VI. LE «VISITE» AL TARTARO E AI SUOI AFFLUENTI (1771-1795)
12. La visita del 1794, abusi nel Veronese.
A Governolo, gli esteri, finalmente, avevano terminato la nuova chiavica sul Fissero, eretta al posto di quella distrutta dall’alluvione del Mincio dell’ottobre del 1792; doveva evitare che una nuova piena del fiume, appunto, attraverso il Fissero, si riversasse nel lago di Derotta e da qui nel sistema Tartaro, allagando le risaie inferiori e le campagne circostanti. Lo svolgimento di quei lavori aveva destato una qualche preoccupazione a Venezia e per si ordinò al capitano Avesani di recarsi sul posto, in incognito. Ebbene, gli riuscì d’appurare come, stante la natura del suolo, costruendo quel manufatto, gli esteri avessero abbandonato qualsiasi velleità di navigazione692. Grazie alla sua abilità, Iganzio Avesani, promosso tenente colonnello, stava svolgendo un ruolo sempre più importante nella politica veneta dei confini. Nel luglio del 1794, raggiunse la commissione mista a Pozzolo per incominciare l’annuale perlustrazione del sistema Tartaro, dove, dopo due anni di assenza, incontrò di nuovo l’abate Mari693.
Le istanze del patrizio Stefano Valmarana694 sollevarono il caso più spinoso che la Commissione dovette affrontare. Infatti, la risaia di Calcinaro di quel nobile utente non riceveva più gli scoli che gli spettavano695 da quella superiore di San Gabriele dei patrizi Zenobio696. Non utilizzando acque del Tartaro, la risaia Zenobio non fu mai visitata e lo fu in quest’occasione per la prima volta697. Ebbene, l’ispezione riservò delle sorprese perché si scoprì che quelle acque di scolo, anziché essere
Vienna. Per conoscenza copia del tutto fu trasmessa anche al Savio Cassier «per la natura del soldo impiegato». Come si vede, un profluvio di documenti che occupano buona parte delle filze della serie Corti del Senato dell’ultimo periodo della Serenissima.
692
ASV, PSCC, b. 60, relazione datata Verona, 27 aprile 1794, cui è allegata la mappa n. 60/4.
693
Id., Giornale della visita, di punti 119 con cinque allegati, e relazione congiunta, 5 agosto 1794, dove non si evidenziarono particolari criticità. Il motivo principale per cui l’abate Mari si unì alla visita fu quello di verificare lo stato delle operazioni nella corte di Susano. Ebbene, dopo la visita dei luoghi giudicò più utile al buon regolamento delle irrigazioni rettificare un piccolo tronco dell’alveo dell’acqua Allegrezza, a cui non erano contrari i proprietari confinanti, la stessa Arciduchessa e il conte Dal Pozzo. Giornale, punto n. 91.
694
Stefano Ludovico Valmarana di Benedetto q. Triffone e di Cecilia Priuli, era nato il 12 agosto 1748; i suoi fratelli erano Triffone, Antonio, Marino Melchiorre e Leonardo. ASV, Avogaria di Comun, nascite libro d’oro, fasc. XV, n. 375.
695
ASV, PSCC, b. 60, Giornale, punto n. 57.
696
Dovrebbe trattarsi di Alvise Maria Zenobio, di Giovanni Carlo e Cecilia Emo, nato il 19 agosto 1757, ASV,
Avogaria di Comun, nascite libro d’oro, fasc. XV, n. 380. Caduta la Repubblica, fu esule in Inghilterra e, considerato
refrattario subì il sequestro di parte dei suoi beni (Zalin, L’economia veronese cit., p. 260). Lo stabile di San Gabriele di campi 1.437 (ettari 431) fu venduto nel 1805 a Bortolo Giuliari, assieme ad altre proprietà, per 75.000 ducati, vedi B. Chiappa, I beni degli Zenobi fra Seicento e Settecento, in Chiappa, Isola della Scala cit., p. 224.
697
Si tratta della corte Zenobio (o Zenobi) di San Gabriele d’Isola della Scala con campi 240 (ettari 72) a risaia, dove, nel 1706, Carlo Zenobio aveva trasferito anche la sua pila da riso continuando a usare acque «colaticcie» dei tenimenti superiori di cui era stata investita la sua famiglia nel 1659. Dunque non erano acque del sistema Tartaro e per questo quella corte non fu inserita nei trattati, ma esse alla fine di un lungo percorso, scolavano in Tartaro. Sulla corte e sulla villa, costruita forse nel 1717, vedi A. Silvestroni e B. Chiappa, Corte Zenobi a San Gabriele, in Chiappa, Isola della
incanalate verso Calcinaro e, quindi, verso gli alvei del sistema Tartaro, andavano altrove698. Nella sua relazione riservata, il conte Pompei si produsse in una lunga e faticosa disquisizione per sostenere le ragioni di casa Zenobio, cosa che mai aveva fatto in precedenza e che doveva essere legata a giochi di parentele all’interno della nobiltà veronese da cui gli Zenobio provenivano699. Fatto sta che per la prima volta i Provveditori veneziani dissentirono dalle sue proposizioni.
Durante l’ispezione della risaia Zenobio, furono notati alcuni difetti nei fossi di cinta che favorivano la fuga d’acqua700. Tuttavia, il fatto più grave era «generato dalle arbitrarie irrigazioni fatte con le colaticcie», che provocò una disputa fra gli ingegneri e il matematico Mari. Per i primi, dovevano «quelle risare essere sul momento proscritte», perché contrarie ai trattati per i quali basta «la sola presunzione per condannare l’illegittimo utente». L’abate invece si espresse in termini dubitativi, ambiguità che «fu sufficiente a determinare i visitatori a soprassedere dal sospendere le tre risaie abusive e a commettere agli ingegneri solo alcune interinali operazioni»701. Stavolta, l’ecletticità dell’ex gesuita era servita al conte Pompei per prendere tempo.
Ora, per i Provveditori veneziani era intollerabile che si «potessero distraere le proprie acque dagli usi assertiti nei trattati in usi estranei ed abusivi». Poi, se si desse corso a un arbitrio da parte veneta era facile immaginare il profluvio di pretese che avrebbero avanzato i mantovani. Infine, ebbero parole insolitamente dure verso il provveditore Pompei, al quale, andavano «richiamate alla di lui memoria le chiare espressioni» del trattato di Ostiglia702. Perciò suggerirono al Senato di accogliere le istanze dei patrizi Valmarana e impedire le irrigazioni di quelle risaie abusive, almeno fino a quando casa Zenobio non avesse dimostrato la liceità del suo operare703.
698
ASV, PSCC, b. 60., Giornale, punto n. 113 e allegati B, C e D; quegli scoli andavano a irrigare una risaia della chiesa della Gabbia, una contrada d’Isola della Scala dove sorge l’oratorio di San Francesco che dipendeva però dalla parrocchia di Salizzole; un’altra risaia era delle monache di Sant’Antonio di Verona, detentrici fin dal 1653 di campi 210 (ettari 63) a San Gabriele; e poi un piccolo appezzamento della casa nobile Sambonifacio che alla Gabbia, sempre nel 1653, aveva denunciato la proprietà di campi 200 (ettari 60). Vedi Chiappa, Isola della Scala cit., p. 252 e pp. 211- 212.
699
Id., relazione riservata, 30 agosto 1794. Fu Pietro Zenobio a essere ascritto al patriziato veneto nel Seicento. Nella sola, Isola della Scala denunciò nel 1653 campi 980 (ettari 294) per una rendita di ducati 800. Nel 1682, Carlo Zenobio denunciò proprietà impressionanti in tutto il Veronese e fu l’ultimo nato a Verona, poi i suoi figli nasceranno e vivranno a Venezia, nel palazzo sul rio dei Carmini, vedi Chiappa, Isola della Scala cit., p. 224.
700
Id., scrittura Zen-Pesaro, 26 marzo 1795. Gli ingegneri, Avesani, Cristofoli e Guardini trovarono che «una porzione delle acque andava dispersa in altri canali» data la mancanza di fossi di cinta e di roste che la separassero da quelle che invece defluivano nel fiume Tregnone, motivo per cui quelle acque non erano restituite alle risaie di Calcinaro e quindi al sistema Tartaro. Indicarono dei rimedi che l’agente della risaia Zenobio si dichiarò pronto ad eseguire.
701
Id., all. D e all. E. Si trattava delle opere che dovevano impedire la dispersione d’acqua.
702
Il riferimento di Zen e Pesaro è all’articolo XXV del Trattato di Ostiglia e agli articoli XV e XXIII dell’editto comune: «Non dovrà alcuno usurpare le acque altrui ed usurpandole si procederà sommariamente alla indennizazione della parte e alle pene infrascritte, dichiarandosi che per condannare sarà sufficiente la presunzione che nasce contro il proprietario che ne fa uso, quando non provi concludentemente che non vi sia intervenuta veruna colpa».
703
Significativa una lettera del Provveditore ai confini del Tirolo, il conte Francesco Giusti, del 27 settembre 1794 sulla vertenza fra le due famiglie patrizie Zenobio e Valmarana, generata «dalle tenebre seminate dall’abate Mari». Si ripromise di spiegare tutto disegni alla mano. ASV, PSCC, b. 60.
L’altra questione riguardava il canale Busatello. Al sostegno, il livello dell’acqua fu ritrovato «straordinariamente» alto e, per sicurezza, gli ingegneri ne consigliarono lo scavo le cui spese, per loro, andavano ripartite fra le due Camere fiscali, come si faceva per il tratto inferiore del Tartaro. Anche qui era sorto l’anno prima il dubbio se i beneficiati dovessero contribuire alle spese ma quel corso d’acqua, lo si è detto, era termine di Stato704.
Conclusa la visita, gli ingegneri veneti raggiunsero la Borghesana per verificare se qualcuno traesse un utile dai cavamenti del basso Tartaro, per farlo contribuire alle spese705. Ebbene, l’unico beneficiato era il conte Zanardi, proprietario delle risaie sotto Pontemolino, mentre erano relativi i vantaggi per le risaie dei padri olivetani di Roncanova, per lo stabile di Gazzo Veronese dei conti Giusti, per quello di Pradelle dei conti Montanari e per le tenute di San Pietro in Valle dell’abazia di San Zeno. Del resto, questi utenti già contribuivano alle «quinquennali escavazioni del Tartaro e del Tione» e non pareva equo costringerli ad un ulteriore aggravio706. Tuttavia, trattandosi di «un punto economico», il Senato decidesse al meglio, mentre, ancora una volta, si registrò «la felicità delle irrigazioni», assicurata dall’ottimo lavoro dell’ingegner Avesani.