prevenire i divorzi. Un ultimo emblematico esempio può essere offerto dall’estensione del concetto di depressione, il quale dal 2013 grazie alla pubblicazione del DSM-5 è divenuta diagnosticabile anche a chi prova tristezza a causa di un lutto, o per aver subito una operazione altamente invalidante come un’operazione al cuore o un trapianto d’organo. Tutto questo mette in luce come la medicalizzazione agisca sotto numerose spinte, sociali ed economiche, le quali riescono a

89 L. Appleton, Rethinking medicalization: Alcoholism and anomalies, in Images of issues: Typifying contemporary social problems, Gruyter, 1995

90 Cfr. M. T. Cometto, E se inventassimo la pillola per star bene?, in Corriereconomia, 13 giugno 2011, p. 21;

A. Maturo, La società bionica, Franco Angeli, Milano 2012, p. 14

creare dei principi di normalità e si servono della medicina per imporre tali forme normali alle persone. Per fare ciò è essenziale far guarire gli stessi soggetti dai loro comportamenti malsani attraverso una terapia e non è dunque un caso, come ha messo in luce Conrad, che uno dei processi della medicalizzazione sia quello di utilizzare i termini malattia, cura, terapia e guarigione per identificare tutti i fenomeni sociali. Ne segue che bisognerà ricorrere ad una terapia per far guarire chi non sa prendere delle giuste decisioni nel mercato finanziario, per chi non riesce a concentrarsi a scuola, per chi non si riesce ad impegnare in un matrimonio, per chi prova dolore per la morte di un proprio caro ecc. In altri termini, si utilizzano i termini della medicina per ogni situazione della vita, tanto che Jacques Testart sostiene che, utilizzando il termine terapia, ad esempio, quando si parla di impossibilità della procreazione e si ricorre alla fecondazione assistita, (la quale più che curare, ovvero ristabilire biologicamente le capacità di procreare da parte delle persone, si sostituisce ad esse attraverso la manipolazione dei gameti fuori del corpo), la quale pur soddisfando un bisogno di genitorialità dell’uomo, non aiuta lo stesso a superare la propria sterilità, analogamente si potrebbe addirittura parlare di terapia quando si adotta un bambino, poiché anche in questo caso si aiuta l’uomo dall’esterno ad ottenere il proprio scopo92.

Ciò che è importante cogliere è che il passaggio dalla medicalizzazione intesa quale critica alla disciplina medica alla medicalizzazione intesa quale sfera di senso e potere, articolata da molteplici attori attorno alla valenza del medico, passa in gran parte attraverso un’analisi del lessico terapeutico che si applica ad ogni campo della vita, il quale definendo guaribile un aspetto della vita stessa lo naturalizza e lo rende oggetto del campo di salute proprio dell’azione medica. Ne segue che quando parliamo di possibilità di far guarire, inevitabilmente stiamo parlando di poter ricondurre quell’aspetto dell’esistenza ad una norma prestabilita, dunque all’ideale di salute diffuso dalla medicina. Quindi, il fatto che prendere cattive decisioni nel mondo della finanza sia una malattia, vuol significare ricondurre tale atteggiamento all’interno della sfera della medicina, la quale dovendo agire per mantenere la salute, dovrà ricondurre l’uomo alla possibilità di prendere delle giuste scelte che possano alleviare il proprio dolore nella vita. Facendo questo si evince che la salute, pur essendo utilizzata con un significato naturale, è invece un concetto normativo, il quale prevede di poter agire all’interno di esso al fine di normalizzare la vita dei soggetti. Ovviamente, tale situazione si rivela di estrema utilità, infatti molti potrebbero essere interessati ad agire su un criterio normativo, che viene considerato come naturale e che investe le possibilità di stare bene al mondo di tutti gli uomini, al fine di premuore i propri interessi. Da tale osservazione

si può cogliere come far guarire vuol dire normalizzare le persone, cioè renderle plasmabili a delle idee decretate a tavolino da qualcuno. Il tentativo di cogliere chi è quel qualcuno rappresenta lo spostamento effettuato dagli studiosi della medicalizzazione nell’ambito delle loro ricerche.