V. LA QUESTIONE TARTARO IL CONTROLLO DELLE ACQUE IRRIGUE
5. La crisi del primo trattato Ostiglia del
Nel 1759, si tenne la prima perlustrazione del sistema Tartaro da parte di una Commissione mista austro veneta, il cui compito era verificare il rispetto del Trattato di Ostiglia e del suo supplemento siglato a Rovereto396. I due visitatori con il loro seguito di ingegneri e servitori percorsero tutti i rami dei fiumi inclusi nel trattato, impiegando parecchie giornate. Era stato effettivamente costruito a spese dei veneti il sostegno sulla Fossetta di Ostiglia a salvaguardia del Polesine, tanto caldeggiato dal Magistrato ai Beni inculti. Anche alla Borghesana, era stata eretta una rosta stabile con tre luci anziché quella provvisoria, che tante dispute aveva suscitato. Poi, effettivamente, a spese delle due Camere fiscali di Verona e Mantova si era scavato l’alveo del fiume da quel sostegno fino al bastione di San Michele, al confine con il Ferrarese. Alcune piccole violazioni al convenuto furono subito risolte dalla commissione, come, ad esempio, lo spianto di «arellate» costruite abusivamente dai pescatori o la demolizione di una «macera di canapa», colpevole di rallentare la corrente. Tutto sembrava dunque procedere come stabilito dalle convenzioni e del resto, per più di un lustro, non era giunto nessun reclamo alle rispettive Cancellerie e la quiete pubblica pareva perseguita.
In realtà, le cose iniziarono di nuovo a intorbidarsi. Infatti, durante la perlustrazione del Cavo Novo, canale mantovano incluso nel sistema Tartaro, i visitatori scoprirono una rosta «che serve a beneficio delle risare del marchese Cavriani», cosa assolutamente vietata e perciò si ordinò «al di lui agente che debba indilatamente levarla, salva la facoltà al medesimo marchese di formare a sue spese un sostegno colle condizioni ingiunte in esso trattato», ossia di renderlo stabile e regolabile
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Dispaccio di Tron, n. 241 cit.
395
Id., parte del Senato 29 settembre 1752, intesa proprio come risposta al dispaccio n. 241 dell’ambasciatore Tron. Vedi anche ASV, Commemoriali cit., all. B.
396
Ossia, il Trattato di Ostiglia del 20 aprile 1752 e le dichiarazione aggiunte firmate a Rovereto il 9 giugno 1753. ASV, PSCC, b. 42, le note sono prese dalla relazione della visita fatta al Tartaro, iniziata il 27 agosto 1759 da Ostiglia e siglata a Villimpenta il 5 settembre 1759 dal conte Pietro de Peiri, per parte mantovana; e dal conte d’Illasi, Luigi Miniscalchi, provveditore veronese ai confini.
come alla Borghesana397. In realtà, come altri proprietari mantovani, anche il marchese Cavriani non aveva alcuna intenzione di adeguarsi alle clausole del convenuto tra i Principi, firmato da un ministro, il conte Cristiani, detestato in città perché accusato di aver concesso troppo ai veneti. Non si fecero altre visite al sistema Tartaro fino al 1762, quando però la perlustrazione fu eseguita in novembre398. Essendo ormai terminata la stagione risicola, fu ritrovata interamente disfatta «la stuppa che il marchese Cavriani era solito tenere attraverso il detto Cavo». Al suo posto, a tenore del trattato, avrebbe dovuto esserci un sostegno, di cui si erano «visti i materiali per questa costruzione che si farà nella prossima primavera». Insomma, pareva che quel nobile fosse finalmente disposto ad adeguarsi agli ordini della Commissione; in realtà, se stava mettendosi in regola sul Cavo Nuovo, diversa la situazione che i due visitatori trovarono sul Busatello, corso d’acqua, peraltro, che fungeva da confine di Stato e che collegava a sua volta il lago di Derotta al Tartaro presso il bastione detto «delle Zenzale»399. «Qui si è fatto visitare il sito dove nella scorsa estate il marchese Cavriani aveva fatto costruire una rosta attraverso il detto limitrofo Busatello, la quale poi verso il fine di settembre è stata disfatta, coll’ulteriore avvertenza che la prima volta che fu da esso fatta, fu fatta con terra levata dal territorio veronese». Fu così individuato il «begone» che quel marchese fece costruire «per tirare nella sua risara Agnella le scolatizie di San Pietro in Valle», ulteriore violazione al Trattato400. Il suo agente non solo presentò istanza con la quale affermava il suo presunto diritto a costruire quel begone, ma diede anche un’interpretazione singolare del Trattato. Ora, per lui, siccome i ministri plenipotenziari avevano accordato alla risaia dell’Agnella una superficie di campi 500 (ettari 150), era evidente che avevano concesso al suo padrone, sia pure in modo implicito, anche il diritto ad avere l’acqua sufficiente per irrigare quei campi. Insomma, curiosamente, si pretendeva di avere comunque l’acqua necessaria, al di là dell’andamento meteorologico delle stagioni. La deposizione dell’agente dei Cavriani, chiaramente interessato, provocò una vivace discussione fra i due visitatori senza che si addivenisse a un’opinione comune, rimanendo ciascuno sulle proprie posizioni401.
397
Il «Cavo novo di Commun» era un nuovo canale che prendeva acqua dal lago di Derotta dopo il Busatello, attraversava le risaie mantovane e finiva nel canale che collegava il Tartarello di Ostiglia alla Fossetta Mantovana. È ben delineato nella mappa allegata al Trattato del 1752 di Azzalini e Rossi, in ASV, PSCC, b. 43, edita in Borelli,
Governo delle acque cit., pp. 144-145. 398
ASV, PSBI, b. 858. I visitatori erano ancora De Peiri e Miniscalchi, coadiuvati dall’ingegner Leonardo Barrai per parte veneta e dal prefetto alle Acque Francesco Cremonesi e dal viceprefetto Michelangelo Ferrarini per parte
mantovana. La commissione iniziò i lavori a Ostiglia il 3 novembre 1762 e li concluse siglando la relazione congiunta a Isola della Scala, il 23 novembre 1762.
399
Anche questo corso d’acqua è ben delineato nella mappa edita in Borelli, Governo delle acque cit., pp. 144-145.
400
Fu l’agente del patrizio Michiel, allora proprietario dello stabile della Borghesana, a reclamare «contro un penello che detto marchese Cavriani aveva fatto costruire nel Tartaro in vicinanza alla pila della Morarola e che poi fece disfare e finalmente contro il begone detto Beveradore che serve a beneficio di detta risara Agnella».
401
Per il provveditore Miniscalchi erano evidenti le violazioni agli articoli V e X del Trattato. Dunque non fu solo il pennello a far crollare l’impianto del 1752, come Valentini, op. cit., p. 149 che però non conosce la relazione della
Questi screzi, furono i presupposti dei gravi incidenti del 1763. Il primo avvenne in agosto. Il pretesto per un’azione di forza fu lo «sgarbamento» operato dagli agenti di San Pietro in Valle in un tratto del Tartaro che era stato riservato ai mantovani, ma che gli esteri non avevano ancora eseguito. I veronesi avevano provveduto a tagliare l’erba palustre in quel tratto del fiume perché le abbondanti piogge della primavera avevano talmente gonfiato il Tartaro che parte delle risaie di San Pietro in Valle, di Pradelle e di Roncanova rischiavano di affogare per la mancanza di scoli402. Di nuovo, nonostante il conte Miniscalchi avesse già avviato le pratiche per concordare con il suo collega l’inizio della nuova visita, che avrebbe potuto verificare l’accaduto e prendere le necessarie misure, col pretesto di quell’abuso veneto, truppe straniere penetrano negli Stati della Repubblica per chiudere le bocche delle seriole veronesi, danneggiandole403. La visita fu sospesa ancor prima di cominciare. Per contro, iniziò un fitto carteggio fra il capitanio di Verona e il governatore di Mantova con scambio reciproco di accuse.
Il capitanio Corner protestò vivacemente perché la nuova violazione della territorialità veneta era stata pretestuosa e iniqua. Infatti, i colpevoli degli abusivi tagli d’erba palustre erano stati puniti ed egli stesso aveva ordinato l’apertura delle «usciare» dei mulini per soccorrere le risaie ostigliesi. Anche i veneti avevano patito danni, oltre campi 400 (ettari 120) a risaia erano andati perduti per mancanza di scoli, eppure nessuna protesta era stata avanzata a Mantova404. Poi, i soldati avevano ancor più danneggiato i veneti, con furti di pollame e di altri generi: «Ad un povero villico che aveva gran parte di sostentamento in un picciolo campo seminato di sorgo giallo, ne danneggiarono per oltre due sacchi»405.
Ritirate le truppe, prima di iniziare la visita, il conte Miniscalchi chiese istruzioni. Cosa doveva fare di fronte ai danni arrecati dai mantovani con «il loro violento intervento»; rispetto poi alle violazioni eseguite alle bocche mantovane doveva dissimulare o protestare? Infatti sia il marchese Cavriani sia il marchese Sordi avevano prolungato abusivamente i loro pennelli restringendo l’alveo
visita del 1762. L’A. riferisce di altri tentativi di compromesso nel 1763, pp. 150-151, che paiono però solo diversivi mantovani per consentire al marchese Cavriani di portare a termine la produzione risicola.
402
Valentini, op. cit , pp. 150-151.
403
Valentini, op. cit ,152-153. ASV, PSCC, b. 42. Il 25 luglio 1763, Miniscalchi aveva invitato alla visita il prefetto mantovano. Il 3 agosto, a Gazzo giunse «milizia d’infanteria tedesca» con un cannone da campagna. Quei soldati presidiarono tutti i mulini veneti per assicurarsi dell’apertura delle «usciare». Il 16 agosto, il marchese Cavriani poté far erigere il solito pennello a danno delle risaie inferiori.
404
ASV, PSCC, b. 42, n. 25. Dispaccio del barone Giorgio de Waters al capitanio Alvise Corner. Mantova, 1° agosto 1763. Quel governatore spiegò che diserbato il Tartaro, d’improvviso era mancata l’acqua alle risaie mantovane. «Essendo i risi sul granire non ci hanno dato tempo di prevenire prima d’ora l’E. V. di tale mancanza». Ora tale urgenza «ci mette in necessità di servirci di quella ragione che ci dà la legge, mentre se tardassimo di più perirebbe interamente il riso ed il rimedio sarebbe inutile». Nella sua risposta del 2 agosto, Corner sostenne tra l’altro, che in realtà era stato l’agente del Cavriani a sgarbare illecitamente il Tione e accortosi del mal fatto, incaricò i veronesi di continuare gli sgarbi anche nel tratto di pertinenza mantovana. Il 4 agosto, gli giunse notizia dell’invasione di truppe estere.
405
Lettera di Corner a Waters, 31 agosto 1763. Il 12 agosto il barone Waters si scusò perché l’ordine di fermare le truppe da lui stesso spedito il 2 agosto, non era giunto in tempo ad Ostiglia. Chiese comunque al capitanio di rilasciare gli opportuni ordini per effettuare la visita. Id., n. 31. Pur manifestando il «grave senso» per l’accaduto, «per il suo ben vicinare», il Senato accordò la visita.
del fiume e violando la sovranità veneta, oltre a danneggiare gravemente lo stabile della Borghesana dei nobili Michiel. Ebbene, fu la risposta del Senato, i trattati andavano rispettati nello spirito e nella lettera406.
Forte delle commissioni ricevute, il conte Miniscalchi ribatté a muso duro alle pretese del commissario mantovano. Nessuno aveva diritto di pretendere più acqua di quanto stabilito nei Trattati. Perciò, si rifiutò di proseguire la visita se prima non venivano tolti dal Tartaro i pennelli fatti erigere dai marchesi Cavriani e Sordi che ne convogliavano verso le loro bocche un quantitativo maggiore, sottraendola agli altri utenti407. Tutto però fu ugualmente inutile.
L’ultimo di agosto, sconsolato, il provveditore Miniscalchi scrisse al capitanio di Verona che i mantovani non avevano alcuna intenzione di togliere né la rosta e né il pennello. Questi volevano solo acqua per le loro risaie e per averla a sufficienza non avrebbero esitato a chiedere al loro governo una’altra azione di forza. Per evitarla, Miniscalchi propose al pubblico rappresentante di ordinare la chiusura di tutte le bocche delle risaie a monte di quelle ostigliesi per qualche giorno; ciò non avrebbe arrecato troppi danni ai veneti e forse avrebbe accontento gli esteri o almeno si sarebbe loro dimostrata l’ingenuità dei sudditi della Repubblica; e di tenere nel contempo aperte tutte le usciare dei mulini. Il provveditore veronese era giustamente allarmato. Invitava i suoi superiori a ponderare qualsiasi decisone poiché si correva il rischio di un disconoscimento del Trattato da parte degli esteri e di nuove invasioni di truppe con offesa grave della dignità del Senato408.
Puntualmente, i timori del provveditore Miniscalchi si avverarono. Il giorno dopo, il commissario De Peiri avvertì il suo collega veronese che truppe imperiali stavano di nuovo entrando nello Stato veneto per chiudere le bocche di quelle risaie a vantaggio delle mantovane rimaste semi asciutte. Miniscalchi lo pregò vanamente di attendere le risposte del Senato. Stavolta l’invasione durò poco, la marcia fu sospesa dopo appena due giorni, il 3 settembre, poiché alla pila della Morarola, usata come indicatore, il livello dell’acqua fu ritrovato di once 26 (metri 0,73), più che sufficienti per irrigare le sottostanti risaie. Avvisando del richiamo delle truppe, Miniscalchi avvertì il capitanio Corner che altri soldati si erano portati sul confine ferrarese tagliando un argine anch’esso vincolato
406
ASV, PSCC, b. 42, doc. 34, Miniscalchi al capitanio Corner, 17 agosto 1763. In risposta alle sue richieste il Senato ordinò al capitanio, innanzitutto, di affiancargli il cancelliere Marastoni durante le visite e l’ingegner Barrai. La visita sarebbe iniziata il 24 e tutto doveva essere conforme ai trattati. Nessuna dissimulazione, dunque, se c’erano ancora, i pennelli Cavriani e Sordi andavano tolti. Id., doc. 42. Sono le ducali del 20 agosto che Corner inviò a Miniscalchi il giorno 23. Alla luce di quanto esposto, sembrano alquanto ingenerose le accuse della Valentini al Governo veneto d’incapacità , op. cit., p. 151.
407
Id., doc. n. 44, Miniscalchi al capitanio Corner, Ostiglia, 24 agosto 1763. Il De Peiri aveva lamentato che, nonostante il pennello, la risaia Agnella aveva ancora 300 biolche (circa ettari 100) all’asciutto e altre 70 (circa ettari 23) erano bagnate pochissimo. Il commissario mantovano si dichiarò disposto a far togliere il pennello dal Tartaro se però i veronesi avessero fatto defluire acqua sufficiente all’Agnella. Insomma, quella risaia del marchese Cavriani, era troppo ampia e alta per essere irrigata con la sola acqua riservatagli dal Trattato.
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da un trattato firmato con i pontifici dal conte Cristiani. Ora «questi ministri vogliono distruggerlo come ora vorrebbero del trattato del Tartaro e di molte altre cose stabilite dal medesimo Cristiani»409.
Il 5 settembre, le operazioni militari in Veneto ripresero. Appena saputo della chiusura delle bocche veronesi, il conte Firmian a Milano aveva effettivamente firmato il contrordine, ma il suo dispaccio non giunse in tempo a fermare le nuove operazioni410. Egli comunque rinnovò l’ordine di ritiro, però ponendo una condizione, che «le risare ostigliesi avessero la competenza di acqua». Per il conte Miniscalchi questa era «cosa che fa conoscere come non si voglia sostenere l’ingiustizia del trapasso e come si voglia continuare in questa lettura falsa del Trattato»411. Giunti a questo punto, per il provveditore veronese non restava altro da fare che proporre di nuovo «una positiva e destra trattazione per sollevar di terra un trattato sfigurato, calpestato e poco meno che lacero». I mantovani volevano «toglierlo dal mondo» col chiudere le bocche veronesi così da far defluire tutta l’acqua del Tartaro a loro vantaggio. Per conseguire il proprio privato interesse, costruendo nuove roste sul fiume «senza riguardo alcuno», gli esteri avevano distrutto tutto il beneficio apportato da quelle convenzioni negli ultimi dieci anni, durante i quali esse avevano garantito la pubblica quiete con reciproca soddisfazione412.
Non è del tutto esatto sostenere, come si è detto, che il Senato accettò supinamente le decisioni prese unilateralmente dal conte Firmian a Milano. Anzi. Quello stesso giorno si passò a una controffensiva diplomatica, dando ordine di scrivere a tutti i ministri veneti presso le corti estere perché informassero i governi «delle novità con turbazione di dominio e Stato» e, soprattutto, i Pregadi ordinarono all’ambasciatore Erizzo413 di protestare energicamente presso la corte di Vienna.
Ad esempio, anche il residente veneto a Napoli, ebbe l’incarico di informare quella Corte dei disordini avvenuti di recente ai confini veronesi414. In realtà voci del sopruso imperiale già circolavano nella capitale borbonica e ne fu testimone proprio il residente Zon: dell'affare, aveva «sentito più volte confusamente parlarne e fui più volte ricercato di quanto io ne sapevo nel
409
Id., Miniscalchi a Corner, Ostiglia, 1, 2, 3 e 4 settembre 1763, doc. n. 54.
410
In effetti, una ducale inviata al residente Gabriel ringraziava il conte Firmian del contrordine dato a Mantova. La corte di Vienna poi stigmatizzò il comportamento dei mantovani colpevoli di aver violato il trattato. Si progettò addirittura un viaggio a Milano di Miniscalchi e Rossi per interloquire direttamente con Firmian senza la mediazione dei mantovani considerati inaffidabili. Id., Verona, 6 settembre 1763.
411
Id., il capitanio al Senato, 7 settembre 1763. Rossi scrisse a Tron e Morosini che a suo parere, in quei frangenti, una missione a Milano era inutile, ma che invece «occorreva una personalità per trattare l’affare».
412
Ibidem.
413
Nicolò Erizzo (1722-1806) fu ambasciatore a Vienna dal 1761 al 1765, e «giurisdizionalista, filoebraico, massone e attivo imprenditore», G. Gullino, voce Erizzo Nicolò, DBI, 43 (1993).
414
proposito, ma nel rispondere io sempre mi contenni, che niente più mi era noto se non quanto ne portavano alcune pubbliche e mal sicure notizie»415.
Il Senato voleva sfruttare a proprio vantaggio un momento internazionale delicato per l’Austria, rimasta da sola a combattere contro la Prussia dopo la defezione russa a seguito della morte della zarina Caterina II, alla fine della Guerra dei Sette anni. Maria Teresa si trovò costretta a iniziare le trattative che avrebbero condotto alla pace di Hubertusburg e a un nuovo successo per Federico II. Insomma, a Venezia si calcolò non essere conveniente per l’imperatrice dimostrarsi di fronte alle corti europee insolvente, proprio nel momento in cui si accingeva a sottoscrivere nuovi trattati internazionali. Se ne fece una questione d’immagine. Intanto, sul posto il Senato inviò il generale Stratico con suo figlio tenente colonnello per organizzare una qualche risposta militare416. Finalmente, il 10 settembre, le truppe estere lasciarono il Veneto417.
In quei frangenti, il provveditore Miniscalchi ebbe l’aiuto del conte Gasparo Giusti, presidente del Consorzio del Tartaro418, che offrì la sua esperienza per dimostrare l’assurdità delle richieste avanzate dal marchese Cavriani. Questi, confidò al matematico Rossi, in missione a Ostiglia, che se si fosse adacquata tutta la risaia Agnella, il livello del fiume sarebbe stato così alto che avrebbe tracimato e impaludato almeno trecento campi419. Anche volendo sacrificare quei terreni, lasciandoli affogare, in tempi di siccità sarebbe stato comunque impossibile che «l’acqua arrivasse al suddetto livello», a meno che non si volesse lasciare a secco non solo lo stabile veneto della Borghesana, ma anche quelli ostigliesi420.
Senza forti coperture politiche, il marchese Cavriani non avrebbe potuto compiere tutti questi arbitrî; infatti, egli era ben addentro al governo di Mantova. Lo testimoniò al provveditore Miniscalchi, il conte Ottavio Pellegrini, imparentato come i Cavriani con i conti Colloredo. Ebbene, questi aveva saputo che il marchese Botta, governatore della Toscana, nel suo viaggio da Firenze a
415
ASV, Senato. Dispacci Napoli, fz. 144 (140), 20 settembre 1763. Il marchese Tanucci era già stato informato degli
incidenti dell’agosto. L'8 settembre scrisse al ministro napoletano a Venezia, il conte Finocchietti, che «intanto il fatto conferma la massima che le sole forze sono capaci di conciliare li riguardi che senza di quelle si perdono. In tal veduta fu riprensibile la condotta tenuta dal Savio di Terraferma lasciandola sfornita di truppe» giudizio che si aggiunge a quelli poco lusinghieri nei confronti della Repubblica, che più volte il marchese espresse nel suo carteggio diplomatico. Archivio di Stato di Napoli, Esteri, fascio 2307, n. 57.
416
ASV, PSCC, b. 42, Verona, 8 settembre 1763. Il Corner informò il Senato dell’arrivo del corriere con i dispacci per Milano. La venuta del generale era più che altro dimostrativa poiché le stesse ducali invitavano alla «circospezione».
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Id., Corner al Senato, Verona, 9 e 10 settembre 1763. Giunse il sindico d’Isola della Scala: riferì essersi ritirate le truppe parte ai Due Castelli, parte a Villimpenta; dopo aver raccolto i picchetti posti di guardia ai mulini, partirono a tamburo battente. L’11, giunse copia del promemoria di Firmian. Si disse costretto a ordinare l’ingresso delle truppe in territorio veneto perché le risaie mantovane stavano per perire. Ora che erano adacquate a sufficienza le si ritirava.
418
Sul Consorzio del Tartaro vedi oltre.
419
Durante la magra del 1762, l’ingegner Barrai aveva misurato la soglia della pila Morarola e quella della bocca dell’Agnella. Ebbene, questa si trovava in una posizione più elevata rispetto alla prima. ASV, PSCC, b. 42, vedi la relazione Barrai segnata n. 75. Perciò, per «adacquare li piani alti della risara Agnella», il Tartaro avrebbe dovuto