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Dall’analisi dei tre studiosi più citati all’interno della ricostruzione del concetto di medicalizzazione in Foucault si sono potute cogliere almeno tre indicazioni che si rivelano fondamentali per il proseguo del lavoro di ricerca sul concetto di medicalizzazione in Foucault: la prima è che Michel Foucault ha creato un pensiero originale attorno a tale fenomeno che si discosta dall’analisi degli autori dediti ad una ricostruzione “ortodossa” della medicalizzazione; la seconda che lo stesso pensiero attorno alla medicalizzazione non può essere ridotto ad una pura asserzione di dominio da parte di una classe su un'altra; la terza che è indispensabile accostare il problema generale della concezione della medicina in Foucault per poter leggere e restituire la sua tesi sulla medicalizzazione della vita.

Ciò che seguirà nelle prossime pagine è il tentativo di svolgere una breve analisi (compatibilmente con lo spazio che si può dedicare all’interno di una tesi di dottorato che non verte unicamente sulla ricostruzione del pensiero attorno alla medicina e alla medicalizzazione di Foucault) delle ricerche che Foucault ha condotto sulla medicina, mostrando i lati e le tematiche che, a mio avviso, si rivelano di estrema importanza per cogliere la portata della teoria della medicalizzazione della vita. Il punto di partenza per tal ricostruzione è sicuramente segnato dalle prime opere di Foucault: Storia della Follia e

Nascita della clinica, due testi che se accostati secondo il problema che poniamo – il concetto

di medicalizzazione – si possono accomunare e fornire la base operativa per cogliere tutto lo sviluppo dell’opera del filosofo francese. Infatti, Gary Gutting sostiene che Storia della follia assume un ruolo generativo per l’intera opera foucaultiana, in quanto in tale opera si delinea l’universo di problematiche attorno alle quali si sarebbe sviluppata la sua riflessione futura e

di quello che sarebbe poi diventato, il suo metodo d’indagine140. Per cogliere tale situazione dobbiamo prima di tutto notare come Storia della follia non sia il primo libro pubblicato dal filosofo francese, il quale nel 1954 aveva pubblicato il libro Malattia mentale e personalità, ripubblicato successivamente con il titolo Malattia mentale e psicologia; in tali opere, che rientrano in quel periodo nominato da Revel come “Foucault prima di Foucault”, il filosofo francese assumeva la malattia mentale come un oggetto già dato al sapere psichiatrico e, dunque, la priorità che egli indicava era relativa ad indicare i fattori soggettivi legati alla stessa malattia. Potremo sostenere che in queste prime opere Foucault fosse interessato a cogliere come lo psichiatra e lo psicologo potessero utilizzare il proprio sapere al fine di determinare il bene del paziente rispettandone la particolare soggettività. A questo proposito Foucault, spinto dall’esame che compie sui testi di Binswanger, sostiene l’esistenza di un’esperienza originaria dell’uomo che è necessario ristabilire attraverso l’analisi esistenziale. I primi lavori del filosofo francese si pongono quindi all’interno di un orizzonte fenomenologico tendente a valutare le possibilità e le varietà di cura attuabili nei singoli soggetti. La riflessione viene, così, posta su come umanizzare la scienza medica e non sul senso e sulla legittimità naturale della stessa.

L’orizzonte di analisi cambia radicalmente con la stesura della tesi di dottorato intitolata

Storia della follia nell’età classica (pubblicata nel 1964), nella quale l’obbiettivo di Foucault

era di cogliere come si è giunti all’identificazione di quell’oggetto – malattia mentale – comune al sapere psichiatrico e psicologico che in precedenza aveva considerato come dato universalmente. Si può comprendere come il quadro su cui si muovono le ricerche di Foucault muti completamente, tanto che egli non s’interroga più attorno alle possibilità di migliorare una particolare scienza come quella psichiatrica, ma s’interroga su come si sia formato l’oggetto dell’interesse psichiatrico, oggetto che solo giustifica e alimenta le possibilità di esistenza della stessa disciplina psichiatrica.

Foucault, nella prefazione alla prima edizione dell’opera, sostiene che la ricostruzione di una storia della follia sia da intendersi come parte di un progetto più ampio volto all’identificazione di una storia dei limiti della nostra cultura tanto che scrive: “si potrebbe

fare una storia dei limiti: di quei gesti oscuri, necessariamente dimenticati non appena compiuti, coi quali una cultura respinge qualcosa che sarà per lei Esteriore; e per lungo tutto la sua storia, questo vuoto scavato, questo spazio bianco per mezzo del quale si isola, la contraddistinguono quanto i suoi valori. Perché essa riceve i suoi valori e li conserva nella continuità della storia; ma in questa regione di cui vogliamo parlare, essa esercita le sue

140 G. Gutting, Michel Foucault’s Archeology of scientific reason, Cambridge University Press 1995, pp. 109-

scelte essenziali, compie la separazione che le conferisce la fisionomia della sua positività141”. Da queste parole si capisce come Foucault non abbia in mente di scrivere una

storia della psichiatria, ma si focalizzi sul tentativo di costruire una storia della follia, ovvero una storia di un oggetto che ha una dimensione di esistenza che prescinde dalla pura patologia a cui noi oggi diamo significato142. Proprio tale volontà storica si rivela di estremo interesse per la nostra ricostruzione, poiché questo progetto si scontra con la realtà della modernità che, secondo Foucault, ha ridotto dalla metà del XVIII secolo la follia al silenzio, in favore dell’assolutizzazione del discorso sulla ragione. Tale analisi foucaultiana può essere intesa come la possibilità di risalire all’identificazione di un a-priori storico che ha condotto la medicina (psichiatria), situazione che rappresenta una delle coordinate che guidano la nostra epoca, a diventare l’esperienza del limite e del dicibile che conosciamo attualmente. Questa ricerca conduce Foucault a sostenere che la medicina costituisce un processo senza soggetto, articolato attorno al confronto dialettico tra identità (discorso razionale, normalità) e differenza (patologia, follia). Inoltre, le stesse ricerche evidenziano lo stato storico di ogni tipo di patologia, le quali trovano le proprie condizioni d’esistenza solo all’interno di una rete di saperi che ne vincola e ne determina il significato. Questo è il senso profondo che bisogna cogliere della prima opera foucaultiana, ovvero l’impossibilità di risalire ad una malattia primordiale che risulti quale espressione collocata al di fuori di una codificazione storico- sociale di un sapere determinato. L’intento esercitato in Storia della follia può, dunque, essere individuato nella volontà di mettere a fuoco il modo in cui la follia si è venuta a costituire quale fenomeno morboso all’interno di una cultura ben determinata; di pari passo tale analisi

141 M. Foucault, Introduzione alla prima edizione di Storia della Follia, Bur, Milano 2014, pp. 43-44

142

È di fondamentale importanza chiarire cosa intenda Foucault con il termine storia, poiché tale modalità d’interpretazione del concetto ha dato luogo a lunghi dibattiti in cui la critica accusava il filosofo francese di compiere delle errate ricostruzioni o di non attenersi ad un uso “tradizionale” della ricostruzione storica. Foucault sostiene che il senso di fare storia non deve funzionare come pura analisi del passato, ma deve rappresentare una messa in luce dei processi di trasformazione che segnano e definiscono gli avvenimenti odierni. Dunque, la storia per il filosofo francese non deve essere intesa solo come memoria, ma come genealogia, ovvero quale ricostruzione delle genesi capaci di descrivere l’emergere di alcuni fenomeni che caratterizzano il nostro presente. Fenomeni che non si possono definire come espressioni costanti che da sempre accompagnano la natura umana, ma si definiscono quali istanze vitali divenute. La storia diventa, così, genealogia, ovvero ricostruzione del senso che una situazione ha acquisito nell’arco del tempo per significare ciò che noi oggi le facciamo significare. Per tal ragione la ricerca storica da pura memoria diviene analisi critica del presente, che permette di trattare tutto ciò che ci circonda non come fenomeno aurorale, ma quale fenomeno divenuto e discutibile. Inoltre, come sempre Foucault ammonisce, intendere il metodo storico quale metodo genealogico non vuol dire analizzare il presente cercando di ritornare al passato, ma vuol dire unicamente analizzare il passato per cogliere il senso del presente. A questo proposito Foucault scrive: “ho trattato la storia

della follia o lo studio della prigione come ho fatto, perché io sapevo molto bene […] che condurre un’analisi storica vuol dire rendere possibile una critica del presente, ma non vuole dire : «facciamo ritorno a questa meravigliosa epoca del XVIII secolo, o il folle…», o ancora «ritorniamo al tempo in cui la prigione non era uno dei principali strumenti…». Io penso che la storia ci deve preservare da questo spazio ideologico del ritorno”.

permette anche di aprire la questione attorno ai criteri e ai limiti della suddetta cultura quale portatrice del valore patologico della follia. Perciò, l’importanza di tale opera si configura nel far emergere la struttura storica di un’esperienza che si è sempre pensata aurorale (cura della malattia mentale), mostrando i limiti e i confini della creazione patologica instaurata dalla cultura moderna votata alla scienza e all’assolutizzazione del linguaggio della ragione. A questo proposito sono di capitale importanza le seguenti parole di Foucault:“la follia non si

può trovare allo stato selvaggio. La follia esiste solo all’interno di una società, essa non esiste al di fuori delle forme di repulsione che la escludono o la catturano. Per ciò, si può dire che nel Medioevo e poi nel Rinascimento, la follia è presente nell’orizzonte sociale come un fato estetico e quotidiano; poi dal XVII secolo – a partire dall’internamento -, la follia attraversa un periodo di silenzio, di esclusione. Essa perde la funzione di manifestazione e di rivelazione che aveva all’epoca di Shakespeare […] essa diviene derisione e inganno. Infine, nel XX secolo la medicina mette le mani sulla follia, la riduce ad un fenomeno naturale, legato alla verità del mondo143”.

Foucault mostra, così, l’impossibilità di riferirsi all’oggetto follia senza connettere tale oggetto alla cultura che lo cattura nel proprio orizzonte interpretativo e che dona le coordinate di verità che lo fanno apparire quale condizione naturale, ma sostenendo ciò egli mostra anche come ogni tipo di patologia trovi fondamento e legittimazione solo all’interno di un ben determinato tipo di struttura del reale. Per tal ragione le parole di Giuseppe Campesi attorno alla Storia della follia foucaultiana si rivelano di particolare importanza, infatti egli scrive:“nell’ottica di Foucault è dunque impossibile fare una storia della follia senza passare

attraverso la storia delle culture che la definiscono o dei gesti che la perseguono. La follia è un fatto di civilizzazione più che un fatto di natura, per questo più che una storia della follia Foucault finisce per proporre un’analisi delle diverse esperienze della follia, della diversa maniera in cui questa si è manifestata nella storia della cultura occidentale144”. Ne segue che

Foucault metta in luce come la ragione medica moderna nel suo rapporto con la follia non rappresenti che una particolare forma della configurazioni storiche coniate, le quali di volta in volta hanno intrattenuto un rapporto con la follia che ha donato delle strutture d’esistenza esclusive e determinate. In particolare Foucault evidenzia almeno tre grandi periodi della follia: la Renaissance, l'âge classique e l’époque moderne. Ciascuna di queste tre epoche è segnata da un tipo particolare di pratica della follia (far circolare, rinchiudere e curare) e da una peculiare forma di relazione (possibilità di contatto, esclusione e oggettivazione

143 M. Foucault, La folie n’existe que dans une société, in Dits et Écrits, V. I, Gallimard, Parigi 2001, p. 197 144 G. Campesi, Soggetto, disciplina, Governo. Michel Foucault e le tecnologie politiche moderne, Mimesis,

scientifica) nella quale s’instaura anche un caratteristico tipo di opposizione (il sacro e il profano, ragione e non ragione, il normale e il patologico)145.

In altri termini Foucault chiarisce che la follia non può essere spiegata come un’universale sempre esistito e, di pari passo, la psichiatria e la psicologia non possono essere descritte come due scienze che avanzano in maniera lineare verso la scoperta e la codifica di questo universale, ma è l’esperienza moderna della follia che determina le modalità con le quali si può considerare la stessa come patologia che porta all’emergere delle discipline legate alla sua cura. Si può quindi asserire che è la nostra epoca che “crea” delle modalità attraverso le quali poter interpretare alcune situazioni pertinenti all’area della follia come condizioni patologiche e che determina altre situazioni analoghe come normali espressioni dell’esistenza. Se la Storia della follia ci mostra, dunque, come la follia patologica (quella a cui facciamo riferimento nei nostri giorni) non esista al di fuori dei processi medici che la catturano e la costituiscono quale campo di sapere, Nascita della clinica, attraverso un’esposizione mirante a mettere in luce la comparsa e la diffusione dello sguardo clinico, ovvero dell’esame medico che riconosce le forme del male, ci permettere di cogliere come non sia possibile osservare il corpo malato, così come noi oggi lo osserviamo, in assenza del discorso medico moderno. Per chiarire tale pensiero si può far riferimento ad un testo scritto da Foucault nel 1969, che riprendendo le idee di Nascita della clinica, ne spiega la portata in questi termini: “ogni

cultura definisce in modo peculiare il campo della sofferenza, delle anomalie, delle devianze, delle perturbazioni funzionali, dei disturbi della condotta, che si possono collocare come interni alla medicina, che suscitano il suo intervento e che richiedono una pratica specifica […] non esistono dei campi che appartengono a pieno diritto e universalmente alla medicina146”.

Infatti, proprio come aveva già fatto per la follia, Foucault in Nascita della clinica non vuole ricercare un a-priori di natura trascendentale che possa motivare la comparsa della medicina ed indicare i suoi specifici oggetti e campi di diritto, ma egli ritiene che sia necessario ricercare i criteri storici di una data epoca che hanno fatto sì che si potesse accordare quel determinato tipo di valore allo sguardo medico e alla possibilità attuale d’intendere l’oggetto di tale sguardo come verità naturale della salute umana. Dunque, Foucault ci mostra come la storia della medicina non possa essere intesa quale storia di una ragione sovrana che impone una conoscenza universale e necessaria, ma essa deve essere intesa come un’indagine sui fenomeni che hanno reso possibile ad una determinata maniera di guardare la realtà di imporsi

145 Cfr. B. Vandewalle, Savoir et pouvoir de la médecine, L’Hermattan, Paris 2006, p. 36

146 M. Foucault, Médecins, juges et sorciers au XVII siècle, in Dits et Écrits, V. I, Gallimard, Parigi 2001, p.

quale principio fondante e fondatore di una data epoca. A questo proposito sostiene che: “la

malattia, infine, si può trovare medicalizzata, praticamente o teoricamente, unicamente in una precisa epoca e in una società specifica […] per lungo tempo la storia della medicina è stata realizzata come una cronologia delle scoperte; si è messo in luce come la ragione e l’osservazione hanno trionfato sui pregiudizi superando gli ostacoli e mettendo in luce la verità nascosta […] dobbiamo, invece, cercare […] di etnologizzare lo sguardo che noi portiamo sulle nostre conoscenze: tentando di cogliere non solo la maniera in cui il sapere scientifico viene utilizzato, ma anche il modo in cui si delimitano i campi a lui soggetti, le modalità in cui gli oggetti si formano e vengono scanditi dai concetti147”. In altri termini ciò

che è fondamentale cogliere in questo primo periodo del lavoro di Foucault riguardo la medicina è lo spostamento di sguardo che egli opera dalla ricerca di una verità della medicina alla ricerca attorno al senso dell’esperienza medica, muovendo dalla convinzione che ogni tipo d’esperienza, quindi anche la medicina stessa, possieda una propria struttura d’esistenza e di verità che bisogna rilevare. Tale concetto è espresso in maniera chiara nel testo del 1966 dal titolo Message o Bruit?148, nel quale il filosofo francese mette in luce come oggi siamo

abituati a pensare che il medico ascolti i naturali messaggi che provengono dalla malattia che s’innestano sugli organi corporei, al contrario egli ritiene che tale naturalezza del cogliere i segnali non solo non sia reale, ma non si possa minimamente porre, poiché gli organi non producono dei messaggi, ma fanno rumore e tale rumore non possiede alcun significato naturale proprio e oggettivo. La medicina dal diciottesimo secolo in poi si pone come l’identificatrice di quel rumore, spacciandolo per messaggio naturale, quando essa per decifrarlo utilizza un codice che è proprio della medicina più che dell’organo corporeo e che consiste nel scegliere quale rumore ascoltare e quale ignorare. La medicina si pone così ad elemento determinante che dona verità e realtà al meccanismo degli organi, rapportandolo ad un codice preciso inserito in una tecnologia centrata sulla comprensione dell’atto patologico attraverso la nozione epocale di normale e anormale. Si può così concludere, sostenendo che in queste prime opere Foucault si concentri nel mettere in luce l’impossibilità di rinvenire un’esperienza originaria della patologia, quindi la medicina non ha degli oggetti originali a cui riferirsi, ma essi dipendono sempre dalla dimensione propria di una particolare forma di cultura che orienta le modalità di comprensione e di definizione del patologico.

147 Ivi, pp. 781-782