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Le visite di Marcantonio Miniscalchi con il commissario Saint-Laurent (1777-1779)

VI. LE «VISITE» AL TARTARO E AI SUOI AFFLUENTI (1771-1795)

4. Le visite di Marcantonio Miniscalchi con il commissario Saint-Laurent (1777-1779)

La visita del 1777 vide il conte Marcantonio Miniscalchi prendere il posto del padre Luigi, da poco defunto, nella delicata funzione di provveditore al Tartaro. L’esperienza e l’onestà del commissario Saint-Laurent supplirono all’inesperienza del provveditore veronese, che nella sua

provveditore ai confini del Tirolo, era proprietario di risaie a Pomellone, conflitto d’interessi che avrebbe dovuto impedirgli di partecipare a quei lavori, ma si trattava di un’emergenza.

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ASV, PSCC, b. 280, cc. 76-83, scrittura Giustinian, 23 gennaio 1777 (1776 m. v.), anche in Senato. Corti, fz. 368, allegato alla parte 13 febbraio. La duchessa voleva ridurre a risaia la possessione Longhirola, ma si temeva che queste acque sarebbero state prese dalla Demorta, sottraendole così alla Molinella e dunque al sistema Tartaro. Accogliendo i suggerimenti del Sopraintendente, il Senato accordò la prima richiesta ma respinse la seconda, a meno che non si provasse l’uso di acque diverse da quelle comprese nel Trattato.

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ASV, Senato. Corti, fz. 368, Giornale, alla data 10 settembre 1776. A Castellaro l’abate Verna, agente dell’arciduchessa, presentò il nuovo progetto che però, in teoria, contravveniva all’art. XI del supplemento.

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Id., Giornale, alla data 11 settembre 1774. Il giorno 12, perlustrati l’Essere di Susano e un tratto della Molinella fu scoperto un tal Pivato irrigare una risaia di 3 o 4 biolche (circa un ettaro) senza alcun titolo. E ritrovata una nuova risaia di biolche 5 (un ettaro e mezzo) di tal Rampini, irrigata anch’essa senza titolo.

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relazione riservata ammise la sua trepidazione al momento della partenza: «ma lo studio anticipato della materia e l’abbondanza delle passate acque mi ha reso felice l’esito della visita»503. Ancora una volta fu sottolineata l’importanza del fattore ambientale. Sia il sopraintendente Giustinian e, di conseguenza, anche il Senato, si dissero soddisfatti della «diligenza e abilità del nuovo provveditore ai confini» che ebbe il merito di attenersi «al semplice confronto dell’esistenza delle cose»504. In base a tale principio, la Commissione respinse istanze inopportune volte a modificare l’esistente al solito fine di ampliare la superficie irrigua al di là del possibile.

Nel Mantovano, finalmente, si aprì a regie spese il «begone o sia botte sotto il Fissero che serve ad alcune risare spettante una volta ai gesuiti ed ora dopo la estinzione della Società» al ritroso principe Taxis.

Il Castellarese continuava a dare noia. La duchessa di Massa aveva ridotto a risaia la Longhirola senza la concordata presenza degli ingegneri veneti. Il governo di Milano si dichiarò incompetente, essendo il sito giurisdizione del vescovo principe di Trento: «Non potendo in questa situazione arrivare gli ordini da Milano, se non in forma di ricercata che ne indebolisce di molto il vigore, accade, come la sperienza dimostra che i privati colà si fanno meno riguardo di contravvenire al convenuto che in tutto il restante del Mantovano». Questa era la ragione di quelle risaie abusive che non si riusciva a eliminare. Anzi, aumentavano di superficie. Lo dimostrava la piccola risaia scoperta l’anno prima, ora ampia biolche 40 (ettari 12,4)505. Essendo Vienna garante del Trattato, non restava che richiedere a quella Corte di eliminare «lo scandalo» delle due risaie abusive506.

Nel 1778, ci furono altri avvicendamenti nella delegazione veneta: il vecchio ingegnere Leonardo Barrai fu sostituito dal giovane figlio Francesco507; e il cancelliere Marastoni, utilizzato in questo gravoso compito perché già stipendiato, fu lasciato a casa e al suo posto fu richiamato il cancelliere Ludovico Painelli. In affari così delicati non si poteva risparmiare sugli stipendi dei sottoposti. Anche la visita del 1778 dette esiti sostanzialmente positivi. La relazione congiunta espresse «soddisfazione perché in mezzo a tanta siccità di quest’anno hanno riconosciuto in quei diversi

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ASV, Senato. Corti, fz. 372, relazione del conte Miniscalchi allegata alla parte 3 ottobre 1778. Nella relazione congiunta, i visitatori considerarono lodevole sia lo stato delle irrigazioni, sia il lavoro sull’argine della risaia Ravignani, fatto a spese dell’utente.

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Id., ducale al capitanio di Verona e scrittura Giustinian, 13 settembre 1777, anche in ASV, PSCC, b. 280, cc. 77-82.

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ASV, Senato. Corti, fz. 372, Giornale, alla data 24 agosto 1777.

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Id., scrittura Giustinian cit.; così il promemoria che il residente dovrà consegnare a Firmian: deve cessare «l’abusiva irrigazione delle due piccole risare che quantunque proibite nella visita precedente si sono in quest’anno ritrovate esistenti e s’innaffiano con acque rapite agli usi legittimi; e parimenti nella coltivazione a risara della possessione detta la Longhirola si adempiano sotto i rispettivi ingegneri le condizioni che nel 1776 furono dai visitatori riconosciute impreteribili per conservare illesi i trattati».

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Con ducali 2 maggio 1778, il vecchio Leonardo Barrai fu sostituito dal figlio Francesco, che Tron definì un «giovane d'ottima aspettazione». Francesco era cresciuto seguendo il padre nelle varie missioni. Morì prematuramente nel 1780.

luoghi tal abbondanza d’acqua da sperarne la sufficienza alle rispettive irrigazioni». E finalmente erano state dismesse le due «risarine» abusive nel Castellarese508.

Nella relazione riservata, il conte Miniscalchi si diffuse sul progetto della nuova risaia Longhirola nella corte di Susano509; e poi indicò le principali infrazioni rilevate nel Veronese che gli era riuscito di omettere dalla relazione ufficiale. Dunque, in territorio veneto, aveva rilevato «l’abuso degli animali che abbandonati al pascolo da loro custodi guadano le fontane e alvei tutti» causando rilasci terrosi dalle sponde e dagli argini. Quindi, occorreva emendare l’arbitrio usato soprattutto dai pescatori di tagliare le intestature dei fossi diversivi, l’uso di pascolare «gli animali porcini sopra le rive ed argini i quali ruminando li debilitano», la negligenza «di quelli che non levano dagli alvei gli alberi» sradicati o piegati dal vento, «il costume quasi preso di porre la canapa a macerarsi fra gli alvei pubblici del Tartaro e suoi influenti» con l’ingombro causata dalla «terra che si copre la canape», disordini che veramente «abbisognano di provvedimento»510.

A differenza del padre, che mai aveva chiesto rimborsi alla Repubblica, oltre alla diaria di ducati 10 giornalieri, il conte Miniscalchi supplicò «la Sovrana Clemenza di un qualche soccorso», pari almeno a quello con cui il suo collega veniva reintegrato di tutte le spese effettive sostenute durante la missione. Tron, nella sua scrittura, lodò la «prudenza, desterità e cognizione» del conte, ma trovò sconveniente aumentarne il compenso. Suggerì perciò di ripagarlo del suo innegabile maggior aggravio, essendo annuale la visita del Tartaro, con «qualche atto di pubblica munificenza nell’occasione che potrebbe forse succedere di appoggiarsegli qualche straordinaria commissione» e ciò per non dar adito agli altri Provveditori ai confini delle province «di far simili ricerche»511.

La visita del 1779 non si fece nei tempi soliti delle irrigazioni a causa della salute malferma del conte di Saint-Laurent e perciò la Commissione si riunì solo in ottobre con scarsa efficacia. Infatti, impedirono le osservazioni più minute «la stagione troppo avanzata, l’irrigazione già nel suo finire», poi le piogge autunnali, «il gonfiamento de’ canali e impraticabilità in certe situazioni delle strade di terra».

Tuttavia, la piena offriva ai loro occhi uno spettacolo ambientale del tutto diverso. Mentre, d’estate, a causa delle irrigazioni, «si vede ne’ canali principali dal principio al fine scemarsi il corso delle acque a misura che si distribuiscono agli utenti», ora, invece, grazie alla piena, «si ha

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ASV, Senato. Corti, fz. 376, relazione congiunta, 25 agosto 1778, allegata alla parte 29 novembre.

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Id., Giornale, alla data 24 agosto 1778. Quel giorno la commissione incontrò Alfonso Pavesi amministratore generale della corte di Susano, l’agente abate Verna e gli affittuari che lamentavano difficoltà nell’arginare la Demorta. Si aggiunse alla superficie della risaia una parte di campagna già coltivata e piantata con mori.

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Id., all. D, relazione Miniscalchi, 10 settembre 1778. Tra gli allegati anche tre disegni firmati da Cristofoli e Ferrarini, relativi all’Essere di Susano, alla Molinella e alla risaia dell’arciduchessa a Longhirola.

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Id., scrittura Tron, 19 novembre 1778, anche in ASV, PSCC, b. 281. Fu forse dopo queste recriminazioni che, a volte, si liquidò ai provveditori al Tartaro un numero di giornate superiore a quelle effettive. Vedi tabella in appendice.

luogo di ammirare, quasi che nel corpo animale, la diramazione dai tronchi principali de’ vasi che portano dovunque l’irrigazione, si estende la vita e la fecondità ai nostri raccolti». La piena rendeva visibili tutti questi piccoli alvei, altrimenti asciutti, e la restituzione delle acque «ai canali principali» li arricchiva «de’ nuovi mezzi ond’esser utili con animar gli edifici e con servire alla navigazione». Pur essendo l’acqua della Fossa di Pozzolo alla Ravara sul Mincio «4 once e mezzo [m. 0,126] sotto il marmo», tutte le bocche «erano coperte o quasi coperte di acqua e al Busatello questa si ritrovava once 12,5 (m. 0,35) più alta del livello marcatovi». La Commissione ebbe uno slancio quasi preromantico descrivendo il sistema idrico del Tartaro in piena efficienza: «L’acqua correva liberamente e con qualche velocità: i nostri battelli mai furono nel caso di radere il fondo dei canali, come altre volte ci accadeva in alcuni luoghi: andavamo per il lago di Derotta e per il Cavo comune come nella navigazione dei fiumi grandi. Vedevamo la ricchezza dell’acque riunita per felicitare il sistema d’irrigazione immaginato dalla benignità de’ trattati. Ed è stato uno spettacolo giovevole alla maggior cognizione di tutto quello che aspetta al sistema medesimo»512. La visita ebbe inizio come al solito a Pozzolo il 29 settembre, ma a causa del maltempo non poté seguire il solito percorso. Il 4 e il 5 ottobre, la «pioggia dirotta» costrinse la commissione a stazionare ad Ostiglia dove si limitò all’ispezione del solo Naviglio. Navigando per quella Fossetta, la Commissione rinvenne ancora esistente la rosta «nella medesima situazione dell’anno passato inserviente alla risara del Boschetto». Quel manufatto aveva suscitato le proteste all’impresario della navigazione, ostacolata indebitamente da un sostegno che tratteneva ben once 36 veronesi (un metro circa) d’acqua. Occorreva investire del caso il Magistrato camerale di Mantova perché prendesse i provvedimenti opportuni e verificasse i diritti dei titolari della risaia del Boschetto, che tuttavia non era inclusa nel Trattato. Insomma, quello che l’anno prima era parso uno dei tanti abusi mantovani facilmente rimovibili, stava assumendo un aspetto più grave, data la recidività testarda dei conduttori della risaia513.

L’altro spettacolo inusuale, data la stagione, era offerto dalla macinazione a pieno regime dei mulini da grano e dall’agire delle ruote delle pile da riso, cosa impossibile da vedersi durante le irrigazioni quando tutta l’acqua era deviata nelle condotte degli irrigui514.

Il capitanio di Verona non ritenne ancora allarmante l’affare della rosta sulla Fossetta. Nella lettera con cui accompagnò l’incartamento della visita scrisse che quelli riscontrati «sono

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ASV, Senato. Corti, fz. 381, relazione congiunta, 14 ottobre, allegata alla parte 22 gennaio 1780 (1779 m .v.).

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Id., all. alla parte suddetta. La navigazione della Fossetta di Ostiglia era stata appaltata dal Magistrato camerale di Mantova al veneziano Bartolomeo Pomè (ulteriore esempio di promiscuità di genti ai confini) che aveva ormai completato l’argine destro per l’attiraglio delle barche e che aveva «cavato» il canale a tutte sue spese. Supplicò la Commissione perché venissero impartiti gli ordini necessari per togliere «tutti gli ostacoli o roste in detta Fossa».

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inconvenienti di necessità non di malizia, inseparabili dalla natura de’ luoghi paludosi e dal pregiudizio che fa l’urto continuo delle acque »515.

Nella sua relazione riservata, quasi a voler rimarcare la lentezza con cui il principe Taxis aveva completato il suo begone sotto il Fissero, per condurre l’acqua alla risaia del Chiavichetto alla Torriana, il conte Miniscalchi encomiò l’opera del conte Schioppo che «con molto dispendio e vera munificenza» aveva costruito gli «scaricatori del Tartaro volgarmente detti chiaviconi»; aveva restaurato i gargani, «risarciti fin dal fondamento i muri, rinnovate interamente le usciare che s’aprono colle vide e tutto chiuso in un forte ed opportuno casello di muro coperto di lastre di marmo»516.

Poi, il provveditore veronese tornò sull’argomento dell’indebita rosta sulla Fossetta; ne aveva tenuto un «amichevole» discorso con il commissario austriaco per carpirne qualche lume. Ne ricavò un ragionamento sulla condotta del riso fra Veronese e Mantovano e sulla libertà di commercio. Infatti, Saint-Laurent gli confidò che se fosse stato interpellato dal suo Governo, avrebbe suggerito d’inviare «il riso nostro» a Legnago «per la stessa strada finora praticata senza aggravio di pagamento alcuno, ma colla sola notificazione della quantità del genere tradotto», segno che il riso mantovano subiva un dazio d’uscita per scoraggiarne l’esito verso i mercati veneti. Poi, «riflesse ancora che i veneti avrebbero ragione di riscuotere i loro dazi sopra tanti generi che dal Mantovano passano per il Tione, tutto veronese, in quella situazione a Villimpenta, con libertà e senza aggravio alcuno, quando i mantovani persistessero nella loro opinione di riscuotere alla Fossetta il suddetto dazio». Disse ancora che queste piccole cose erano contrarie al buon regolamento delle finanze e nocive al libero commercio e che finalmente i mantovani avevano «troppo bisogno delle pille veronesi pel loro riso, non potendo le loro supplir bastantemente». Insomma, la rosta sulla Fossetta non era stata fatta solo per dare acqua a una risaia ma anche per meglio sottoporre le merci al pagamento del dazio d’uscita; tuttavia, i mantovani erano in una situazione svantaggiosa e se i veronesi avessero praticato una ritorsione, imponendo anch’essi un dazio, sarebbero stati costretti a togliere quell’aggravio. Il commissario austriaco confidò ancora di aver avuto in Ostiglia «molti discorsi per dar mano al compimento di questa mal incominciata vertenza»517.

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ASV, Senato. Corti, fz. 381, lettera del capitanio cit., 15 dicembre 1779. Scrisse tra l’altro di« aver fatto pagare dalla Pubblica Cassa al predetto Miniscalchi vista la di lui fede, alli due ingegneri e al nodaro l’importar delle giornate 39».

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Id., relazione Miniscalchi, 10 dicembre 1779. Miniscalchi fa riferimento ai beni che Giulio Schioppo a metà Seicento aveva acquisito grazie al matrimonio con una discendente dei Radice a Isola della Scala in località Torre. Al tempo della visita, la corte Schioppo si estendeva su circa 270 campi veronesi (ettari 81), vedi la scheda di A. Silvestroni,

Corte Radice-Schioppo in località Torre, in Chiappa, Isola della Scala cit., pp. 155-56. 517

ASV, Senato. Corti, fz. 381, relazione 10 dicembre cit. La lealtà con cui il commissario Saint-Laurent si rivolse a Miniscalchi confermava proprio ch’egli era «persona degna e proba». Doleva perciò riferire «ch’egli prese congedo assicurandogli che avrà l’anno prossimo un nuovo compagno di visita». Saputa la notizia, anche Tron manifestò il proprio disappunto, «che attesa la nobiltà ed onestà del suo carattere sarebbe veramente desiderabile che continuasse in tale ispezione». Suggerì di commettere al residente veneto a Milano, senza ingerirsi, di fare quel che poteva per evitare la sostituzione. Scrittura del 7 gennaio 1780 (1779 m. v.) allegata alla parte cit. e in ASV, PSCC, b. 281.

Durante la visita, due suppliche di nobili veronesi ma con proprietà nel Mantovano furono presentate alla commissione, entrambe relative a condotte prese dal Tione. Il conte Girolamo Cipolla chiese di aprire un fosso di sfogo perché il livello troppo alto dell’acqua presso il suo mulino ne ostacolava la macinazione. Per contro, il conte Emilei chiese di continuare l’irrigazione della sua risaia a Belgioioso utilizzando proprio gli scoli che i conti Cipolla volevano deviare. Insomma, un potenziale conflitto fra due importanti casate veronesi in territorio mantovano, fu risolto pacificamente a favore degli Emilei grazie agli articoli del Trattato, a maggior gloria dello stesso e di chi lo aveva fortemente voluto518.

Prendendo spunto dai lavori fatti nella corte di Susano, Tron fece un ragionamento politico di carattere più generale a salvaguardia dei trattati: «Essendo poi impossibile che in un sistema così vasto e delicato com'è quello di queste acque non emerga di tratto in tratto la necessità di qualche riparazione», necessarie erano le «visite» statutarie per porvi rimedio, facendo però attenzione perché «non si perda il reciproco diritto di ingerenza». Dunque, «nessuna novità può farsi da una parte senza cognizione dell'altra» e perciò, a Susano, non andavano sottaciute le innovazioni «operate non tanto dalla principessa proprietaria ma dai suoi agenti». E per lo stesso motivo bisognava esigere la distruzione della «rosta che fu eseguita dai padroni della risara mantovana del Boschetto» e che impediva la navigazione sulla Fossetta di Ostiglia519.

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