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V. LA QUESTIONE TARTARO IL CONTROLLO DELLE ACQUE IRRIGUE

7. Il nuovo trattato di Ostiglia del 25 giugno

Il nuovo trattato finalmente siglato da Tron e de le Silva è soprattutto un monumentale manuale d’idraulica. Si tratta infatti di un voluminoso incartamento con numerosi allegati composti di calcoli, tabelle e mappe435. Esso comprende cinque allegati, il primo dei quali descrive tutti i sedici corsi d’acqua del sistema Tartaro436, i trenta mulini con i loro «stramazzi», le tredici fra seriole e fontane che conducevano l’acqua agli irrigui e infine le «risare indebite, dubbie e in tutto o in parte di difficile irrigazione»437. Gli altri allegati riguardano l’assegnazione dei campi irrigui nel Veronese ancora liberi438 e la descrizione delle fontane. Poi, la descrizione delle bocche mantovane

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Id. dispaccio n. 17, 4 luglio 1764. Fece anche notare che bisognava intervenire presso i conti Giusti perché

irrigavano campi 709 (ettari 212) anziché i 620 (ettari 186) pattuiti e i conti Montanari che ne coltivano 506 (ettari 152) anziché 350 (ettari 105), «misura troppo sproporzionata»; simili eccedenze imbarazzavano la Commissione e davano «pretesto ai mantovani di esagerare i disordini». Prima di firmare, Tron fece leggere il trattato al conte Miniscalchi, al matematico Rossi e al consultore Marco Forcellini che lo trovarono conveniente; e lodò il marchese Canossa che l’aveva aiutato nel maneggio, «suddito fedelissimo, avendo egli da molto tempo conoscenza se non familiarità col commissario austriaco».

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Tutto l’incartamento in ASV, PSCC, b. 49. Sintesi dei 30 articoli del trattato di Ostiglia del 25 giugno 1764, in Valentini, op. cit., pp. 154-159; Porto, op. cit, pp. 328-331. L’intero trattato dove si possono trovare tutti gli articoli citati nel testo è stato pubblicato da C. De Bosio, Dei Consorzi d’acque del Lombardo Veneto, Verona, 1855, allegati, alle pp. 227-235 il Trattato del 25 giugno 1764, e di seguito gli allegati: il primo allegato, classe I alle pp. 236-243; classe II alle pp. 244-246; classe III a p. 247, classe IV alle pp. 248-253; classe V alle pp. 254-255. Il secondo allegato a p. 256. Il terzo alle pp. 257-259; il quarto alle pp. 260-268 e il quinto alle pp. 269-270.

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La Fossa di Pozzolo ebbe un ruolo decisivo per la soluzione delle controversie. Infatti essa prendeva acqua dal Mincio al cosiddetto edificio di Pozzolo e terminava ai ponti detti Castelletto dei Cavalli, scaricandosi nella Molinella che a sua volta s’immetteva attraverso il Fissero nel lago di Derotta e nel sistema Tartaro (art. IX dell’allegato I, classe I). Grazie a questo canale si sarebbe immessa più acqua nelle risaie ostigliesi. Vedi la mappa allegata al trattato ASV, PSCC, disegno n. 49/2.

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Tra le risaie di difficile irrigazione vi erano l’Agnella dei Cavriani, le Gazine dei marchesi Sordi e Strozzi e la Mezzagatta dei Valier che, ovviamente, non intervennero mai nella questione avendola affittata a dei mantovani. Vedine la mappa in ASV, PSCC, disegno n. 49/8. Sottoscrissero l’allegato I, gli ingegneri mantovani Nicolò Baschiera e Francesco Cremonesi e i veneti A. Giuseppe Rossi e Leonardo Barrai.

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L’allegato II assegnava i campi 600 (ettari 180) nel Veronese così suddivisi: ai patrizi Cappello con l’acqua Frascà campi 110 (ettari 33); ai patrizi Michiel con l’acqua del Tartaro campi 150 ( ettari 45); ai conti Giusti di Gazo con l’acqua del Tartaro campi 220 (ettari 66) e all’abbazia di San Zeno a San Pietro in Valle con l’acqua del Tione campi 120 (ettari 36).

che prendevano acqua dalla Fossa di Pozzolo e dalla Molinella439 e infine uno relativo alla sola risaia dell’Agnella dei marchesi Cavriani440.

La complessità della materia era tale che ebbe subito bisogno di chiarimenti; tra le aggiunte più importanti quella che stabilì dover essere annuale la «visita» della Commissione austro veneta e quella che voleva due periti, uno per parte, presenti durante la stagione delle irrigazioni per misurare la quantità d’acqua che affluiva nelle seriole. Infine, si sottoscrissero anche le tavole topografiche che così divennero parte integrante del Trattato medesimo441.

L’allegato più tecnico fu il settimo, con cui si dovevano stabilire i criteri di misurazione dell’acqua assegnata a ciascuna seriola e alla cui stesura, oltre al matematico veneto Giuseppe Rossi partecipò l’abate milanese Francesco De Regi, professore di matematica a Mantova. Il tentativo di dare una misura precisa alla portata di un condotto d’acqua raggiunse qui uno dei livelli più vicini all’esattezza dell’antico regime. Innanzitutto, si stabilì che «per quadretto veronese di acqua si dovrà intendere quella quantità d’acqua che entra per pura pressione dell’acqua sovrastante alla soglia in una bocca di un piede veronese quadrato (un piede equivale a m. 0,343) che abbia due once (m. 0,057) di altezza d’acqua appoggiata al lembo superiore o sia cappello della bocca medesima»442; ossia, litri 145,36 al secondo; e poi «per computare la quantità di acqua che entra per pura pressione in una bocca di un quadretto o più quadretti si dovrà osservare la legge adottata da più accreditati teorici e pratici e confermata dall’esperienza che la velocità dell’acqua che entra in una luce per pressione dell’acqua sovrastante è come la radice quadrata dell’altezza dell’acqua medesima e che la sua quantità di acqua è in ragione composta della grandezza della luce e della radice quadrata dell’altezza dell’acqua premente»443.

L’allegato continuava poi col descrivere la forma delle bocche e il materiale con cui erano costruite. Poi indicava i criteri di risarcimento degli utenti danneggiati da eventuali rigurgiti d’acqua colposi, precisava l’angolazione di ogni bocca riferita all’asta fluviale e infine, nel suo ultimo articolo, stabiliva il quantitativo di «un quadretto di acqua di misura veronese per adacquare ottanta

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La Fossa di Pozzolo alimentava quindici seriole che irrigavano una superficie di almeno biolche 4.150 (ettari 1.383 circa) di prato e 990 (ettari 330) di risaie e davano energia a un mulino e quattro pile da risi. La Molinella ne alimentava ventitré per un totale di biolche 3.676 circa (ettari 1.225) a risaia, comprese quelle del marchese Ferdinando Cavriani che aveva anche 65 biolche a prato (ettari 22) irrigate dalla Fossa di Pozzolo con due bocche e circa 681 biolche di risaia (ettari 227) alimentate da varie bocche della Molinella. Di queste, 34 biolche (ettari 11) erano di un Massimiliano Cavriani di Vienna e 1.000 (ettari 333) del marchese Alfonso Bevilacqua. Id., allegato IV.

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L’allegato V riguarda proprio la risaia Agnella di campi 500 (ettari 150). Continuerà ad essere in parte alimentata dal Tartaro ma la sua bocca si regolerà «al bastione delle Zenzale», mentre alla risaia delle Core «al luogo denominato Begone della Pioppa si darà la competenza di acqua che è dovuta». Una nuova bocca dove un tempo esisteva quella di Trevenzuolo darà sussidio all’Agnella e le acque di scolo sarebbero defluite verso quella delle Gazzine dei marchesi Sordi e Strozzi.

441

Si tratta del Supplemento al Trattato siglato anch’esso a Mantova, il 19 giugno 1765. Gli articoli citati sono il IX, il X e il XII del Supplemento che doveva chiarire gli articoli IV, VIII e X del Trattato medesimo. Le tavole a stampa sono otto collocate in ASV, PSCC, disegni nn. 49/2-9.

442

Id. all. VII, art. I. Anche Valentini, op. cit., p. 154.

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campi in un giorno» nell’irrigazione «de’ prati, sopra i quali l’acqua dovrà soltanto scorrere»444. Con queste minute disposizioni, gli ingegneri e i matematici erano convinti che si potesse finalmente eseguire «l’ordinata modellazione delle bocche» a reciproco vantaggio degli utenti dei due Stati confinanti.

Per non ripetere l’errore dei loro predecessori, Tron e de la Silva non sciolsero il Congresso una volta sottoscritto il Trattato, nel giugno del 1764, ma rimasero a Mantova entrambi per seguire passo passo tutti i lavori attuativi del convenuto. Questi iniziarono nel Veronese e proseguirono con repentine accelerazioni445, inframmezzate da lunghe battute d’arresto, dovute anche alla rigidità dell’inverno. Le bocche furono così rimodulate dagli agenti o dagli affittuari dei proprietari delle risaie sotto la direzione degli ingegneri della Commissione mista che avevano il compito di risolvere sul posto eventuali contestazioni446.

Altre questioni sorsero tra matematici e anch’esse rallentarono i lavori; ad esempio, si perse tempo per stabilire a cosa corrispondessero i passi geometrici. Per il matematico milanese de Regi mille passi geometrici equivalevano a 723 pertiche veronesi (circa metri 1.475), mentre quello veneto Rossi, che si basava sui calcoli fatti dal suo illustre predecessore, lo Zendrini, valutava mille passi geometrici pari a 837 pertiche padovane (circa metri 1.794)447. Della disputa fu coinvolto addirittura il principe di Kaunitz che protestò con l’ambasciatore della Repubblica. Temeva che le impuntature metrologiche dei veneti celassero la volontà di vanificare l’affare, accusa che, ovviamente, Tron rispedì al mittente448.

In febbraio, finalmente, le operazioni ripresero vigore, anche perché «il padre Regi in ora ha conosciuto coll’esperienza che altro è discorrere sulla difficile materia delle acque colle dottrine teoriche e matematiche, altro trovarsi sul luogo nelle scabrose circostanze di dover operare e misurare l’effetto delle acque che ben non si conoscono se non con la prova». A Isola della Scala ora si stavano esaminando con sollecitudine le aperture delle prese, tanto più «che il padre Regi

444

Id., all. VII, art. VIII. Legge male S. Ciriacono, Irrigazione e produttività agraria nella terraferma veneta tra Cinque

e Seicento, in “Archivio Veneto”, CXII (1979), pp. 73-135 che considera bastevole un quadretto per irrigare per una

settimana campi 80, mentre qui si parla di un giorno. Perciò erra i calcoli di conseguenza anche D. Gasparini che su questo assunto si basa, Le campagne “adaquate” del Brenta in età moderna, ora in Serenissime campagne, Verona, 2011, p. 435. Tuttavia nell’all. IX fu portata a campi 26 la quantità di prato irrigabile con un quadretto, Valentini, op.

cit., p. 158. 445

ASV, PSCC, b. 55. Tron al Senato, dispaccio n. 41, Mantova, 15 gennaio 1765 (1764 m .v.). «Per questo si lavora attualmente con cento e più uomini nel ritiro del noto canale, si rinforzano dappertutto dove è stabilito gli argini, si otturano li fossi, si fanno li stramazzi ai mulini ed insomma tutte si adempieno le operazioni comandate dai Principi».

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Ad esempio, nel gennaio del 1765, l’agente dei Grimani, quello del conte Pellegrini e il «sindico e consiglieri della comunità di Erbé» stavano litigando perché nessuno voleva scavare sui propri fondi il nuovo sbocco in Tartaro di un canale detto degli Erbazzoni, contesa risolta dall’ingegner Barrai «col dar in un luogo ad una parte e togliendo in un altro dall’altra certi piccoli pezzi di terreno vallivo di poco conto». Id., diario dei lavori eseguiti dal 13 al 21 gennaio, allegato al dispaccio di Tron al Senato del 29 gennaio 1765 (1764 m.v.).

447

Ibidem.

448

comincia accorgersi, quantunque non voglia confessarlo, di certi errori da lui presi contro tutte le buone massime»449.

Lo stesso principe di Kaunitz si ricredette e partecipò all’ambasciatore veneto la speranza di «un felice termine del molesto e combattuto affare». Ricevutane notizia, Tron non mancò di avanzare alcune critiche al sistema di governo imperiale che ben aveva imparato a conoscere quand’era stato ambasciatore. Val la pena riportarle perché non riguardano solo i rapporti con la Repubblica ma l’intera politica estera dell’Impero:

«Se la corte di Vienna avesse prestato fede al solo suo commissario e non avesse badato ad altre informazioni fino ad ora tutto sarebbe quasi compiuto con reciproca soddisfazione; ma questo è uno dei principali difetti del Governo austriaco non solo in questa materia; ma in altre ancora di massima importanza, cioè di conferire l’autorità a qualcheduno e poi non fidarsi di quella solamente, ma udire e regolarsi ancora sopra altre relazioni ed informazioni le quali, alla fine, producono la confusione ed il disordine, pretendendo li uomini savi e prudenti e conoscitori dell’indole di quella Corte che le principali disgrazie che sono succedute nella guerra decorsa a Casa d’Austria siano nate da questo principio, cioè dall’aver troppo diviso l’autorità tra i suoi generali e non essersi interamente fidata di quelli sulla fede dei quali dopo avergli conferito il potere doveva riposare. Questa indole naturale di quel governo, proveniente da ragioni delicate si manifesta in quasi tutti gli affari di quella monarchia e pur troppo ho dovuto io farne la prova anche in questo del Tartaro che se fosse stato diretto dalla sola unità di questo signor commissario sarebbe fin ad ora terminato con giustizia e con reciproco contentamento».

Forse troppo lunga, la citazione esprime bene il pensiero di Tron e chiarisce quale fosse la posta in gioco; il Tartaro diventava un tassello fondamentale dell’equilibrio politico europeo appena raggiunto dopo una guerra dispendiosa.

L’affare della sistemazione delle bocche del sistema Tartaro subì ancora battute d’arresto, stavolta causate dalla malattia che colpì l’ottuagenario de la Silva450. Ristabilitosi il commissario imperiale e giunta a Mantova la «turba dei matematici» una volta terminate le ispezioni, finalmente, si ebbe un quadro più chiaro della misura delle bocche e della superficie irrigata. «Nel Veronese tutto si è fatto ed anche eseguito, tanto quello che al pubblico quanto quello che al privato apparteneva». Tuttavia, nonostante gli sforzi, non si era rinvenuta altra acqua perché «l’acqua là non si è trovata, perché ella non vi era e quando si è supplito all’uso legittimo dei nostri, non se ne avanza che in pochissima

449

Id., Tron al Senato, dispaccio n. 46, Mantova, 5 febbraio 1765 (1764 m. v.). Inoltre, l’ingegner Baschiera e il prefetto Cremonesi si erano spazientiti delle disquisizione del De Regi e volevano terminare la loro fatica quanto prima. Anche de la Silva sembrava più tranquillo e contento «e comincia in parte a sperare che si conduca a buon termine questo ingrato e molesto affare».

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Id., Tron al Senato, dispaccio n. 53, 2 aprile 1765. Firmian però non «ha badato a spese» per la salute del Commissario inviando a Mantova addirittura due famosi chirurghi che per fortuna riuscirono a guarirlo.

quantità per gli inferiori e per niente uguale ai loro bisogni», come del resto a suo tempo aveva già sostenuto il matematico Zendrini. Dunque, se le risaie ostigliesi volevano più acqua dovevano prenderla dal Mincio451. «Questa verità è perfettamente conosciuta» dagli ingegneri imperiali452. Dopo un’altra visita alle seriole del Tartaro sollecitata dal fiscale mantovano, che non voleva rassegnarsi all’evidenza dei fatti, e regolate tutte le bocche, finalmente si diede inizio a Mantova alla stesura del supplemento al Trattato suddiviso in quattordici articoli. L’art. VII stabiliva l’escavo della Fossa di Pozzolo, della Molinella e di altri condotti minori del Mantovano, compreso il Fissero, che entravano così pienamente nel sistema Tartaro soggetto alle visite annuali della Commissione mista. Tuttavia, nonostante la sua importanza, non fu questo l’articolo che costò più fatica a Tron, ma quello che il commissario veneto volle assolutamente inserire nel supplemento, minacciando addirittura di non sottoscrivere quanto convenuto fino a quel momento, l’articolo XI. Con esso si affermò che «qualunque possessore sì veronese che mantovano dovrà esser contento dell’acqua che gli è stata assegnata con piena cognizione delle rispettive ragioni, non potrà movere querela alcuna e movendola non sarà sentito»453. Insomma, ognuno doveva accontentarsi di quanto gli era stato assegnato, così da evitare nuove pretese simili a quelle avanzate in passato dal marchese Cavriani.

Ancora una volta, occorre dire che appaiono quantomeno ingenerose le descrizioni di un commissario Tron semplice testimone passivo di quanto deciso altrove, che non protestò mai e che considerava irrilevanti gli interessi dei proprietari «rispetto all’importanza di mantenere buoni rapporti con l’Austria»454. In realtà il suo fu un successo, poiché riuscì a togliere da Mantova e da Milano il cuore della vertenza, dove troppo coinvolti con gli interessati erano quei governatori locali, e riportarla ai massimi livelli del diretto rapporto tra i Principi. Questo in via politica. Dal punto di vista tecnico, il risultato più importante fu quello di risolvere il problema della penuria

451

Id., Tron al Senato, dispaccio n. 54, 9 aprile 1765.

452

Tron dà un bel ritratto del padre Regi: era stato alla casa di Venezia in Mantova e gli aveva detto «che sapeva benissimo di esser stato accusato di negligenza in questo affare, ma che conveniva riflettere che aveva bisognato esaminare e regolare quasi cento bocche, quaranta e più molini, stabilire una quantità di operazioni che non erano così facili da esser concretate; che nel principio molte cose erano difficili da esser combinate con li veneti ingegneri; ma che soprattutto il principale ritardo era nato dalla qualità dei tempi e della stagione; che se finalmente a Milano non erano contenti della sua condotta, non sapeva che farne, che già essendo uscito da un chiostro in un chiostro istessamente se ne doveva ritornare e che preferiva la tranquillità della sua cella con un grandissimo piacere a qualunque tumulto e movimento di affari, dal qual ragionamento compresi benissimo che l’aura sua non spirava più così favorevole appresso il Governo di Milano come lo era nel principio della Commissione […] Questo ecclesiastico che ha molti difetti e che particolarmente ha voluto in questa materia far egli da plenipotenziario, poco curando o, per meglio dir, nulla gli ordini di questo signor Commissario, è per altro un uomo onesto e quantunque abbia preso molti errori, che però non vuol confessare, nonostante, fra tutti li subordinati austriaci io lo credo il più capace e quel solo finalmente che non ha secondi fini e che non ha altro oggetto che di esser stimato e rispettato, passione che possiede al sommo grado, dove tutti gli altri subordinati che prendono o prender vorrebbero ingerenza in questa materia sono stati sempre dominati da mille particolari affetti e raggiri». Id., Tron al Senato, dispaccio n. 55,10 aprile 1765.

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Id., Tron al Senato, dispaccio n. 66, 20 giugno 1765 a cui è allegato il Supplemento al Trattato del 19 giugno 1765, controfirmato dai plenipotenziari Da Silva e Tron. Il trattato assieme al supplemento fu ratificato a Vienna il 3 dicembre 1765 e a Venezia il successivo 22 febbraio. Vedilo anche in De Bosio, op. cit., p. 275 ss.

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d’acqua mantovana con un canale derivato dal Mincio, costi notevoli che gli esteri non volevano sostenere e che avevano cercato di scaricare sui veronesi.

Il punto conclusivo di questa grandiosa operazione è sintetizzato in una tabella dove furono elencate tutte le sessantasette prese d’acqua (le bocche), la larghezza e l’altezza delle loro luci e le risaie e i prati che avrebbero potuto irrigare, misure che dovevano rimanere immutate come quelle relative alle soglie e «stramazzi» dei ventisette mulini azionati dalla corrente del fiume e dei suoi affluenti455.

Nell’agosto del 1765, Tron poté presentare in Collegio la scrittura conclusiva della sua lunga e penosa missione mantovana456. Innanzitutto, non poteva mancare un appunto rivolto ai suoi predecessori; se non si fosse sciolta troppo presto la commissione nel 1756, ma anche, in verità, se non fosse mancato di vita il valente conte Cristiani, probabilmente, non si avrebbero avuti i disturbi recenti. Infatti, approfittandosene, i mantovani diedero al Trattato «che non era stato eseguito, quelle interpretazioni che si credettero più convenienti al proprio interesse e alla propria maniera di pensare. Da ciò ne nacquero i reciprochi scritti, le doglianze, le operazioni che di fatto si eseguirono sul basso Tartaro, le due spedizioni di truppe armate da mantovani ed ingresso loro nel Veneto Stato che seguì nell'agosto e nel settembre dell'anno 1763». Per questo non volle rientrare a Venezia neppure dopo la sottoscrizione dei primi accordi del 1764. E a ragione, poiché, proprio grazie alla sua solerte presenza furono sterilizzate alcune stranezze del matematico milanese de Regi e si ottenne il pieno accordo fra gli ingegneri veneti, facendo loro superare quei puntigli personali e quelle gelosie così frequenti fra esperti della stessa materia. Poi, fortuna volle che i veneti avessero più pratica degli esteri e prendendo loro l’iniziativa, in due mesi, eseguirono le modulazioni delle prese d’acqua veronesi, e poi, a partire da marzo, di quelle mantovane. Essendosi Tron astenuto «da quelle parziali protezioni verso soggetti potenti, le quali disgustano gli altri, discreditano le cariche», era riuscito a soddisfare generalmente gli utenti veronesi e a far provvedere d’acqua bastevole i campi del «molesto conte Cavriani» e degli altri utenti ostigliesi, essendo rimasto incerto solo per l’ultima risaia, quella veneta della Borghesana che correva i maggiori rischi in caso di siccità.

Tornato in patria, Tron riferì in Collegio di essere persuaso della quiete raggiunta, «tanto più che la Camera di Mantova è assai stanca dalle spese che per tal motivo ha dovuto incontrare, computandosi che tra le due spedizioni di truppe e li due congressi di Mantova e di Ostiglia si sono

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La tabella A e la tabella C in ASV, PSCC, b. 55. In tutto, i campi che si potevano irrigare a risaia erano 10.158 (ettari

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