Il confine stabilito nel 1753 scendeva dal monte Cerbiolo per la Val Maiera, lambiva Mama d’Avio e giungeva all’Adige. Da qui girava verso Sud, lasciando sulla sponda opposta agli esteri il porto del Borghetto, sotto la chiesa di San Biagio. Così per un breve tratto, la linea territoriale correva lungo l’alveo del fiume, lasciando la sponda destra al territorio veneto di Belluno e quella sinistra al vicariato di Avio, fino ai termini n. 100 sulla riva destra e n. 101 su quella sinistra97. Da qui la linea territoriale risaliva fino alla cima sovrastante del Corno d’Aquilio, sui Lessini. L’Adige dunque era confine di Stato per meno di due chilometri, importanti però, perché costituivano la principale porta d’ingresso in Italia di merci, viaggiato
e che trovavano a Ossenigo la prima stazione veneta.
Si può ben intuire quanto fosse delicatissimo e fragile questo tratto della linea territoriale, minacciato di mutare ad ogni piena. Anche i nomi delle vie erano significativi, quella di confine era detta «via Tanghera», fino a Mama d’Avio e poi «via Collera» dopo aver incrociato la strada imperiale e fino all’Adige. Un «prato Schiapparollo» che prendeva il nome dai proprietari (contrada degli Schiapparoli), dov’era il termine n. 99, s
campagna di Belluno intensamente coltivata.
Confrontando i libri d’estimo d’inizio e metà Settecento, si nota subito l’aumento della superficie dei campi lavorati da quei distrettuali. Quella campagna era destinata alla coltura promiscua, infatti, quasi tutte le particelle descritte dall’estimo erano «arative con vigne e morari», soprattutto quelle prossime al confine con l’estera Mama, dov’era già ampiamente diffusa la coltivazione della vite sostenuta dal gelso99. Si comprende bene come la tutela della linea territoriale dalle alluvioni
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Id., relazione riservata di F. Giusti del novembre 1788 che concludeva: «confesso di aver provata la maggior consolazione e per esser stato io la cagione di questo qual si sia o possa essere utile allo Stato e di far rivivere nel territorio veronese una miniera che per tanti secoli è stata così famosa per rarità e perfezione».
97
Il termine territoriale che è possibile oggi vedere sulla S.S. 12 della Vallagarina, è collocato nell’esatta posizione settecentesca, e ancor oggi segna il confine fra la Regione Veneto e la Provincia autonoma di Trento. Tuttavia, non è l’originale, il n. 101, ma si è preso un altro termine il n. 91 e lo si è là collocato, dopo che l’originale fu distrutto nel 1915, come è anche testimoniato da una foto d’epoca, vedi Laiti-Bottegal, op. cit., pp. 83-85.
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ASV, PSCC, b. 34. La mappa è quella già citata conservata nella Biblioteca Comunale di Trento, n. 1345 edita in E. Turri, S. Ruffo, L’Adige, il fiume, gli uomini, la storia, Verona, 1997², p. 213.
99
Informazioni tratte da ASVR, Estimi, b. 623. A metà Settecento, a Belluno, la ricchezza fondiaria messa in estimo reale era di 302 campi (ettari 91) stimati 7.456 ducati, frazionati in 64 ditte. Pagavano il testatico 57 uomini adulti, fra buoi e vacche tredici erano le paia destinate all’aratro, battevano le ruote di due mulini ed era stimato 150 ducati il quarto della decima di competenza comunale.
andasse a vantaggio anche dei proprietari e dei contadini rivieraschi. Innanzitutto, occorreva vigilare perché nessuno facesse opere nel letto del fiume che potessero pericolosamente modificarne il corso100. Nel 1767, vi furono inondazioni e la violenza dell’acqua divelse non solo il termine n. 98, ma anche il terreno «ove detto termine era piantato e fu necessario spostarlo più in dentro per
co la pubblica autorità destinando un pubblico
evitare che fosse portato via dalla furia della corrente»101.
Nella Val d’Adige le alluvioni erano frequenti e, nel 1776, una nuova «irruzione» del fiume spiantò il termine n. 100 e «inondò e devastò quasi tutti quei siti posti nel distretto della comunità di Belluno». L’impeto delle acque corrose tutti i ripari che i privati avevano posto a difesa dei loro campi. Se non si fosse provveduto per tempo, una nuova inondazione avrebbe mutato definitivamente il corso del fiume, distruggendo la linea territoriale a danno della giurisdizione veneta. Lo stesso termine n. 100, che originariamente era sulla sponda destra del fiume, ora si trovava in un isolo tra due rami d’acqua. Era ben vero che alle spese dovevano concorrere i proprietari dei fondi interessati sotto la direzione dei capi della comunità di Belluno; ma l’esperienza insegnava che i lavori fatti dai privati o per la loro impotenza o per la loro insipienza «riescono per lo più deboli o servono solo al particolar loro interesse». Per preservare il termine e, di conseguenza, la sovranità territoriale veneta su quel sito e nel contempo evitare la dilatazione dell’alveo, bisognava che «se ne prendesse cari
ingegnere» all’esecuzione dei lavori necessari102.
Accogliendo i suggerimenti del provveditore Giusti, il Senato inviò sul posto Leonardo Barrai, come vedremo, ingegnere al Tartaro. Dopo il sopralluogo, egli si convinse della necessità di rinforzare l’argine destro per una lunghezza di pertiche168 (metri 343), di cui 50 di «marogna» di sassi, preventivando una spesa di lire 4.840, purché si attendesse il mese di dicembre prima di dare inizio ai lavori. Infatti, nella buona stagione era impossibile dar corso all’opera e «per il doppio valor della spesa che occorrerebbe» e «per la difficoltà della traduzione de’ sassi» che si potevano avere solo facendo brillare delle mine nei colli vicini e, così pesanti, «senza il benefizio del gelo e della neve non possono esser tradotti co’ carri per li bassi campi». La somma era comunque troppo elevata per quei sudditi che andavano soccorsi con un contributo pubblico103. Se poi il Senato si accollasse la spesa delle nuove arginature, la somma potrebbe essere affidata al cancelliere della 100
Così, ad es., quando poco distante dal Borghetto, i signori Malfenti di Avio eressero un «pennello», che s’inoltrava nell’alveo per «pertiche veronesi 57 [metri 116]» se ne ordinò l’abbattimento, anche perché era proprio dirimpetto al termine n. 99. Vedi ASV, PSCC, b. 34 le relazioni del 1762 e del 1764.
101
ASV, PSCC, b. 37, visita dell’anno 1768. Fu danneggiata anche la via Collera, ma, ancora nel 1772, né Avio né Belluno avevano provveduto al suo riparo, con gravi molestie per la condotta dei tronchi. I siti sono visibili nella mappa della Biblioteca Comunale di Trento n. 1345, edita in Turri-Ruffo, op. cit., p. 213.
102
Id., protocollo del 1776 e relazione privata del Giusti. Qui anche la mappa dell’ingegner Leonardo Scarello che individua la posizione dei termini nn. 99, 100 e 101 e dove si vede bene che il n. 100 si trova ormai in mezzo all’Adige.
103
ASV, PSCC, b. 37, relazione Giusti del 10 aprile 1777, cui sono allegati due disegni dell’ingegner Leonardo Barrai. Se i suoi suggerimenti fossero accolti, scrisse il conte Giusti, «questi popoli esalteranno alle stelle il nome grande del loro adorato Principe». Per lui occorrevano almeno lire 1.200 di finanziamento pubblico.
comunità di Belluno e al deputato ai confini, entrambi «possidenti e di conosciuta integrità». Erano questi i tipici rappresentanti dell’aristocrazia di villaggio che sapeva ben trarre profitto da una situazione vantaggiosa come quella frontaliera104. Infatti, era proprio la vicinanza del confine a
piacere ai proprietari dei
di qua e parte al di là della linea territoriale, in attesa di essere fluitato una volta
determinare finanziamenti pubblici che altrimenti non sarebbero mai arrivati105.
A tutela del confine era anche necessario tenere libere al transito le strade secondarie, compito tra i principali di quelle comunità montane che non sempre avevano le risorse necessarie per tenerle in efficienza, specie se si trattava di vie vicinali esposte al rischio di esondazioni com’era la via Collera. Quella strada era tuttavia indispensabile per raggiungere l’Adige da Brentonico e dai siti più alti del comune di Belluno veronese. Perciò, nel 1786, di nuovo, Avio e Belluno furono sollecitate dalla Commissione austro veneta al pronto riparo di quella strada nella cui mezzeria correva la linea territoriale, diventata «impraticabile per il fango particolarmente in tempo di pioggia». Poiché i viandanti non si perdevano d’animo, superavano l’ostacolo deviando il loro percorso sui campi contigui, dalla parte imperiale, dove il continuo passaggio aveva formato «un sentiero più alto e asciutto», ma questo espediente non poteva certo far
terreni che, difatti, se ne lagnarono puntualmente con la Commissione106.
Era naturalmente l’Adige a destare le maggiori preoccupazioni. Infatti, se si tardava a riattare la via Collera era proprio colpa del fiume regio che tracimando aveva reso incerta l’ubicazione originaria della stessa strada e del suo punto d’arrivo in riva, di cui «eransi del tutto smarrite le tracce». Si rischiava di non saper più collocare il termine n. 97 che segnava il percorso della via Collera107 e nei cui pressi si accatastava il legname proveniente in notevole quantità dai monti e collocato parte al
legato in zattere.
Nel 1792, il termine n. 99 stava correndo lo stesso rischio che aveva patito qualche tempo prima il temine n. 100, ossia di essere circondato da rami dell’Adige e di essere trascinato via dalla corrente. Per fortuna, il sito su cui si ergeva non era ancora ridotto in isolo, ma essendo difeso dalla
104
Si trattava di Giambattista Bertoldi e di Rainer Pasini. L’estimo del 1753 assegnava numerosi fuochi ai Pasini, proprietari di appezzamenti con vigne e morari, quasi tutti situati in contrada di Mama. Nel 1769, un Rainer Pasini fu iscritto all’estimo con tre pezze di «terra noval» una in contrà alle Giare, toponimo che sembra indicare terreni strappati al letto del fiume; e due in contrà Colli, destinate al pascolo ma con viti e gelsi, lambite dal fiume. Il deputato ai confini di Belluno aveva la casa di abitazione in piazza. Il fuoco di Rainer Pasini è in ASVR, Estimi, b. 693, ano 1769, c. 87. In tutto, deteneva campi 19 (ettari 5,7) stimati 73 ducati.
105
La proposta del provveditore ai confini fu accolta e il Senato approvò lo stanziamento di 150 ducati. Vedi ASV, PSCC, b. 280, scrittura Giustinian del 29 aprile 177 e ducale 4 giugno 1777. I lavori furono eseguiti e Giusti sollecitò Bertoldi e Pasini a fare delle piccole opere di rinforzo al termine n. 100; vedi la sua relazione del 18 settembre 1778 in ASV, PSCC, b. 37.
106
Id., fasc. 10, visita del 1786. Ancora nel 1790 si dovette insistere per il riatto della via Collera che fu finalmente «perfezionata» nel 1792, id., b. 39.
107
ASV, PSCC, b. 39. Il termine fu ricollocato dall’ingegner Bortolomio Gaetano Carboni subentrato al defunto Scarello. Per l’occasione fu riproposta una sentenza del 29 agosto 1624 che lasciava alle due comunità di Avio e Belluno libera la condotta di «mase e legne fino alla ripa dell’Adige».
sola «marogna» costruita dai signori Poli di Avio occorreva intervenire al più presto. Due anni dopo, furono proposti i lavori di rinforzo anche perché, subito dopo il Borghetto, gli esteri avevano costruito tre «forti marogne» che respingevano l’acqua verso la sponda veneta e si sospettavano contrarie ai trattati. Probabilmente quelle sponde di sassi avevano causato tutta l’alterazione della riva destra dell’alveo. Per porvi rimedio, era necessario costruire piccoli speroni, piantare alcuni «pennelli di salici vivi e pochi sassi» nello spazio destinato all’attracco delle barche, per rendere più agevole le operazioni di carico e scarico. Ed infine, restaurare le opere già esistenti, così come aveva lodevolmente fatto il deputato ai confini di Belluno, che aveva difeso con una grossa marogna la riva «investita più furiosamente dal filone dell’acqua spinta dal grandissimo scanno di ghiaia» formatosi sulla sponda opposta. In tutto, fu preventivava una spesa di ducati 300 per mettere in sicurezza quel tratto di confine e garantire una tranquilla fluitazione del legname proveniente dai
oschi del monte Baldo e dell’Altissimo di Nago108.
arono dei pastori esteri della malga Boldera che, a detta del loro conduttore, avevano sconfinato112.
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