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Forte del concetto aperto del termine salute offerto dall’OMS (uno stato completo di

benessere fisico, psichico e sociale, e non come una mera assenza di malattia o infermità) e a

causa della disconoscenza del carattere normativo dello stesso concetto di salute, si sta oggi assistendo ad un ampliamento senza fine dell’idea di salute. In altri termini la confusione che si crea tra il senso normale e il significato normativo del concetto di salute sta comportando anche una modalità di riflessione distorta attorno al fine della pratica medica, fare il bene del paziente, che dilata l’obbiettivo da perseguire provocando un’integrazione di sempre nuove sfere della vita all’interno del campo terapeutico della medicina stessa. In particolare, Pierre Aïach fa notare come si stia assistendo ad una medicalizzazione della vita, dovuta proprio all’estensione della nozione normativa di salute. Egli mette in luce come l’indeterminazione della nozione di salute comporti due effetti, il primo riguarda l’aumento del numero di medici e l’aumento di persone che si rivolgono al medico, il secondo riguarda l’estensione del campo di competenza dei medici stessi. In altri termini, secondo Aïach, il concetto di salute è divenuto un valore che può legittimare ogni forma di intervento medico, infatti si concepiscono sempre nuove forme di esercizio medico mirante a porre freno (fumare, bere alcol, praticare alcune forme sessuali) o ad incentivare (praticare alcune determinate pratiche sportive, mangiare seguendo una determinata dieta ecc.) alcuni comportamenti. Dunque, egli sostiene che a causa dell’indeterminatezza del concetto di salute, dovuto al fatto che esso è un costrutto normativo che però viene utilizzato con un significato normale e naturale, si sta assistendo ad un progressivo sviluppo della medicina, la quale s’interessa sempre più a nuove sfere della vita umana65. Ne segue che il concetto di salute sia diventato onnicomprensivo e

64 G. Canguilhem, Il normale e il patologico, Einaudi, Torino 1998, p. 191 65 Vedi P. Aïach, L’ere de la medicalisation. Ecce homo sanitas, Economica, 1999

ciò comporta, come sostiene McLellan, che: “c’erano una volta dei bambini indisciplinati,

qualche adulto timido e certi signori che, calvi, portavo il cappello. Oggi tutte queste descrizioni possono essere attribuite a delle malattie – entità con nomi, criteri diagnostici e una serie crescente di opzioni terapeutiche66”. Dunque, l’indeterminazione del concetto di

salute, il quale però viene utilizzato come se fosse un termine ricco di significato che si può riscontrare nella naturalità dell’osservazione del comportamento umano, permette allo stesso di allargarsi sempre più e di ritenere come patologie delle situazioni di vita che sino a poco tempo fa, pur provocando un qualche tipo di “dolore” nell’uomo, non erano seguite da prassi terapeutiche. Tale situazione trova in Peter Conrad uno dei suoi massimi descrittori, tanto che ne coniuga la definizione ufficiale secondo la quale per medicalizzazione della vita s’intendono i processi attraverso i quali delle condizioni umane vengono trasformate in problemi medici. Dunque, delle situazioni che erano trattate quali normali episodi della vita umana, divengono improvvisamente delle questioni che rientrano nel campo veritativo della medicina, ovvero diventano passibili di essere descritte nel linguaggio della patologia e della normalità67. Lo stesso Conrad sostiene che l’osservazione di alcune strutture proprie dell’esistenza dell’uomo vengono investite da un grado di giudizio proprio dell’osservatore, il quale ritiene che le stesse non siano desiderabili (ad esempio la calvizie, le gambe gonfie a fine giornata, gli occhi irritati dopo essere stati troppo al computer, i bambini che giocano troppo, i bambini che giocano troppo poco) e per tal ragione devono essere fatte oggetto della medicina che le deve curare. Per tal ragione Conrad mostra come il giudizio di valore proprio della società, della cultura, può determinare cosa sia la normalità dell’agire e dell’essere uomo (ad esempio non provare tristezza) e dopo averlo deciso chiede alla medicina di porre riparo a tale situazione eliminando tale comportamento e quindi decretando che la salute non corrisponda alla pratica di quel particolare atteggiamento vitale. Tale processo assume un nome ben preciso secondo Conrad, ovvero quello di normalizzazione del processo vitale68. In altri termini si può affermare come sostiene Frank Furedi che: “la promozione e celebrazione

della salute come valore primario della società occidentale ha incoraggiato la gente a interpretare una grande varietà di attività umane attraverso il vocabolario della medicina69”.

Bisogna, però, cogliere la sfumatura primaria del concetto di medicalizzazione della vita, infatti esso deve essere pensato come l’esito dell’estensione del concetto di normalità, che s’innesta nella volontà da parte della medicina di perseguire il bene del paziente. Perciò, non

66 F. McLellan, Medicalisation: A Medical Nemesis, in The Lancet, V. 369, p. 627 67 P. Conrad, The medicalization of society, The Johns Hopkins University Press, 2007 68 Ivi, p. 87

si deve pensare che il fenomeno della medicalizzazione agisca per mutare e per accrescere l’uomo, ma esso agisce per fargli raggiungere lo stato normale che gli compete. Dunque, proprio come sostiene Pier Aldo Rovatti: “la medicalizzazione della vita non ragiona in

termini di plus (di una potenza che ciascuno possiede e può essere sviluppata) ma in termini di deficit (cioè dell’impotenza che marca ogni individuo come vulnerabile e malato). La mancanza segna l’intero fenomeno dall’inizio alla fine, dal bambino che ovviamente deve essere aiutato fino all’anziano che naturalmente viene trattato come un soggetto a rischio70”.

Ne segue che la medicalizzazione sia un fenomeno descrivibile come interno alla volontà della medicina di aiutare l’uomo a superare le problematiche che non gli consentono di esplicare la propria natura. Per tal ragione la medicalizzazione rinvia ad un fenomeno di normalizzazione, dove con tale termine si deve intendere la possibilità di definire e inquadrare una normalità umana attraverso delle valutazioni le quali, però, pur essendo totalmente radicate nelle determinazioni socio-culturali di chi le compie, si definiscono naturali in quanto producono il concetto di salute. Si coglie come lo stesso concetto di salute venendo inteso come normale e naturale, al posto di essere inteso quale possibilità normativa, segna ciò che si deve concepire come assolutamente vero e giusto nella natura dell’uomo. A questo proposito Gianfranco Marrone scrive: “richiamarsi alla Natura, riempirsi la bocca con

questa parola – o con qualcuno dei suoi derivati e affini (naturale, naturalismo, naturalmente) – è darsi un tono niente male. E soprattutto è porsi sempre e comunque dalla parte della Giustizia, della Verità, della ragione71”.

Si può affermare che la medicalizzazione della vita altro non sia che l’attuazione nel mondo reale di quello che Louis Henri Jean Farigoule (conosciuto come Jules Romains) aveva teorizzato nell’opera teatrale del 1923 Knock o il trionfo della medicina, la cui trama è molto semplice: un medico di campagna cede il proprio posto lavorativo al medico Knock, il quale si ritrova in un paese in cui nessuno ricorre al medico e dove la sua presenza, come quella del medico che gli ha ceduto l’attività, è superflua. In pochi mesi Knock riesce a mutare tale situazione e a far sì che tutti gli abitanti si rivolgano a lui al fine di preservare il proprio naturale stato di salute. Poiché l’idea che Knock aveva della medicina è che essa dovesse agire sempre più all’interno della vita delle persona al fine di tutelare la salute (dunque lo stato naturale e vero della dimensione umana), la quale è totalmente in balia dei mille agenti patogeni che s’innestano nella vita dell’uomo. A questo proposito Romains fa dire a Knock:

“ammalarsi: concetto sorpassato, che non può resistere di fronte all’avanzare della scienza moderna. Salute è solo una parola […] conosco solo individui più o meno affetti da malattie

70 P. A. Rovatti, Note sulla medicalizzazione della vita, in Aut Aut, N. 340, 2008, p. 4 71 G. Marrone, Addio alla Natura, Einaudi, Torino 2011, p. 4

più o meno disparate e con esiti più o meno rapidi. Naturalmente, se dite loro che stanno benissimo, non chiedono di meglio che credervi. Ma così li ingannate72”.