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Nonostante si parli di concezione meccanicista e olistica della salute, il concetto comune a tutte e due queste espressione è che esista la possibilità di rintracciare in modo chiaro il concetto di salute. Ovviamente per i meccanicisti il compito del medico si basa solo nel ristabilire in maniera meccanica la normalità distorta dal guasto patologico, per gli olisti, invece, riparare il danno meccanico è solo una delle sfere a cui porre attenzione nel prendersi cura del paziente, in quanto è necessario riferirsi anche alla ritualità con cui si presta tale atto in modo da non ridurre lo stesso a puro oggetto. Dunque, è lecito affermare che nonostante ci sia una profonda differenza tra questi due sguardi e il concetto di salute proposto dall’OMS oggi in uso si riferisca alla visione olistica, tutte è due le dimensioni hanno messo in rilievo come sia del tutto possibile rintracciare un concetto univoco di salute. Questa definizione del concetto di salute quale norma assoluta da poter rintracciare è oggetto di critica da parte della bioetica, infatti si potrebbe sostenere come fa Abraham che: “la salute cos’è? Una

valutazione soggettiva o un insieme di dati oggettivi, che soltanto i calcoli della medicina ufficiale possono confermare?49”. In altre parole in bioetica si pone l’interrogativo sul fatto

che sia realmente possibile determinare, grazie alle analisi mediche, una condizione naturale di salute. A questo proposito Wulff, Pedersen e Rosenberg invitano a valutare se davvero la scienza medica possegga tali qualità, infatti scrivono: “ciò che l’osservatore registra come

disfunzione biologica dipende inoltre dai suoi preconcetti. Non esiste un’osservazione puramente obbiettiva50”. Tali autori pongono un quesito che non può essere ignorato, poiché

oggi noi, assecondando la definizione fornita dall’OMS, consideriamo come scontato che sia del tutto possibile parlare di normalità (stato di salute) e lo facciamo come se essa sia una prerogativa del mondo medico, tale sicurezza si riscontra nella media statistica utilizzata da tale pratica, che si rifà alla votazione scientifica di essa operata da Claude Bernard. A tale certezza naturale si può però contrapporre quantomeno una forma di dubbio sui criteri con cui queste medie statistiche determinano i criteri specie-tipici, deducendo la salute-normalità. In particolare Wulff, Pedersen e Rosenberg sostengono che: “il concetto statistico di normalità

solleva un ulteriore problema. Come può la persona che conduce i test essere sicura che gli

49 G. Abraham, C. Peregrini, Ammalarsi fa bene. La malattia a difesa della salute, Feltrinelli, Milano 1989, p. 80 50 H. R. Wulff, S. A. Pedersen, R. Rosenberg, Filosofia della medicina, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1995,

individui studiati fossero normali o sani? Probabilmente, ha selezionato un certo numero di persone che si sentivano e sembravano sane e questo significa che in fin dei conti la definizione di salute e malattia […] dipende dalla vaga impressione di qualcuno sullo stato di salute di un gruppo di persone. Questa conclusione non coincide con l’affermazione secondo la quale lo stato di salute è una questione di fatto e non un giudizio di valore51”.

Di particolare importanza a questo proposito è la visione di Lennart Nordenfelt il quale nel 1998 pubblica un lavoro dal titolo On medicine and health enhancement – Towards a

conceptual framework sostenendo che la definizione di salute proposta dall’OMS fosse troppo

ampia ed egli propone di considerare una persona in salute se: “preserva uno stato fisico e

mentale tale che le permetta di realizzare ogni suo obbiettivo vitale52”. Tale definizione di

salute è stata oggetto di lunghe polemiche e critiche53 e al di là della difficoltà che si potrebbe tratteggiare nella realizzazione della proposta di salute di Nordenfelt, ciò che si può rilevare è che egli sostiene che esista una possibilità di edificare un concetto di salute che sia naturalmente determinabile grazie all’osservazione medica, anche se lo stesso deve essere poi adeguato al personale progetto vitale del soggetto preso ad esame. In altri termini, Nordenfelt sostiene che esista un concetto di normalità umana, decretato dal grado di evoluzione antropica che determina anche il grado di adattabilità all’ambiente, il quale comporta che il concetto di salute può essere riscontrato come fonte oggettiva dell’atteggiamento umano, anche se lo stesso deve poi essere studiato e adattato al singolare progetto vitale.

La possibilità di dare un senso tangibile alla definizione positiva di salute fu messa in dubbio nel 1959 da René Dubos il quale nell’opera The Mirage of Health sosteneva che tale postulato fosse una pura utopia, poiché questo concetto dipendeva dai significati che culturalmente gli venivano attribuiti. Questo pensiero venne chiarito in un’opera successiva del 1965 dove scrive che:“il concetto di salute positiva è una creazione della mente umana […] esso non

potrà mai diventare realtà perché l’uomo non sarà mai così perfettamente adatto all’ambiente54”. Ciò che pone in rilievo Dubos è l’impossibilità di creare una definizione

naturale e positiva del concetto di salute, poiché egli sostiene che tale concetto sia completamente iscritto all’interno di un quadro culturale che elenca i codici normativi nei quali ricercare e leggere le statistiche attorno alla condotta normale umana e, per tal ragione, la ricerca non si può pensare come trascrizione oggettiva dei criteri di normalità. Una tesi

51 Ivi, pp. 65-66

52 L. Nordenfelt, On medicine and health enhancement – Towards a conceptual framework, in Medicine, Health Care and Philosophy, n. 1, 1998, p. 6

53 Per una panoramica sullo stato delle critiche vedi: R. Mordacci, The Destre for Health and the Promises of medicine, in Medicine, Health Care and Philosophy, n. 1, 1998, pp. 21-20; A. Maturo, Sociologia della malattia. Un’introduzione, Franco Angeli, Milano 2007

molto simile è quella sostenuta da Georges Canguilhem nell’opera Il normale e il patologico (1966), il quale asserisce che non esiste una condizione normale in sé e per sé, infatti egli critica tutta la tradizione che da Bernard ha condotto verso questa maniera di riferirsi al normale e al patologico, asserendo che tale modalità non sia derivata da una ricerca scientifica, ma corrisponda ad un puro dogma. A questo proposito scrive: “l’identità reale dei

fenomeni normali e patologici, apparentemente così differenti e caricati dall’esperienza umana di valori opposti, è diventata, nel corso del XIX secolo, una sorta di dogma55”.

Canguilhem critica anche la pretesa, che sempre da Bernard ha preso il via, di poter pensare la salute quale media statistica, asserendo che: “riteniamo che si debbano considerare i concetti

di norma e di media come due concetti differenti di cui ci sembra vano tentare la riduzione ad unità con l’annullamento dell’originalità del primo. Ci sembra che la fisiologia abbia di meglio da fare che cercare di definire oggettivamente il normale, e cioè di riconoscere l’originale normatività della vita56”.

Perciò, per Canguilhem, la salute non è normalità se non nella misura in cui è normatività, ovvero il sapere che si vuole oggettivo, la scienza medica, non può enunciare o scovare le norme della vita in senso positivo e unico. A questo proposito scrive: “il concetto di norma è

un concetto originale che non si lascia, in fisiologia più che altrove, ridurre a un concetto oggettivamente determinabile con metodi scientifici. Non si da dunque, propriamente parlando, una scienza biologica del normale57”. Per tal ragione la malattia non si può

misurare come uno scarto rispetto a norme prefissate una volta per tutte, ma essa corrisponde ad un mutamento nella qualità del vivere, cioè il confine tra normale e patologico è molto labile e ciò che sembra normale per una persona può essere patologico per un'altra. A questo proposito avverte che il concetto stesso di patologia può non essere inteso come il contraddittorio logico del concetto di normalità, poiché la malattia non è “assenza di norme,

ma presenza di altre norme58”. Quindi, la salute non può essere considerata come la perdita di

norme da ristabilire, ma come l’adattamento della vita a nuove norme inferiori o superiori, a tal proposito scrive:“la guarigione è la riconquista di uno stato di stabilità delle norme

fisiologiche. Essa si avvicina tanto più alla salute o alla malattia quanto più o meno questa stabilità è aperta a eventuali nuove modificazioni. In ogni caso, nessuna guarigione è ritorno all’innocenza biologica. Guarire significa darsi nuove norme di vita, talvolta superiori alle precedenti59”.

55 G. Canguilhem, Il normale e il patologico, Einaudi, Torino, 1998, p. 19 56 Ivi., p. 144

57 Ivi, p. 190

58 G. Canguilhem, La conoscenza della vita, Il Mulino, Bologna 1976, p. 234 59 G. Canguilhem, Il normale e il patologico, Einaudi, Torino 1998, p. 190

Il ragionamento di Canguilhem smaschera la presunta facilità della nozione positiva di salute che da Bernard si protrae sino alla definizione oggi in uso, ponendo in rilievo come non sia possibile poter parlare di normalità quale dato oggettivo e verificabile in ambito biologico. Degna di nota è anche la posizione di David Seedhouse, il quale sostiene che lo stesso concetto di salute non si possa intendere sotto un’unica fase interpretativa derivante dal considerare lo stesso come logica conseguenza dell’assenza di malattia o della condizioni che possano garantire l’esplicazione del proprio progetto di vita, in tal senso egli sostiene che esistano all’interno del concetto di salute almeno quattro piani di senso: il primo è relativo alla pura assenza di malattia; il secondo fa riferimento ad un piano sociale che legittima ed identifica le aspettative di vita le quali determinano anche le possibilità di considerare alcune situazioni come patologiche o meno; il terzo, definito piano idealistico, consiste nell’asserire che la salute debba essere intesa come la capacità di raggiungere un benessere fisico, psichico e sociale (situazione che dipende in larga parte dallo stato di uomo decretato dal secondo piano); la quarta, definito senso umanistico, corrisponde alla capacità di adattarsi soggettivamente e positivamente alle condizioni difficoltose della vita60. Anche Horwitz si avvicina a tale parere riflettendo su come sia del tutto impossibile descrivere (come fa Durkheim) una normalità dell’atteggiamento umano dalla quale poter desumere un concetto di salute. In particolare egli afferma che il concetto di normalità umana da cui deriva il concetto di salute debba almeno essere scomposto in tre gradi di significato. Il primo deriva da una prospettiva statistica la quale asserisce che è normale che una persona si comporti in un certo modo, sia alta almeno 170 cm, ecc., tutto determinato in base alla media delle altre persone. Tale media, però, può essere presa a riferimento in maniera del tutto arbitraria, infatti può essere riferita all’intero genere umano, ma questo vorrebbe dire disconoscere le importanti differenze culturali dello stesso, oppure allo stato in cui risiede lo stesso soggetto, ma anche in questo caso le difficoltà di un riscontro reale derivante dalle medie sarebbero enormi, basti pensare al tasso d’immigrazione presente in ogni stato ecc. Il secondo piano è quello che lui definisce evoluzionistico, ovvero come lui stesso scrive: “proprio come per i

cani è normale inseguire i gatti e gli uccelli normalmente migrano verso luoghi caldi, gli esseri umani normali sono coloro i cui occhi permettono di vedere le cui orecchie permettono di sentire61”. Perciò si guarda a come sia normale che l’uomo esegua alcune determinati tipi

di funzione, anche in questo caso, però, il risultato dell’osservazione dipende totalmente da chi la compie, infatti si potrebbe lecitamente asserire che un numero di persone che sono in sedia a rotelle considerino normale che l’uomo non debba camminare ecc. Il terzo grado di

60 D. Seedhouse, Health: The Foundations of Achievement, Wiley, 1986 61 A. Horwitz, Normality, in Context, n. 7, 2008, p. 71

normalità è definito da Horwitz “normativo”, ovvero la normalità viene intesa come la conformità ad un modello definito socialmente. In questo caso l’accento si deve porre sul fatto che ricondurre la normalità alla normatività non vuol assolutamente dire farla coincidere con la naturalità, infatti è naturale che molte persone abbiano problemi alla vista, o i denti storti, ma per la nostra società è invece naturale che si correggano i problemi alla vista o che si faccia in modo che i denti siano allineati. In altri termini la società decide cos’è normale e cosa non lo è, dopo aver preso tale decisione, si allinea su tale presupposto, spesso dimenticando che normatività non è l’equivalente di normalità.

Tutti questi autori mettono in luce che sostenere la salute come fenomeno oggettivamente identificabile sia una pura utopia, o una vera e propria mistificazione dell’agire medico- scientifico. In particolare essi sottolineano come oggi si faccia confusione tra normalità e normatività, poiché la salute viene intesa come uno stato normale, quando, invece, essa è un insieme di considerazioni rinvenibili nella biologicità dell’uomo uniti ad una serie di giudizi di valore attribuiti da chi esamina quei dati biologici, fornendo così un quadro normativo più che normale della salute. Infatti, Giovanni Berlinguer sostiene che: “le malattie umane non

sono un fenomeno puramente biologico. Esse variano non solo tra individuo e individuo, ma secondo le epoche, le zone del mondo, le classi sociali. Esse sono probabilmente uno degli specchi più fedeli e più difficilmente eliminabili del modo con cui l’uomo entra in rapporto con la natura, attraverso il lavoro, la tecnica e la cultura, cioè attraverso rapporti sociali determinati e acquisizioni scientifiche storicamente progredienti62”. Dalle parole di

Berlinguer si può cogliere come l’osservazione sulle patologie, oppure in senso più ampio sull’uomo, osservazione che dovrebbe identificare lo stato normale dell’esistere, dunque lo stato di salute dell’umanità, siano sempre viziate dalle credenze sociali che ne strutturano l’osservazione stessa. Non a caso Vineis e Satolli sostengono che: “la malattia (dunque la salute) è a tutti gli effetti un concetto normativo e non puramente descrittivo63”. Ne segue che

oggi siamo persuasi che la salute abbia una natura positiva e sia del tutto possibile rivelarla in senso oggettivo, ma non riusciamo a suffragare tale posizione con nessuna teoria che possa prescindere dal concetto di normatività della salute. Tale miscuglio tra normalità e normatività a favore della dimenticanza della normatività all’interno del mondo della medicina conduce ad invertire il proprio progetto, passando dalla possibilità di concepire il vivente quale essere soggetto di una normatività a cogliere la medicina quale creatrice di posizioni normative nella gestione dell’esistenza umana. Detto con altre parole è il

62 G. Berlinguer, Storia e politica della salute, Franco Angeli, Milano 1991, p. 33

63 P. Vinesi, R. Satolli, I due dogmi. Oggettività della scienza e integralismo etico, Feltrinelli, Milano 2009, p.

caratterizzare il concetto di salute quale derivante oggettivo dell’osservazione neutra compiuta attorno allo stato di naturalità dell’umana esistenza che sta ponendo le basi per la sovversione della logica che aveva portato alla creazione della medicina stessa, catena logica riassunta da Canguilhem nel seguente modo: “è innanzitutto perché gli uomini si sentono

malati che vi è una medicina. È solo secondariamente – per il fatto che vi è una medicina – che gli uomini sanno in che cosa essi sono malati64”. Infatti, oggi si può affermare che è per il

fatto che esista la medicina, che determina cosa è normale e cosa non lo è attribuendo a tale divisione un carattere oggettivo e scientifico, che le persone sanno di essere malate o meno.