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Illich è l’autore che più di ogni altro ha teorizzato il concetto di demedicalizzazione, il quale, come abbiamo visto nel primo paragrafo di questo capitolo, si basa su una concezione politica volta alla radicale trasformazione dell’esistenza basata sul capitalismo, per favorire l’instaurazione della società della convivialità. In altri, termini egli oppone alla medicina attuale, che fa prosperare il sistema di produzione industriale, una antimedicina che possa riportare il soggetto al centro della sua salute e della propria natura. A differenza di Illich, Conrad elabora una teoria della demedicalizzazione che non si basa su un rovesciamento dell’intero sistema sociale basato sulla medicalizzazione, ma partendo dall’unione di alcuni componenti della società, può portare a delle lotte politiche con il risultato di demedicalizzazione di alcune situazioni particolari. In altri termini, mentre Illich sostiene che sia possibile una demedicalizzazione dell’intera società grazie ad una sovversione del meccanismo di medicalizzazione della vita, Conrad sostiene, invece, che sia possibile all’interno del meccanismo di medicalizzazione produrre delle istanze che portino a fenomeni localizzati di demedicalizzazione. La prospettiva che Michel Foucault elabora attorno al concetto di demedicalizzazione è totalmente diversa da tutti e due gli studiosi citati, infatti il filosofo francese sostiene che sia totalmente impensabile poter attuare un meccanismo di demedicalizzazione. Per cogliere tale proposizione possiamo far riferimento a quanto lo stesso Foucault ha indicato come obbiettivo della propria ricerca filosofica, ovvero la messa in questione radicale delle forma di soggettività occidentale. Infatti, Foucault ha messo in luce la necessità di ripensare in maniera profonda il concetto di uomo e il suo rapporto al reale, svolgendo un lavoro di problematizzazione che ha evidenziato tutte le cristallizzazioni ideologiche nelle quali il soggetto stesso è preso. In altri termini, Foucault mostra come lo stesso soggetto nasca nell’epoca moderna, la quale pone al centro del suo regime veritativo il concetto di salute e di norma derivante dalla salute. Per tal motivo la medicalizzazione non è un effetto provocato da altre situazioni, ma è una cornice entro cui poter comprendere i fenomeni umani, tanto che si parla di soggettività medicalizzata, ovvero di un soggetto formato su un criterio di verità fornito dalla medicalizzazione che non potrà concepire spazi vuoti entro cui potere operare uno spostamento che metta in crisi tale cornice morale. Dato

che la medicalizzazione costituisce ciò che permette agli individui di formarsi quali soggetti, essa non ha un campo esteriore, ma costituisce la cornice totale su cui poter edificare ogni tipo d’azione. Foucault parla così di medicalizzazione indefinita, poiché la medicina non ha oggi alcun campo esteriore al proprio procedere, ma ogni forma di demedicalizzazione conduce ad un ulteriore forma di medicalizzazione. A questo proposito scrive: “quel che è

diabolico nella situazione attuale, è che quando noi vogliamo fare ricorso a un campo che crediamo esterno alla medicina, ci rendiamo conto che è stato medicalizzato. E quando si vogliono obiettare alla medicina le sue debolezze, i suoi inconvenienti e i suoi effetti nocivi, lo si fa in nome di un sapere medico più completo, più raffinato226”. Ciò che Foucault asserisce

è che per il fatto stesso che la medicalizzazione costituisca la cornice entro cui i fatti dell’uomo avvengono e assumono senso, non è possibile opporre al suo linguaggio che un’altra forma dello stesso, poiché la dimensione di senso che dona legittimità alla soggettività è fondamentalmente medica. Detto con altre parole, ogni volta che si vuole obbiettare che una condizione deve essere demedicalizzata per alcune ragioni, non si riesce a costruire un discorso che abbia senso all’interno dell’ordine veritativo dato che prescinda dagli enunciati medici. La differenza tra Foucault e Illich si ritrova propria in questa dimensione; per l’intellettuale austriaco è possibile opporre alla medicalizzazione un nuovo linguaggio che è quello della società della convivialità; per Foucault tale situazione è del tutto impossibile, perché il linguaggio della società della convivialità è nuovamente medico, poiché non può uscire dai criteri veritativi che l’ordine del discorso della nostra epoca prescrive. Infatti, Foucault scrive: “Illich e i suoi alunni segnalano che la medicina terapeutica, che

interviene per rispondere a una sintomatologia e bloccare i sintomi apparenti di una malattia, è una cattiva medicina. Essi propongono in cambio un’arte della salute demedicalizzata, vale a dire l’igiene, l’alimentazione, il ritmo di vita, le condizioni di lavoro, gli alloggi, ecc. ma che cos’è oggi l’igiene, se non un insieme di regole stabilite e codificate da un sapere biologico e medico, quando non è l’autorità medica stessa, intesa in senso stretto, ad averla elaborata? L’antimedicina non può opporre alla medicina che dei fatti o dei progetti rivestiti di una certa forma di medicina227”. Per spiegare ancora meglio tale

situazione Foucault porta l’esempio della psicoanalisi, affermando che tale disciplina sia stata la prima forma di antipsichiatria, ovvero essa ha costituito sin dalla fine del XIX secolo un progetto di demedicalizzazione di parecchi fenomeni che la sintomatologia psichiatrica aveva considerato malattie. Ma, la psicoanalisi volendo sottrarre alcune situazioni, come l’isteria o

226 M. Foucault, Crisi della medicina o crisi dell’antimedicina?, in Archivio Foucault 2, Feltrinelli, Milano 1997,

p. 213

la nevrosi, non ha fatto altro che rimedicalizzarle sotto il proprio linguaggio dando vita ad un nuovo discorso basato sull’ordine veritativo della norma medica. Dunque, Foucault sostiene che: “anche se oggi si oppone alla psicoanalisi una antipsichiatria o una antipsicoanalisi, si

tratta ancora di un’attività e di un discorso di tipo medico più o meno elaborato in una prospettiva medica, o sulla base di un sapere medico. Non si riesce a uscire dalla medicalizzazione, e tutti gli sforzi profusi in questo senso si rimettono al giudizio di un sapere medico228”.

Se si fa riferimento a quel movimento non unitario che si è formato negli anni’60 e ’70 e che prende il nome di antipsichiatria, il discorso di Foucault risulta ancora più chiaro. Infatti, nonostante tutti gli aderenti a tale movimento avessero idee diverse (Cooper, Laing, Basaglia, Szasz, Antonucci), essi condividevano la volontà di ripensare la psichiatria affinché potesse diventare una disciplina umana che tenesse conto delle sfere sociali che causavano l’insurrezione della patologia psichica e, in molti casi, sostenevano la profonda necessità di demedicalizzare alcune situazioni vitali prese a torto sotto l’ala terapeutica dalla psichiatria. Bisogna però notare come, nonostante essi si opponessero al gioco della medicalizzazione psichiatrica delle condizioni umane, nessuno di loro è riuscito ad elaborare un programma fuori dal linguaggio medico. Non a caso Basaglia rifiuta il termine antipsichiatria inteso quale forma di distruzione del sapere medico-psichiatrico e sostiene che il gioco di sovversione della psichiatria stessa non possa avvenire che all’interno dell’istituzione e dello stesso linguaggio medico. Egli ritiene che sia totalmente assurdo prospettare un’uscita dalla medicalizzazione o dalla psichiatria stessa, ma sia necessario riformare la stessa dall’interno, ovvero non è possibile prescindere da un linguaggio medico-psichiatrico, ma esso può essere riformato. Ancora più chiaro e Thomas Szasz il quale scrive: “quando in Francia e in Italia

gli psichiatri-antipsichiatri dichiararono che la malattia mentale è un mito, le loro dichiarazioni non produssero conseguenze: essi continuarono a fare diagnosi di malattia mentale, praticando coercizione, al fine di limitare il trattamento della malattia (che non esiste) alla cura fisica229”. Ciò che asserisce Szasz è che ogni forma di antipsichiatria ha

provocato una nuova forma di medicalizzazione, nessuno è riuscito ad opporsi totalmente alla psichiatria creando una contro proposta non basata sul linguaggio medico. Ne segue che, proprio come sostiene Foucault, non sia possibile ad oggi produrre nessun discorso che attui una demedicalizzazione, poiché ogni proposta prende forma all’interno della cornice propria della medicalizzazione e si basa su un criterio di verità che sancisce l’utilizzabilità solo della terminologia medico-biologica. Si può così affermare che se Illich propone una teoria della

228 Ibidem

demedicalizzazione basandola sulla volontà di recuperare i limiti umani che esistono da sempre e che sussistono in ogni epoca230, Foucault oppone a tale teoria il fatto che l’uomo non abbia dei confini naturali da poter rintracciare, ma i confini propri dell’uomo vengono a loro volta determinati dalla cornice di senso, che si basa sull’episteme proprio di un periodo storico. Per tal motivo, per il filosofo francese, non è possibile creare un linguaggio veritativo che non sia interno allo schema che dona senso al soggetto. Il limite di Illich, secondo Foucault, risiede dunque nel non aver compreso che la medicalizzazione non è un fatto generato dal capitalismo, ma che essa si lega alla sfera politica ed economica determinando una cornice in cui tutti i fatti, anche la produzione industriale, si ordinano e prendono senso. Perciò il regime veritativo è la medicalizzazione, la quale per sua stessa essenza non ha più un “al di fuori”.

4) La demedicalizzazione dell’omosessualità come nuova fonte della