V. LA QUESTIONE TARTARO IL CONTROLLO DELLE ACQUE IRRIGUE
3. Il secondo congresso di Vienna (1741)
Con l’ampliamento delle risaie mantovane, la quiete ai confini era legata alle condizioni meteorologiche. Se vi era un anno di siccità, puntualmente, i mantovani protestavano per la mancanza d’acqua, accusando i veronesi di trattenerne a monte un quantitativo maggiore di quello pattuito. Anche il 1739 fu un anno con poche precipitazioni e l’andamento siccitoso delle stagioni portò a una nuova grave violazione territoriale l’anno dopo, nel 1740, quando decine di ussari guidati dall’ingegner Azzalini occuparono la sponda veneta del Tartaro facendo stazione a Trevenzuolo per quattordici giorni; e chiusero bocche, modificarono soglie di mulini, distrussero sostegni350.
Il grave episodio spinse il Magistrato ai Beni inculti ad avvalersi ancora una volta del professor Zendrini che con lunghe pagine ripercorse tutta la storia dell’affare, a partire dalle milizie che già invasero lo Stato veneto nel 1728 e che furono ritirate solo grazie alle pressioni dell’ambasciatore Bragadin sul principe Eugenio di Savoia351. Ma, tecnicamente, poco aveva da aggiungere a quanto già scritto un decennio prima. «Fatte le regolazioni delle bocche, lo scavo delle fontane e degli alvei, l’unico modo è quello di ridurre ad altezza conveniente il Tartaro dal Busatello alla Fossetta cosa che in modo poco efficace vogliono fare con l’impedire il taglio delle erbe a Pontemolino e con la stuppa fatta dagli interessati veronesi e mantovani» alla Borghesana. Il problema era sempre lo stesso. L’acqua non bastava.
Dopo la regolazione delle bocche proposta dal rappresentante di Verona, il rispetto delle misure stabilite di quelle prese d’acqua fu affidato alla vigilanza dell’ingegner Saverio Avesani352 che aveva a sua disposizione una squadra di cappelletti per scoraggiare qualsiasi tentativo di abuso. Invece, nessun controllo vi era dalla parte mantovana, le cui risaie erano «le più floride e le meglio alimentate»; e se «il Governo di Milano facesse misurare le risaie e le confrontasse con le antiche concessioni, quei mantovani pagherebbero il fio delle loro violenze o col Fisco o con l’esborso di grosse somme per quelle concessioni»353. Non era solo Zendrini, ma anche l’ingegnere veronese a
350
L’episodio si legge nei dispacci del capitanio Piero Barbarigo al Senato dal 31 agosto al 7 settembre 1740, in copia in ASV, PSBI, b. 856, vol. I.
351
Id., scrittura Zendrini datata Venezia, 11 settembre 1740.
352
ASV, PSBI, b. 857,vol. I, 4 agosto 1742, cc. 145-146. Saverio Avesani q. Francesco Sigismondo, di anni 53, «abitante in questa città di Verona», sergente maggiore del corpo dei pubblici ingegneri, a lui era stata affidata la soprintendenza al fiume Tartaro. Nel 1728, ebbe l’incarico di rilevare in disegno il corso di tutto il fiume Tartaro e suoi affluenti. Il risultato fu una splendida carta del 1731 con il disegno in quadro di tutti gli edifici idraulici del fiume, ora in ASV, Savi ed Esecutori alle Acque rot. 170 dis. 3/A, edita sia pure sfocata da R. Scola Gagliardi, Le Corti rurali tra
Tartaro e Tione dal XV al XIX secolo, Verona, 1997, pp. 4-6. Sulla regolazione delle bocche opera del capitanio
Giustinian vedi oltre, il paragrafo dedicato al Consorzio Tartaro.
353
ASV, PSBI, b. 856, vol. I; scrittura di Saverio Avesani datata Nogara, 13 agosto 1738. Il 19, scriveva al capitanio Girolamo Pisani che ai veronesi non restava altro che «sperare altra acqua dal cielo». Stavano iniziando contrasti anche fra il marchese Cavriani e il conte Zanardi, entrambi utenti mantovani.
sospettare che gli utenti esteri avessero approfittato del cambio di Principe per intorbidare le cose a proprio vantaggio, fino ad offendere la sovranità veneta sul Tartaro.
Dunque, occorreva aumentare l’acqua di quel sistema idrico. I Provveditori ai Beni inculti si diedero a promuovere studi che portarono a relazioni d’ingegneri presentate al Senato nel marzo del 1741, senza però che fosse presa alcuna decisione. Nel primo scritto, Avesani ammise la possibilità d’immettere acqua nel Tartaro derivandola dal lago di Garda o dall’Adige, ma, per lui, di «qualunque introduzione, rendendosi sempre gravosa e pericolosissima al Polesine e al basso Veronese, non osa la mia insufficienza farne alcun progetto»354. Insomma, temeva che per dare qualche vantaggio alle risaie si arrecassero danni in misura ben maggiore ai campi seminati a frumento del Polesine di Rovigo.
Il secondo scritto era l’ennesimo esercizio sull’argomento dell’ormai vecchio matematico Zendrini. Secondo lui, per tentare di accrescere l’afflusso d’acqua verso le risaie inferiori, occorreva una corretta manutenzione del sistema Tartaro, ritenendo comunque sempre impossibile l’esaudimento delle richieste mantovane, ossia irrigare e avere nel contempo le due braccia d’acqua sopra la fantomatica soglia sulla Fossetta citata dal convenuto del 1599355.
La terza proposta, dell’ingegner Deottino non era nuova, ma riprendeva un antico progetto cinquecentesco di un altro grande idraulico veronese, Cristoforo Sorte, ideato allora per irrigare le aride campagne dell’alta pianura, così come la Brentella presa dal Piave aveva fatto per il Trevigiano: secondo Deottino bisognava aprire una chiavica sotto la fortezza di Peschiera, portare l’acqua nella seriola della Comunità di Valeggio, scavare un fosso fino alla Muraglia di Villafranca e da qui immetterla nella fossa di Sant’Andrea che era affluente del Tartaro356.
Ora però era cambiata la situazione internazionale con l’ascesa al trono imperiale di Maria Teresa e divenuta più favorevole a un Congresso. Infatti, l’invasione prussiana della Slesia e lo scoppio della Guerra di successione austriaca rendeva di nuovo preziosa per la corte di Vienna la neutralità veneziana e non conveniva offendere la Repubblica per avvantaggiare qualche nobile mantovano. Desiderosa di consolidare a livello europeo l’immagine di giustizia con cui voleva caratterizzare la sua Corte rispetto alla protervia di Federico di Prussia, la nuova imperatrice mostrò subito interesse
354
Id., relazione Avesani ai Beni Inculti, 20 gennaio 1741 (1740 m. v.). Avesani sospettava che nel 1737, una delle cause della rotta di Marola nel Polesine che «pose sotto acqua tutto il paese fino alla Polesella» fosse stata proprio l’introduzione di acque del Po nelle risaie mantovane attraverso la chiavica di Ostiglia, che poi si sono scaricate nel Tartaro e quindi nel Canal Bianco. Sulla rotta del Castagnaro del 1737 vedi C., C. e G. Silvestri, Successi delle acque
dall’anno 1677 al 1755, Rovigo, 2003, p. 332-333. 355
Id., relazione Zendrini datata Venezia, 2 febbraio 1741 (1740 m. v.); il 21 maggio 1741, Zendrini presentò una
seconda scrittura per spiegare meglio il suo progetto che prevedeva degli interventi con dei sostegni volti a ritardare il deflusso del fiume per un costo stimato tra gli 8.500 e i 9.000 ducati.
356
Id., relazione dell’ingegner Girolamo Deottino, datata Venezia, gennaio 1741 (1740 m. v.). Oltre che pericoloso per il Polesine, il progetto Deottino fu reputato troppo costoso. Il disegno in ASV, PSBI, 856/2. Il disegno successivo id., 856/3 mostra le prese d’acqua mantovane e veronesi. Sul piano di Cristoforo Sorte del 1568, S. Ciriacono, Acque e
per una soluzione pacifica delle vertenze confinali con la Repubblica tanto che, finalmente, accondiscese a ordinare una perlustrazione dei luoghi da parte di una commissione mista; per la parte veneta fu nominato il vecchio matematico Zendrini coadiuvato però dall’ingegner Avesani; e per quella mantovana, il matematico Antonio Maria Azzalini357. Anno siccitoso si è detto, quel 1741, e il governo di Mantova, impreparato alla nuova fase politica, più incline alla ricerca di accordi, tentò di sabotare l’iniziativa ritardando la partenza del proprio ingegnere, così da poter ricorrere ancora una volta a vie di fatto, cosa evidentemente impossibile a commissione riunita358. Questa volta però i veneziani non si fecero trovare impreparati e inviarono ai confini del Mantovano un drappello di militari che dissuase gli esteri dal penetrare in territorio veneto per chiudere ancora una volta di prepotenza le bocche degli utenti veronesi359.
Non si arrivò a vie di fatto e per la difficile situazione internazionale e perché l’imperatrice da Vienna inviò a Mantova un altro matematico, don Ignazio Valmaglini, per dare un valido contributo alla soluzione del problema360. Prima degli appuntamenti, però Zendrini consegnò al capitanio Barzizza un’altra lunga relazione sull’intero sistema Tartaro perché fosse trasmessa al Senato361. Tra l’altro, in questa relazione, dopo aver trattato in generale delle bonifiche, il matematico volle smentire l’assunto che tutte le risaie veronesi fossero irrigate dal sistema Tartaro. In realtà molte di quelle rogge erano alimentate da fontane e corsi diversi che superavano con ponti canali o sotto passavano con botti o «begoni» quelle del sistema Tartaro, senza frammischiarsi con esse. «Dunque, i mantovani non hanno alcuna ragione di pretendere che queste acque abbiano qualcosa a che fare con le naturali del Tartaro». Poi, «se il Tartaro è un picciolo fiumicello, il Tione è ancor minore» e da questo non potevano certo prendere tutte le acque che a loro abbisognavano, visto che «gli ostigliesi ne hanno fatto due milla delle loro biolche [ettari 667 circa] che importano da 1.800 campi [ettari 612] di più di quelli erano nell’antedetto tempo della convenzione» del 1599. Poi,
357
ASV, PSBI, b. 856, vol. II. L’ambasciatore Pietro Andrea Cappello (1700-1763) nei suoi dispacci n. 45 e n. 48, del 27 e 31 maggio 1741, riferì che in udienza la Regina si professò «amica, sinceramente amica» del Senato e «soggiunse amar sopra ogni cosa la verità». Fu tra i più importanti diplomatici veneti, a Vienna dal 1739 al 1743, vedi P. Preto, voce Cappello Pietro Andrea, DBI, 18 (1975).
358
Id.; nel suo dispaccio n. 69, 28 luglio 1741, Cappello riferì la risposta della regina: «Ruinati li mantovani. La Fossetta quasi senz’acqua perdute le risare», ritenendo false le informazioni sulla siccità «per la gran caduta d’acqua nelle risaie veronesi», mentre Cappello provò a insinuare che forse erano proprio i mantovani a disperdere nelle irrigazioni l’acqua che mancava alla Fossetta. Però, quando riferì all’imperatrice che in loco c’era il solo Avesani, «Come, m’interruppe la regina, l’Azzalini non è partito? Purtroppo l’imperatore è stato mal servito da suoi ministri atti più a perder gli amici ne’ piccioli affari che a sostener le ragioni e l’interesse de’ grandi». L’ambasciatore non ottenne la revoca del ricorso a vie di fatto, ma la regina inviò ordini perché immediatamente il mantovano Azzalini si unisse agli ingegneri veneti.
359
Id., il capitanio Barzizza al Senato, 31 luglio 1741. Allegata al dispaccio anche la relazione del sergente maggiore di battaglia Domenico Stratico, Isola della Scala, 4 agosto 1741. Con la cavalleria del presidio veronese, Stratico si era accampato a Roncanova per tagliare agli esteri la strada di Pontemolino. Dovevano poi giungere da Vicenza «una compagnia di corazze» comandata dal conte Orsato, i dragoni da Rovigo e i croati da Bergamo «perché sia posto argine con l’aiuto dei paesani ad eventuali disegni che avessero i mantovani d’introdursi nello Stato veneto».
360
Id., il Valmaglini arrivò a Verona il 9 agosto 1741; era «un ingegnere ben inteso alla Corte e persona di buon carattere». Vedi la citata lettera del capitanio Barzizza. Le truppe furono ritirate dal confine il 26 agosto 1741.
361
«l’accrescimento dunque delle nostre risare si è fatto ben con altre acque che con quelle del Tartaro e con spese più che private si sono formate e sostenute le seriole per lunghissimo tratto di paese, intersecando bensì Tartaro e Piganzo taluna di esse, ma senza punto prender acqua da detti fiumi»362. Era stato notevole l’investimento di capitali veronesi e veneziani e ora non potevano i mantovani sfruttarlo a loro vantaggio. Ma il punto era sempre lo stesso, ribadito fino alla noia: senza precipitazioni, l’acqua era poca. Lo provavano le misure prese dal pubblico rappresentante. Si eseguivano gli sgarbi delle erbe palustri; in certi periodi, si chiudevano le bocche delle seriole veronesi, si aprivano «i vasi morti dei mulini» e la chiavica di Vaccaldo nei giorni festivi, ma era tutto inutile, «senza le pioggie, mai il Tartaro sarà sufficiente ad adacquare tutte le nuove risaie ostigliesi»363.
Finalmente eseguito il sopralluogo congiunto fra gli ingegneri dei due Stati, Zendrini poté relazionare con maggior precisione364. Innanzitutto rese omaggio ai suoi colleghi esteri, sia al Valmaglini, «soggetto intendente e discreto», sia, con sorpresa, allo stesso Azzalini, dimostratosi di «ben altra tempra» rispetto a quand’era penetrato nello Stato veneto guidando le truppe austriache. L’incartamento è corposo, come si può immaginare, essendo praticamente la prima ispezione congiunta di veneti e imperiali che in barca, in carrozza o a cavallo, avevano percorso tutti i rami del sistema Tartaro. Durante la perlustrazione in territorio mantovano, la commissione propose una soluzione al problema della penuria d’acqua. Con una chiavica si poteva estrarla dal Mincio e condurla in Tartaro attraverso un canale detto la Molinella. Azzalini confidò al vecchio matematico veneto il suo piano, pregandolo di mantenere l’assoluto riserbo, altrimenti si sarebbe attirato l’odio degli ostigliesi «che vogliono l’acqua solo dal Tartaro»; egli sostenne la possibilità di prenderla da un fiumicello sopra il villaggio di Pozzolo che s’immetteva con scarsa utilità nei laghi mantovani per aumentare le difese di quel castello.
Mentre gli ingegneri visitavano la parte veronese, Zendrini si preoccupò soprattutto di dimostrare che alcune risaie venete non prendevano affatto acqua dal sistema Tartaro. Durante la stazione a Villafranca al termine della visita, il matematico veneto si disse fiducioso. Azzalini gli confidò più volte che finalmente aveva capito cos’era il Tartaro. E Valmaglini «in atto della maggior confidenza meco si è espresso in Villafranca prima che ci lasciassimo che ogni suo studio avrebbe posto perché fosse del tutto levato ai mantovani il maneggio dell’affare» e gli assicurò che appena giunto a
362
Un esempio di ciò è ancor oggi ben visibile presso il mulino della Giarella, a Isola della Scala, alla congiunzione del Tartaro con il Piganzo, dove si vede bene la roggia Triffona passare, appunto, sotto il Piganzo (indicatomi da B. Chiappa il 15 luglio 2011). Chiappa sta per pubblicare un bel saggio dal titolo La risicoltura veronese (XVI-XIX sec.) che ringrazio per avermene permesso la consultazione.
363
Come prova che i veronesi eseguivano i lavori di sgarbatura e aprivano i vasi morti, Zendrini allegò alla sua lunga relazione tredici fedi giurate di masseri, consiglieri di comunità e parroci.Vigasio, 7 agosto 1741. Ad es., il curato Gio. Batta Longo giurò che «dalle milizie venete è sempre stato ordinato che tutti i mulini a me soggetti cioè nuovo e vecchio vadano a vaso morto tutte le domeniche e feste».
364
Vienna avrebbe conferito con l’ambasciatore Cappello «e seco di tutto intesosi per l’ultimazione dell’affare».
Le confidenze degli esperti esteri suscitarono interesse in Senato e Zendrini fu incaricato di spiegare meglio i loro progetti. Egli trovava di più semplice realizzazione quello Valmaglini, ossia, prendere acqua direttamente dal Mincio, e sperava che una volta irrigate le loro risaie, i mantovani «siano per scordarsi e della soglia e della navigazione della Fossetta»365. Pareva proprio vicina finalmente la soluzione dell’affare, tanto che Zendrini fu inviato a Vienna ad assistere l’ambasciatore Cappello durante le trattative366. Tuttavia sorsero altre difficoltà, emersero sospetti verso i veneti che furono tra l’altro accusati di voler perdere tempo aspettando la prossima stagione delle irrigazioni e Zendrini, vista l’inoperosità, ebbe l’ordine di lasciare la capitale asburgica nel maggio del 1742367. Alla fine dell’anno, di nuovo lo s’incaricò di esprimere propri pareri su come risolvere la spinosa questione del Tartaro. Produsse tre scritture e nella prima riassunse l’andamento dei suoi appuntamenti di Vienna dove spiegò i motivi per cui quel maneggio era «abortito»368. Nella seconda scrittura, indicò nel ripristino di un’antica seriola un modo efficace per incrementare la portata del sistema Tartaro, ma «perché la quotidiana esperienza fa vedere e toccar con mano che molte volte nella materia sempre difficile delle acque non sempre gli effetti corrispondono a quanto da’ periti si va abenchè con fondamento di buone e valide ragioni divisando», ritenne di dare qualche parere anche sul progetto Azzalini. L’idea di prendere acqua dal Parcarello, «picciolo ma abbondante e inesausto» fiumicello del Mantovano, poteva funzionare purché si regolassero quelle acque «col buon uso delle chiaviche del Po di Ostiglia e Serravalle, di modo che in caso di escrescenze d’acque dovessero rimmettersi nei laghi di Mantova», senza pericolo per il Polesine369.
Nella terza sintetizzò in tredici punti le proposte dei mantovani Azzalini e Valmaglini e in nove le sue, e insistette ancora nell’andar cauti prima d’immettere acque nel Tartaro prese dal Mincio370. E sarebbe stata questa l’ultima relazione del matematico Zendrini sul Tartaro371.
365
Id., n. 33, relazione Zendrini, 20 dicembre 1741.
366
I dispacci dell’ambasciatore Cappello in ASV, Senato. Dispacci Germania, fz. 240. Quelli di Alessandro Zeno, suo successore, id., fz. 241.
367
Tutto il carteggio in copia dell’ambasciatore Capello dal 31 marzo al 20 maggio, con cui spiega l’andamento dell’affare in ASV, PSBI, b. 857, vol. I; a c. 89, l’ordine di rientro dello Zendrini comunicato a Venezia con dispaccio n. 210 del 20 maggio 1742.
368
ASV, b. 857, vol. I., cc. 218r-221v, scrittura di Zendrini, 28 novembre 1742.
369
Id., cc. 223r-227v, scrittura di Zendrini, 6 dicembre 1742. 370
Id., cc. 228r-232v, scrittura di Zendrini, 1° gennaio 1743 (1742 m. v.); alla nuova richiesta, pur esprimendo difficoltà
a trattare ancora di questa materia, Zendrini, rispose con altra scrittura, 12 marzo 1743 (id., cc. 296-302) in cui spiegava che a suo avviso anche il progetto Valmaglini poteva ottenere lo scopo.
371
In Pregadi, 20 maggio 1747. «Data la morte avvenuta del pubblico professore Zendrini, la di cui molta virtù ed esperienza si è resa con onore del nome suo tanto proficua alle varie frequenti occorrenze de pubblici affari», il Senato incaricò i Beni Inculti di rivolgersi all’ing. Avesani per il prosieguo dell’affare. ASV, b. 857, vol. II.
Nel 1747, gli succedette nel compito d’informare il Senato nelle questioni del Tartaro l’ingegner Avesani. Dopo aver studiato tutti gli incartamenti che si fece inviare da Venezia, e forte della sua lunga esperienza come sovrintendente al Tartaro, giunse alle stesse conclusioni del suo illustre predecessore. Unico modo per por fine agli scontri tra utenti veronesi e mantovani «è dare tanta acqua al Tartaro». Tramontato per i costi troppo elevati il progetto Azzalini, rimaneva quello di Valmaglini volto anche ad aumentare la navigazione nella Fossetta di Ostiglia; ma se dovesse fallire anche questo, «altro non resta che la pioggia»372.