VI. LE «VISITE» AL TARTARO E AI SUOI AFFLUENTI (1771-1795)
11. Le Ultime visite della Commissione austro veneta (1793-1795).
Val al pena seguire passo passo la perlustrazione del 1793, per rendersi conto del grado di precisione raggiunto dalle ispezioni. Dunque, la Commissione si portò giovedì, 11 luglio, alla «ravara» di Pozzolo. Lo stato dell’edificio era in buon essere, solo, non si riuscì ancora a restaurare la platea inferiore del manufatto perché l’anno prima il Mincio non era mai stato in magra649.
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Ibidem. Qui, varie copie del proclama a stampa 15 giugno 1793 del podestà Almorò Pisani 3° con il regolamento in ventinove punti, approvato con parte20 aprile 1793; il Senato la spuntò perché si ribadì che i guardiani «dipendano onninamente dagli ingegneri sì per la loro elezione che per la loro dimissione».
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Id., il fondo doveva essere uguale da una bocca all’altra e profondo un piede (m. 0,35) sotto la soglia del mulino più vicino. Gli ingegneri avrebbero calcolato quelle misure con la pertica così da assicurare la precisione degli scavi.
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Id., l’appaltatore doveva eseguire i lavori entro quindici giorni, assumendo gli operai necessari; andavano rimossi «tutti i cespugli e le erbe delle rive e i rami delle siepi laterali» e gli «ingombri accidentali di rami o di smottamento di rive». Egli aveva la responsabilità della buona esecuzione degli sgarbi che altrimenti si sarebbero perfezionati a sue spese. Gli era fatto divieto di subappaltare a terzi.
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ASV, Senato. Corti, fz. 466, Giornale, punti n.1-3 di complessivi 166, allegato alla parte 6 marzo 1794. L’altezza dell’acqua era di once 3 (m. 0,084) sopra la lastra.
S’ispezionarono poi tutte le bocche lungo il tronco della Fossa di Pozzolo fino al ponte della strada postale di Roverbella, e fu trovato ben tenuto e mondato dalle erbe650.
Il giorno dopo, la commissione riprese le sue fatiche da quel ponte, ispezionando le bocche di questo tratto della Fossa, compresa quella di Santa Lucia che tanto aveva preoccupato negli anni passati e che ora si trovava ben provvista d’acqua, come le altre, del resto. Poi in battello si iniziò a risalire la Molinella, dove si vide otturata una «fugarola» denunciata nella visita precedente. Giunti al mulino di Castiglione, si trovò bisognoso di restauro lo «stramazzo» e anche il «begone» Guerrieri andava riparato dalle corrosioni nei muri che facevano sponda alla Molinella. Più avanti, erano ferme le ruote del mulino di Canedolo mentre macinavano i palmenti dei Due Castelli, dove fu misurata anche la soglia dell’acqua sui chiaviconi651.
Come voleva la nuova prassi, già dal secondo giorno, la Commissione si portò a Isola della Scala. Infatti, il giorno 13, si perlustrò quel tronco del Tartaro dove si ritrovarono «eseguiti a dovere gli scavamenti» e «in corso d’attualità» gli sgarbi. Era questo uno dei nodi più intricati del sistema, poiché qui confluivano anche gli altri rami e affluenti del Tartaro. La Commissione trovò libero lo sbocco del Tartarello d’Isolalta, mentre il Piganzo non riusciva a scaricare perché un deflusso del Tartaro ostacolava lo scorrere delle sue acque. Gli ingegneri ritennero che ciò fosse imputabile ai mulini che, attesa la magra, avevano chiuso i sostegni per «ingorgare»; infatti, all’arrivo della Commissione, il mugnaio della Giarella aveva da poco iniziato a far girare una sola ruota, mentre era fermo quello della Chiesa «per ingorgar l’acqua necessaria alla macinatura». Si trovarono in buono stato i «bocchelli» delle seriole Valmarana e Pellegrina e così pure la tromba della Triffona. Giravano a dovere le due ruote del mulino Palasio con i gargami restaurati. Le fontane dei Bottari652 erano state liberate dagli interramenti causati dalle recenti piogge e la tromba che permetteva a quelle acque di sotto passare il Piganzo era stata debitamente ricostruita in «cotto e calcina con lastre di vivo»653.
Altra novità rispetto alle prime visite, ora la Commissione rispettava il riposo festivo e la domenica trascorse per la cura delle anime a Isola della Scala, da dove si partì per riprendere la visita il giorno 15, dalle fontane del lago di Vaccaldo che si ritrovarono ben ripulite. Era ferma la pila da riso, la sola, assieme alla Borghesana, che poteva lavorare anche durante la stagione delle
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Id., Giornale, punti n. 3-10. La sera dell’11, la commissione fece stazione a Mantova. Come al solito, si compilò la tab. A con l’altezza dell’acqua alla soglia delle bocche.
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L’acqua era alta once 3 (cm. 0,84), Id., vedi Giornale, punti n. 11-22. Al mulino di Castiglione l’acqua era once 2 (cm. 0,56) sotto lo stramazzo, quello di Canedolo once 4,5 (cm. 0,13) sopra, quello di Due Castelli a livello. La sera fecero stazione a Isola della Scala.
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I Bottari erano cittadini veronesi, un Ippolito Bottari fu registrato dal catasto del 1740 in contrà Doltra nelle
pertinenze d’Isola della Scala come detentore di un’azienda di campi 80 (ettari 24) a coltura promiscua. Vedi Chiappa,
Isola della Scala cit., p. 241. 653
ASV, Senato. Corti, fz. 466, Giornale, punti n. 23-29. Il pelo dell’acqua sfiorava il ciglio dello stramazzo del mulino Giarella, mentre negli altri due mulini era sotto di mezza oncia (cm. 0,14). Il ponte sul condotto Triffona dei Valmarana era stato restaurato.
irrigazioni. S’ispezionarono anche le fontane delle Graicelle e, con soddisfazione, si ritrovarono ben tenute. Poi, si tornò al corso principale del Tartaro, superando i mulini di Vigasio e le bocche che prendevano acqua in questo tronco d’alveo. A conferma della cura meticolosa con cui agivano, fu notato che in una «risvolta» del fiume, tra Vigasio e Isola, dirimpetto alle proprietà Giona654, le passate piene avevano prodotto una «prominenza», da eliminare, e trasportato in mezzo all’alveo «un tronco d’albero» da togliere immediatamente a cura dei guardiani655. Era stato restaurato il ponte scaligero della Torre d’Isola, che l’anno prima aveva un arco minacciante rovina; e fu costruita la «mazzacanata» sotto il ponte degli Emilei656, per arginare il «dirupo» provocato dagli animali che si portavano all’abbeveraggio. Erano in buono stato i chiaviconi del conte Schioppo657. Tutto questo tratto del Tartaro si andava «sgarbando». Sulla riva sinistra si estendeva la valle Grimani che aveva chiesto di scolare più facilmente nel fiume658.
Il giorno 16, la Commissione percorse le rive del Piganzo dov’era cadente il sostegno Padovani659 a cui andava rimesso il gargame sinistro. Le bocche erano in ordine, mentre si trovò un inconveniente nel canale del mulino di Settimo. Il tratto inferiore al ponte era tutto ingombrato dalle erbe palustri e andava «espurgato». Poi, una fenditura andava riparata sul pilone del ponte della Zera, vicino alla casa dei conti Campagna. Presso le sorgenti, ben tenute, nel prato Campagna era franata una riva che andava rimessa in sesto «a tutta altezza del piano del prato»; favorendo lo scarico, un «trombotto» avrebbe impedito «simili dirupi». Videro poi «lodevole» lo stato del Tartarello d’Isola della Scala, dalle fontane bene espurgate, fino allo sbocco in Tartaro; in buon
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Le risaie dei Giona si estendevano in sito San Bernardino dove si può vedre il superstite edificio della pila dei Giona, vedi Brugnoli-Chiappa, op. cit., pp. 157-158. Ancor oggi una fossa è denominata «Giona».
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ASV, Senato. Corti, fz. 466, Giornale, punti n. 30-36; all’altezza del mulino nuovo di Vigasio l’acqua era al ciglio dello stramazzo, all’altezza di quello vecchio l’acqua superava il ciglio di un’oncia (cm. 0,28).
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Il ponte è visibile in una mappa della Biblioteca Capitolare di Verona del 1753 di Adriano Cristofli edita da Chiappa, Isola della Scala cit., p. 247. Gli Emilei acquistarono il complesso nel 1711 e, agli inizi dell’Ottocento, affidarono al noto architetto Luigi Trezza il rifacimento della loro casa dominicale, rimasto incompiuto, vedi id., scheda Silvestroni, cit., pp. 245-248. Nel 1740, il conte Massimiliano Emilei aveva denunciato la proprietà di una casa
dominicale e campi 185 (circa ettari 56) di cui 120 «risarivi» nei siti Bastia e Campagna di Erbé, id., p. 241.
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I chiaviconi sono ben descritti nella citata mappa di Adriano Cristofoli del 1753 e davano acqua alla Fossetta. Furono voluti dal nobile Giuseppe Schioppo che, nel 1740, aveva denunciato in sito Torre Scaligera, la propria dimora
dominicale, un mulino, una pila di riso e 150 campi (ettari 45) di cui 120 a risaia, id., pp. 241 e 247. Corte Schioppo è ancor oggi una risiera attiva proprio in via della Torre d’Isola della Scala.
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ASV, Senato. Corti, fz. 466, Giornale, punti n. 37-4. Fu consegnato alla Commissione il progetto degli ingegneri Guardini, Cristofoli e Avesani . Nella mappa è tracciato il nuovo scolo Grimani; si notano i condotti Negrina e Baldona, la valle del patrizio Grimani, la valle detta Val Tonda da bonificarsi, i luoghi dove si dovevano erigere i due nuovi sostegni, la Grimanella. Questa grande tenuta confinava con le risaie dei conti Emilei e Schioppo. Il disegno del 23 maggio 1793 in ASV, PSCC, n. 59/6. Nel 1740, Leonardo Grimani aveva dichiarato di possedere campi 242 (ettari 73) e tre case nel sito Valli di Pellegrina, Chiappa, Isola della Scala cit., p. 242.
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Nel 1740, il nobile Gian Matteo Padovani aveva dichiarato in località Pila Padovana d’Isola della Scala, appunto, la pila da riso e 125 campi (circa ettari 37) di cui 50 «risarivi», id., p. 241. Tuttavia l’estimo veronese del 1745 gliene assegnava 170 (ettari 51) di cui 45 a risaia, ulteriore conferma della scarsa attendibilità del catasto veneto del 1740. Secondo A. Sandrini, Corte Padovani, in Isola della Scala cit., pp. 129-132 e p. 241 la corte Padovani è l’unica giunta sino a noi d’impianto ancora quattrocentesco.
ordine erano sia la «navetta» che permetteva al canale dei Pindemonte di attraversare quel piccolo alveo, sia il sostegno660.
«Lunga e faticosa» fu la giornata del 18 luglio, in cui si svolsero le ispezioni al Tartarello d’Isolalta, al tronco del Tartaro dalle sorgenti a Vigasio, al tronco del Tione compreso fra le sorgenti e Trevenzuolo e, finalmente, ai due Tioncelli. L’importanza delle misure da prendere e la necessità «di combinar i risultati tutti delle emerse osservazioni», costrinse la Commissione a rinviare al dì successivo parte del sopralluogo. Infatti, diede subito da fare il fosso dei beni Sparivieri661 che separava gli alvei del Tartaro da quelli del Tartarello d’Isolalta. Il proprietario, per nettarlo, tolse il dosso che fungeva da spartitore, causando un indebito mescolamento di quelle acque. Si ordinò di dividerle con una rosta di almeno pertiche 3 (m. 6,12) da costruirsi a spese di quell’utente. Non destavano preoccupazione invece il mulino Guerrieri662 sul Tartarello e quello di Brugnolo sul Tartaro; e neppure le fontane. Solo la bocca oraria festiva Pellegrini, regolarmente chiusa a chiave, aveva bisogno di una nuova «usciara» e del conseguente cambio di serratura. Poco oltre, tre intestature laterali del fiume Tartaro non evitavano del tutto la dispersione dell’acqua e perciò s’incaricarono i guardiani di sollecitare il proprietario, tale Meneghini, a porvi rimedio663. Avevano prolungato i tempi della visita anche le istanze presentate da due nobili utenti. Nella sua tenuta mantovana di Bigarello, «mercé grandiose spese di cavamenti, di otturamenti di fossi e altri simili lavori», il conte Girolamo Murari dalla Corte era riuscito a bonificare una sua valle e destinarla a risaia a vicenda. La questione ancora una volta riguardava le complesse tecniche colturali della nuova destinazione agraria. Infatti avrebbe potuto coltivarla «a risara ogni due anni», unitamente ad altri suoi terreni «sempre stati arativi», ma la tenuta non era «da quella parte» sufficientemente ampia per irrigare «in terzo tutta quella quantità a lui spettante», di circa biolche 146 (ettari 45 circa), come prescrivevano «le buone regole di agricoltura»664. L’altra fu presentata dai conti Giuliari che chiesero di costruire un ponte canale sopra il Piganzo665.
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ASV, Senato. Corti cit., fz. 466, Giornale, punti n. 42-53. Il mulino di Settimo aveva l’acqua once 3 (cm. 0,84) sotto lo stramazzo. Quello di Zera once 5 (cm. 1,2) sotto lo stramazzo.
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Questa famiglia deteneva beni a Vigasio fin dal 1563, quando era di Paolo Sparivieri un edificio rappresentato in una mappa edita in Brugnoli-Chiappa, op. cit., pp. 163-164.
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Il conte Vincenzo Guerrieri aveva acquistato il mulino nel 1678. A Isolalta avevano la loro casa padronale inserita in un’azienda agricola di almeno 180 campi (ettari 54) intestati nel 1745 a Carlo Guerrieri che nel 1762 entrò nel
Consiglio dei nobili di Verona. L’edificio sorgeva vicino a una fontana, vedi la scheda di G. Conforti, Villa e beni
Guerrieri a Isolata in Brugnoli-Chiappa, op. cit., pp. 191-194. 663
ASV, Senato. Corti cit., fz. 466, Giornale, punti n. 54-63. Il pelo dell’acqua al mulino Guerrieri era once sei (cm. 1,44) sotto il ciglio dello stramazzo ed era sotto, di once 3 (cm. 0,84), anche al mulino di Brugnolo.
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Id., Giornale, punto n. 64 e all. B. In pratica il conte Murari alla Corte chiedeva «il trasporto d’acqua che estrae dalla sua bocca in Molinella sopra altri terreni posti sulla dritta di detto alveo nominati Breda e Zecchina». Pensava di farlo con un ponte canale presso il mulino di Bigarello, acque che avrebbe poi con un altro condotto restituito in Molinella presso Susano.
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Id., all. C; si trattava dei fratelli Eriprando e Federico Giuliari e la tenuta era condotta da Bartolomio Giuliari figlio e nipote dei medesimi, Isola della Scala, 18 luglio 1793.
Dunque, il giorno successivo, il 20 luglio, l’ispezione riprese dalle fontane del Tione, ben tenute, ma era «tenue l’acqua che tramandavano, il che deve attribuirsi alla soverchia siccità della stagione». La Commissione transitò per il pontile dei due mulini del marchese Canossa, che erano inattivi, forse, per la poca corrente, come del resto quello di Nogarole, dove, però, fu ordinato al mugnaio di «aprire il vaso per dar corso all’acqua». Più sotto, girava una ruota del mulino di Bagnolo, ma in quel tratto del fiume non era stato eseguito lo «sgarbamento», trascuratezza insopportabile, dato lo stato di magra del fiume e perciò, in assenza dell’appaltatore, si diede ordine al Comune di Bagnolo di provvedere immediatamente alla rimozione delle erbe666. Sotto il mulino, si scoprì che l’acqua del Tione era deviata indebitamente verso un fosso che si dipartiva dalla sua sponda sinistra. Convocato l’affittuale dei campi che attraversava, gli si ordinò di terrapienarlo. La giornata continuò con la visita del mulino di Trevenzuolo e delle varie prese d’irrigazione sul Tione, il cui tronco inferiore si stava ripulendo dall’erba palustre; mondati a dovere si rinvennero pure i due Tioncelli667.
Sabato 20 luglio, la Commissione continuò il suo itinerario lungo il Tione, dove si giudicarono bisognose di restauro le chiaviche di Fagnano. Al mulino di Erbè, che macinava con un palmento, si riscontrò eseguito il restauro del ponte in cotto e calcina ordinato l’anno prima. Da entrambi i lati, rimanevano tuttavia ancora aperte due «boccare per il beveraggio degli animali». Una andava senz’altro otturata e l’altra doveva essere munita di una «mazzacanata» per evitare gli interrimenti provocati dal calpestio. Fino al mulino Grimani di Pontepossero, dove girava una ruota, la Commissione rimarcò il mancato taglio delle erbe palustri e ne ordinò il compimento «ex officio a comodo e incommodo dell’appaltatore», mentre nel resto del Tione gli «sgarbi» erano in attualità. Prima della pausa festiva, i visitatori ricevettero i guardiani sia veneti che imperiali, i quali riferirono sull’esecuzione di alcuni degli ordini rilasciati nei giorni precedenti, soprattutto quelli relativi al restauro delle intestature e ai mancati sgarbamenti668.
Dopo il riposo domenicale, il giorno 22, la Commissione ripartì dalla stazione d’Isola della Scala scendendo il Tartaro verso Nogara, dove trovò in ottimo stato la pila e ben chiusa a chiave la chiavica Pellegrini. Il ponte del mulino con due ruote battenti era stato rifatto in cotto e calcina, quello sopra la fontana, prima in graticci, ora era ricostruito in legno. Le bocche erano
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Il comune di Bagnolo era stato reinvestito nel 1790 di una porzione di beni comunali che si era scoperto essere stati usurpati dai confinanti. Nella mappa del 1784 si vede bene il corso del Tione e la confluenza con il Tioncello che lambiva questi appezzamenti in sito al Palù, le case coloniche dei Lanfranchi e il mulino del patrizio Duodo, vedi la scheda di S. Barbacetto, La privatizzazione dei beni comunali di Bagnolo, in Chiappa-Varanini, op. cit., pp. 152-155.
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ASV, Senato. Corti cit., fz. 466, Giornale, punti n. 65-78. Al mulino Canossa di sopra l’acqua era al livello del ciglio dello stramazzo, nell’altro detto «di sotto» il pelo dell’acqua era once 9 (cm. 2,52) più basso. A quello di Nogarole invece once 1,5 (cm. 0,42) più alto. Al mulino di Bagnolo l’acqua era once 5 (cm. 1,2) sotto il ciglio dello stramazzo, a Trevenzuolo era sotto di once 9 (cm. 2,52).
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Id., Giornale, punti n. 79-86. Il mulino di Erbé aveva l’acqua once 15 (cm. 4,2) sotto il ciglio dello stramazzo, quello di Pontepossero era a livello.
bastantemente fornite d’acqua e gli agenti dei Valmarana avevano «lodevolmente» espurgato gli scoli di quelle risaie. I mulini di Calcinaro e Nogara lavoravano entrambi con due ruote disposte sulla stessa corsia. L’alveo del Tartaro e quello del suo vecchio alveo, chiamato il Tartarello degli Erbazzoni, erano stati perfettamente «sgarbati», mentre non si era fatta la mondatura nel tratto superiore del fiume, fra il mulino della Giarella e quello della Pellegrina, perché un’improvvisa «abbondanza d’acque» aveva rotto una rosta e sommerso le rive da smacchiare. In serata, la Commissione si trasferì a Villimpenta per la sua terza stazione669.
Martedì 23 luglio, i «visitatori» raggiunsero di nuovo le rive del Tartaro per riprenderne l’ispezione, da Nogara fino a Gazzo, tronco che fu «scavato debitamente». Fu trovato regolarmente chiuso a chiave il sostegno Montanari, a Pradelle, poco sotto, però, l’alveo del canale era ingombro d’erbe e interrito, per cui si commise all’agente del conte Alessandro di farlo curare, «onde le acque che sfuggono dal sostegno si restituiscano più speditamente in Tartaro sotto il molino di Gazzo». Tutte in regola erano le altre prese d’acqua e ben mondato il corso dell’Osone e curate come si deve le sue fontane. Quel giorno, un altro nobile utente presentò la propria istanza. Il conte Uguccione Giusti possedeva una valle a Gazzo compresa fra la riva destra del Tartaro e il vecchio alveo del fiume. Per farla scolare, chiese licenza di scavare un fosso però troppo vicino all’alveo principale, da cui distava solo pertiche 8 (circa m. 16)670.
Il giorno 24, la Commissione ritornò sulle sponde del Tione. Si perlustrarono il mulino di Moratica, il sostegno di Belgioioso, le bocche dei conti Cipolla e quella degli Emilei e i sostegni lungo l’Essere di Castellaro, trovati tutti chiusi regolarmente a chiave. Questo corso d’acqua era stato però sgarbato solo a metà e si ordinò a uno degli agenti di completare l’opera. Interrito era anche lo scolo della risaia di Belgioioso e anch’esso andava restituito alla sua piena funzionalità. L’ispezione continuò fino al mulino di Villimpenta poco sotto il quale furono rinvenute due «fugarole» che si ordinò di chiudere671.
La sera a Villimpenta, ospiti nel palazzo dei conti Emilei, il provveditore veronese propose al collega di risolvere la questione delle chiavi dei sostegni Giusti e «Cevola», rimasta in sospeso perché una copia fu affidata al governatore di Castellaro e l’altra, il Senato aveva disposto fosse affidata a un ufficiale di pari rango di parte veneta. Non essendovene di vicini, il conte propose di consegnare le copie ai deputati ai confini del comune di Moratica, «persone che sostengono un carattere pubblico e che per la loro vicinanza possono essere pronte all’occorrenza dell’apertura di
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Id., Giornale, punti n. 87-96. Il mulino della Pellegrina aveva l’acqua once 2 (cm. 0,56) sopra il ciglio dello stramazzo; quello di Calcinaro once 2,5 (cm. 0,7); quello di Nogara una (cm. 0,28).
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Id., Giornale, punti n. 97-102 e all. D. Il mulino di Gazzo era inoperoso e aveva aperta «l’usciara del vaso morto» da cui scaricava per un’altezza di once 3 (cm. 0, 84). Uno schizzo del nuovo condotto Giusti, id., disegno n. 7.
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Id., Giornale, punti n. 103-111. Il mulino di Moratica aveva l’acqua che lambiva lo stramazzo e lavorava con una ruota. Anche quello di Villimpenta aveva un palmento girante e «stramazzava l’acqua dal sostegno in altezza di mezz’oncia» (cm. 0,14).
quel sostegno»672. Infatti lì passava anche il confine di Stato che lasciava Moratica, Bonferraro e la Corte di Belgioso sul versante veronese.
La mattina seguente la Commissione perlustrò un altro tratto della Molinella, passando in visione le bocche di Susano e Bigarello. Sotto il mulino, era indebolita l’intestatura del fosso che comunicava con la Molinella e, temendo dispersioni, si ordinò all’agente del conte Murari della