VI. LE «VISITE» AL TARTARO E AI SUOI AFFLUENTI (1771-1795)
7. Dal Sopraintendete ai due Provveditori alla Camera dei confini e la visita del 1786.
Dopo la morte di Andrea Tron, nel 1786, il Senato soppresse la carica di Sopraintendente e riesumò la magistratura cinquecentesca dei due Provveditori ai confini. Questo mutamento, dovuto a ragioni politiche, lasciava inalterata la struttura dell’Ufficio e quella delle Camere dei confini delle province. Solo, al posto di un Savio in carica per tre anni si elessero due senatori che ogni anno si sarebbero ruotati alternandosi di sei mesi in sei mesi. La fazione senatoria più retriva ai cambiamenti aveva vinto569.
La riforma provocò ritardi nel disbrigo delle pratiche correnti che infastidirono non poco il barone Wilczeck570. Mentre si trovava a Mantova, ebbe a dire al consigliere Cauzzi che «i signori veneti» non si erano degnati «di formare risposta al menzionato promemoria»571. In realtà era avvenuto un mutamento istituzionale anche a Mantova. Terminati i lavori del catasto teresiano, nel 1785, durante i cui lavori i dirigenti mantovani avevano dato una prova ben poco edificante delle loro capacità politiche e persino della loro correttezza, Giuseppe II decise di riorganizzare i domini lombardi, sopprimendo le differenze ancora esistenti e prive ormai di ogni giustificazione fra il Milanese e il ducato di Mantova. A capo della nuova provincia fu chiamato un riformatore, il conte D’Arco che, proprio per i suoi principi e la sua formazione intellettuale, poteva evidentemente meritare la fiducia dell’imperatore572.
Finalmente, i nuovi Provveditori presentarono in Collegio i loro «sentimenti» per rispondere al Governo di Milano573 e per un eccesso di scrupolo lo fecero con una lunghissima scrittura, e, per fortuna degli astanti, tralasciarono di riferire sugli argomenti in cui la Commissione si era ritrovata
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ASV, Senato. Corti, fz. 414, parte del 5 febbraio 1785 (1784 m. v.), anche in ASV, PSCC, b. 57.
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Si trattava di un anacronistico ritorno ai vecchi provveditori cinquecenteschi. Dietro forse vi erano le manovre di Francesco Pesaro, ultimo sopraintendente che esercitò tale carica per poche settimane. Vedi Pitteri, Per una
confinazione cit., pp. 60-61. 570
Infatti, ritardava la risposta veneziana al suo memoriale sulla visita del 1784. Complice forse il cambiamento avvenuto all’interno della Camera dei confini veneziana, non si fece la visita del 1785.
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Riferisce del colloquio con il collega il conte Pompei con lettera 9 agosto, allegata alla parte 12 agosto 1786, in ASV, Senato. Corti, fz. 425. Ebbe anche notizia che il consigliere Cauzzi sarebbe stato destinato ad altro incarico. Si dispiacque perché «non è facile di rinvenire altro soggetto che congiunga alle cognizioni tanta rettitudine d’ottime intenzioni» e che non vedeva in Mantova chi potesse sostituirlo.
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Il conte D’Arco (1739-1791) aveva sposato una Canossa e perciò era in contatto con ambienti culturali veronesi; nel 1770 aveva pubblicato un saggio importante sull’economia mantovana, la cui agricoltura era frenata dalla grande proprietà latifondista. Poi era favorevole al libero commercio dei grani. Fu nominato governatore nel 1785, rimarrà in carica fino al 1791 quando un decreto di Leopoldo II, contrario Wilczeck, restituì l’autonomia al ducato a poche settimane dalla sua morte. Vedi C. Vivanti , voce D’Arco Giovanni Battista, DBI, 3 (1961).
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concorde. I tre punti che meritavano l’attenzione del Senato erano però ancora i soliti574: le irrigazioni della corte di Susano, poi, gli «asseriti pregiudizi» alle quattro «bocche irrigatorie mantovane»575 e, infine, gli abusi sulla Fossetta di Ostiglia. Su quest’ultimo punto si dilungarono particolarmente i due Provveditori per rivendicare i diritti veneti, ripercorrendo tutto l’affare fin dalle convenzioni cinquecentesche con i vecchi duchi. E suggerirono di approvare il piano mantovano d’immissione di nuove acque in quel canale navigabile solo se si ristabiliva il diritto veneto a ispezionarlo.
Nel 1785, fu sventato un altro tentativo di espandere la superficie risicola operato ancora dalle monache virgiliane di Sant’Orsola e ciò spiegherebbe la reiterata insistenza del loro agente per ottenere più acqua. Infine, sussistevano ancora risaie abusive nel Castellarese. Non erano accettabili le giustificazioni del commissario austriaco che accusava pendenze col principe vescovo di Trento. Quel feudo era incluso nei trattati di cui si fece garante l’imperatrice sovrana di Mantova e perciò l’alto prelato non aveva alcuna voce in capitolo, perché tutto doveva passare «per la sola intelligenza» dei Principi. Quindi, «cessi alla fine uno scandalo che non ha durato che troppo tempo»576.
Il 1786 fu un’annata piovosa; se la piena impedì di completare l’escavazione dei canali, nessun problema creò alle irrigazioni e ciò spiegava la reciproca soddisfazione dei visitatori espressa nella relazione congiunta577. Oltre alle carte della visita, il pubblico rappresentate di Verona inviò al Senato quattro allegati relativi ad altrettanti «affari separati» e che costituirono la parte più spinosa di quella missione578.
Nella sua relazione, il conte d’Illasi rimarcò l’andamento delle stagioni «continue piovose». Manifestò preoccupazione per la reiterata richiesta degli esteri d’introdurre «novità nei trattati, che potrebbero riuscire di grave pericolo», per sopperire alla scarsità d’acqua lamentata ora da sei bocche579; ottenne tuttavia che prima di qualsiasi intervento, si eseguisse una nuova rilevazione lungo quei canali per appurare le vere ragioni della magra nelle seriole. In realtà, la complicata
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Ibidem. Un quarto punto fu risolto dal memoriale del 13 luglio che ammetteva essere abusiva la risaia che si è appurato appartenere al conte Donesmondi, un nuovo entrato nella sistema Tartaro.
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Ibidem. Erano le bocche di ser Luca Angiolini degli Strozzi e delle monache di Sant'Orsola sulla Molinella, e della Pioppa dei marchesi Cavriani sul lago di Derotta; lamentele anche sulla seriola detta Cardinala sulle quali però nulla aveva evidenziato la visita del 1784, fatta con particolare attenzione.
576
Ibidem.
577
«La conveniente regolarità osservata dagli interessati nei dettagli parziali e rispettivi del sistema e l’annata
favorevole per la copia delle acque hanno prevenuta ogni usurpazione ed ogni reclamo». Così la relazione congiunta del 31 agosto 1786, in ASV, PSCC, b. 57, fasc. 1. Oltre al giornale suddiviso in novantadue punti in allegato anche la tabella A che continuava a misurare «lo stato dell’acqua sulle soglie delle bocche», riassunto in appendice.
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ASV, Senato. Corti, fz. 425, lettera del podestà Alvise Mocenigo 2°, 12 gennaio 1787 (1786 m. v.); l’all. B riguardava la Fossetta di Ostiglia, l’all. C lo stato dello stabile di Susano, l’all. D le pretese del conte Giusti sulla Merolongola e l’all. E chiedeva una nuova regolazione delle bocche mantovane, Pioppa, Basse, Sant’Orsola, Strozzi, Angelini e Santa Lucia.
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misurazione del battente, tediosissima ma necessaria, confermò un dato di fatto, ossia, la posizione più elevata delle bocche estere e perciò si rivelò ancora una volta utilissimo l’articolo XI del supplemento del Trattato, ossia, il divieto di pretendere più acqua di quella assegnata dalle convenzioni580. Insomma, il marchese Cavriani doveva rassegnarsi. E così gli altri cinque utenti. Le loro risaie erano coltivate in luoghi alti.
L’altro serio argomento affrontato dalla Commissione riguardava il progetto d’irrigare la risaia detta del Boschetto, strettamente legato alla rimozione dell’ormai nota rosta abusiva sulla Fossetta di Ostiglia. Il problema era sempre lo stesso, le campagne mantovane erano più alte e dunque più difficili da raggiungere dalle acque del sistema Tartaro senza interventi artificiali. E difatti gli ingegneri trovarono la presa di questa risaia più alta di once 24 (m. 0,67) rispetto alla soglia581. Non era il caso di obiettare che le convenzioni cinquecentesche vietavano d’immettere acque mantovane nel Tartaro temendo alluvioni, poiché il progetto le prevedeva «al solo tempo delle irrigazioni», dopo di che, dovendo azionare la pila del Boschetto, quelle acque verrebbero avviate verso la «loro chiavica in Po». Così, il conte Pompei consigliò di approvare il piano e, finalmente, dopo anni di reiterate proteste, la Commissione poté ispezionare ufficialmente la Fossetta di Ostiglia.
Se una questione pareva risolta, invece, non si riusciva ancora a impedire la coltivazione delle risaie abusive nel feudo di Castellaro582, nonostante la buona disposizione del commissario Cauzzi. A proposito del quale, si seppe che il governo di Milano intendeva destinarlo ad altro incarico, con disappunto del provveditore veronese, «perché quello era un degno ministro».
L’estensione della risicoltura era la causa principale delle tensioni ai confini della bassa pianura veronese. Sempre nel 1786, fuori del tempo della visita, fu stilata una nota delle risaie mantovane che scolavano le loro acque in Tartaro all’altezza del bastione di San Michele. Così emerse tra i proprietari un nuovo capitalista mantovano, l’ex fermiere di origine bergamasca, il ricchissimo conte Antonio Greppi583. Aveva acquistato la risaia dei patrizi Valier a Mezzagatta, ampia circa
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Id., infatti, l’ispezione degli ingeneri appurò che mai la bocca Cavriani della Pioppa ebbe meno acqua di quella assegnata dal Trattato e che il rigurgito antistante, che le sottraeva corrente, era naturale, da non addebitarsi a
irregolarità. Del resto, anche gli utenti dei siti alti dovevano accontentarsi «della regolare misura d’acqua che si pratica per tutte le altre risare posta nei siti piani e così avere le loro bocche capaci di un quadretto d’acqua ogni 80 campi».
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Id., vedi all. B, progetto per sussidiare la bocca del Boschetto, Ostiglia 18 agosto 1786. Il progetto fu verificato dagli ingegneri della commissione che produssero il disegno n. 57/3 firmato Mari, Ferrarini e Avesani. Si proposero una serie di sostegni per convogliare le acque di scolo di biolche 400 (ettari 124) capaci di irrigarne altre 200; di queste 100 andrebbero alla risaia del Boschetto e le altre 100 in Tartaro e nella Fossetta che in tutto corrisponderebbero a quadretti 1 e ¾ capaci d’irrigare campi 150 veronesi (ettari 45). La spesa preventivata era di lire mantovane 132.000.
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Id., l’affare delle piccole risaie del parroco Gonzato e dei padri domenicani in Giornale punto n. 45. Gli ingegneri ebbero l’incarico di verificare l’origine di quelle acque per stabilirne la distanza dai canali del sistema Tartaro.
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Antonio Greppi (1722-1799), fu uno dei protagonisti della stagione delle riforme. Tra i più ricchi e colti (amico di Pietro Verri e Giuseppe Parini) della Milano asburgica, aveva ricevuto nel 1750 l'appalto della Ferma generale dello Stato di Milano che, nel 1757 gli fu rinnovato per altri sei anni e ancora nel 1764, fino al 1770 quando, tornati i dazi alla conduzione regia, assieme agli altri fermieri fu gratificato con un sostanzioso indennizzo e la promessa di future ricompense. Con i proventi della ferma aveva acquistato numerose proprietà terriere fra cui la corte di Ostiglia. Finora era poco conosciuta la sua vocazione risicola. Vedi E. Puccinelli, voce Greppi Antonio, DBI, 59 (2003).
campi 714 (ettari 214), e da tale Diomede Avigni anche la limitrofa risaia di campi 80 (ettari 24), detta del Boschetto, proprio quella al centro del contenzioso tra la Repubblica e il governo di Milano. E così si spiega il perché di tanta ostinata difesa di una rosta abusiva584.
Prima della visita del 1787, per non dare ai mantovani motivi di protesta, l’ingegnere Cristofoli effettuò una ricognizione della parte Veronese del sistema Tartaro. Ebbene anche nel Veneto qualcuno tentò d’irrigare abusivamente qualche piccola risaia; una era situata lungo il Tione, adacquata dagli agenti del conte Emilei, mentre i Pindemonte avevano indebitamente aumentato la superficie di una già di loro proprietà.
Dopo l’ispezione, la massa di carte giunta a Venezia fu notevole. Dopo un attento esame, si approvò l’operato della Commissione, ma, nel contempo si rimarcò «quanto sono industriosi gli esteri e tal volta ancora qualche suddito, per sottrarsi all'adempimento de' trattati o per disordinarli in loro profitto», costringendoli alla massima vigilanza, perché fossero rispettate quelle regole che «devono rimettere e mantenere tranquillamente ogni cosa sul piano»585. Perciò, per quanto lodevole fosse la relazione degli ingegneri relativa allo stato delle sei bocche mantovane, sedicenti penuriose, essa non spiegava se le stesse fossero o no conformi ai trattati. Dunque, per il Senato, occorreva che un ingegnere lo verificasse e si auspicò che altrettanto si decidesse di fare a Milano; quindi si ribadì l’innegabile diritto veneto a ispezionare la Fossetta586.