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Nel 1778, il provveditore Francesco Giusti pensò fosse suo dovere relazionare sugli effetti che poteva avere sul commercio la riforma dei dazi «ne’ quattro vicariati al confine del Veneto stato»138. Secondo lui, l’erezione dei «casoni per i ministri» del dazio, poteva violare i trattati e così commise massima vigilanza a tutti i veneti deputati ai confini. L’ufficio del dazio doveva essere collocato al Borghetto, in una casa «presa in condotta per cinque anni». Tuttavia, date le frequenti piene dell’Adige, gli austriaci erano incerti se tirare la catena tra le due rive «per effetto di assicurare tanto le barche quanto le zatte» per i «sicuri riscontri». I massari dei villaggi ritenevano la cosa improbabile e per loro gli esteri si sarebbero limitati ad armare con due cannoncini la casa del dazio. Poi, il piano prevedeva una casa del dazio nella valle di Avio, e un’altra in quella che porta alla Ferrara. Ed erano già state gettate le fondamenta p

Mama e Avio e nel territorio di Brentonico presso il passo della Scaletta. In Ala, la casa daziale si sarebbe fatta ai piedi della Val Fredda che portava sui Lessini.

137

Vedi il capitolario in Zalin-Curi, op. cit., p. 133 e a p. 130 la testimonianza del segretario Cagnoli.

138

Come noto, non solo nella Repubblica, ma in tutti gli Stati di antico regime i dazi rappresentavano il più importante introito fiscale, erano, per dirla con un senatore veneziano del Cinquecento, «il nervo principale del Stato nostro», vedi L. Pezzolo, L’oro dello Stato. Società, finanza e fisco nella Repubblica veneta del secondo ‘500, Venezia-Treviso, 1990. La citazione a p. 64.

Il conte Giusti non era preoccupato dalla riforma, anzi, per lui il nuovo piano austriaco avrebbe danneggiato più i quattro vicariati che i sudditi veneti. In un primo momento forse avrebbe avuto qualche intoppo «il commercio delle legne che dai vicariati passano nello Stato veneto», soprattutto quelle da fabbrica, il cui valore però era in sé così misero che l’aumento della tariffa non avrebbe influito sul prezzo finale (ma più che l’aumento la riscossione, poiché era difficile pensare che in

ndo il solo vantaggio a possessori de’ beni che di maggior prezzo

trade» e che invece con la riforma sarebbero state orvegliate dai nuovi caselli139. Dunque, fatto il bilancio dei pro e dei contro, la riforma delle tariffe

T del 1780 per i Quattro Vicariati:

Fiorini Caran

montagna si pagasse il dazio senza i caselli che fermassero le merci; e di bollette false con cui accompagnarle ce n’erano in abbondanza).

Per il provveditore Giusti, non avrebbero risentito danni neppure i viticoltori veneti. Essi, vendevano i loro prodotti sovrabbondanti ad Avio e Ala, «paesi di consumo di tale genere», e dal rincaro del dazio, avrebbero avuto qualche problema solo «in tempo di congruo raccolto», quando ne avanzava per lo smercio, e solo perché distanti da Verona, mercato naturale delle uve e dei vini di queste contrade. La riforma daziaria, più che i coltivatori veneti, avrebbe danneggiato i poveri abitanti dei vicariati «resta

sosterranno il loro prodotto». Insomma, i bevitori di Avio e Ala avrebbero dovuto pagare di più il vino sia locale che veneto.

Un altro effetto della riforma daziaria poteva essere quello di portare «qualche altra scarsezza nelli capi di proibizione per li animali bovini», mentre «ora vanno e vengono in Veneto con tutta libertà». Certo con le nuove tariffe sarebbe venuta meno la possibilità «di passare e ripassar dall’uno all’altro Stato con merci soggette a dazio, come facevano in passato», ossia, la libertà di contrabbando; ma ancora, secondo Giusti, un certo vantaggio lo avrebbero tratto anche i dazieri veneti di Ossenigo, «perché ancor essi averanno il modo di visitar le merci che non si rassegnavano al dazio perché potevan prendere altre s

s

non andava a svantaggio dei sudditi veneti.

ariffe tratte dal nuovo regolamento dei dazi

Genere tani

Butirro fresco e salato il centinaio sporco 4

Carbone per Fiorino 0. 1

Castagne ossia maroni il centinaio 1 12

Castagne ordinarie il centinaio 12

Farina di formento il centinaio 12

Farina di segala il centinaio 7.2

Farina di formentone ossia panico il centinaio 6

139

Crusca ossia semola il moggio 1

Formaggio di vacca e di pecora ordinario il centinaio 12

Formaggio di capra il centinaio 12

Formento il moggio 4

Formentone ossia sorgo turco il moggio 2

Segala il moggio 3

Formento nero il moggio 2

Orzo il moggio 2

Avena ossia biada il moggio 1.2

Panico ossia formentone nero il moggio 2

Miglio il moggio 2

Veccia il moggio 1.2

Legnarie da fabbriche cioè scandole, assi, lattole, pali, sparangole, travi 0.1 Legumi, cioè fave e fagioli ossia bacelli, piselli, lenti e ceci il moggio 3

Noci comuni il moggio 3

Olio comune e del lago di Garda il centinaio sporco 1 15

Riso il centinaio 18

Seta, gallette da vermi, franche Seta grezza in azze, franca

Seta lavorata in filatoio non tinta il centinaio 3 20

Seta lavorata in filatoio tinta in fizzoli il centinaio 22 30

Seta in manifatture ossia drappi di seta cioè raso, zigrini, damasco ecc., la 36 libbra

3

Tabacco in foglie estero il centinaio 12 30

Vini ordinari italiani l’emero 3

F

T non indicato carantani F = fi ni) D’introito Esito Carinzia Altr paesi Transito Carinzia Altri paesi onte: ASV, PSCC, b. 37

ariffa del bestiame (Se ori

Ogni capo di animale i

Bovi, tori e terzanini 6 F 1.15 F 4 12 F 4

Vacche, vitelli e vitelle 5 30 F 3 2 F 3

Pecore, castrati, becchi e capre 2 7 12 1 12

Agnelli e capretti 1 3 6 0.2 6

Porci sopra le 100 libbre 2 18 30 3 30

Porci da 36 a 100 libbre 1 13 20 2.2 20

Porchetti da 9 a 36 libbre 0.2 9 10 2 10

Porcellini da latte fino a 9 libbre 0.1 2 2 0.2 3

Cavalli ossia stalloni 30 F 2.15 F 10 10 F 1

Poledri sotto l’anno 15 F 2 F 2 5 F 1

Muli 30 F 2 F 2 10 F 1

Asini e asinelli 10 16 20 5 20

Fonte: ASV, PSCC, b. 37

Nella visita successiva, quella del 1780, il provveditore veronese s’era procurato altre informazioni relative alle nuove tariffe daziarie e così poteva meglio assicurare il podestà che il nuovo regolamento era «di sommo utile al veneto dominio e specialmente alla veronese provincia», poiché ribassava il dazio sulle merci di transito e soprattutto sulle sete lavorate e tinte. Così quelli veronesi che potevano smerciare il loro prodotto a prezzi inferiori, avrebbero avuto «frequenti e abbondanti commissioni dai mercatanti esteri». Anche la nuova tariffa per l’esportazione in Veneto di cavalli e buoi, pur maggiorata, in realtà era vantaggiosa per i sudditi della Repubblica. Infatti, essa andava «a cadere a peso de’ venditori tirolesi che abbondano di tal genere di bestiami, quando vi siano acquirenti sono contenti di ribassare il prezzo come tutt’ora si vede». In passato, era loro proibita la vendita agli esteri e, certo, commerciavano lo stesso i loro capi di bestiame, «ma correvano il rischio di essere trovati in contraffazione». Insomma, l’aumento del dazio d’uscita, secondo il conte Giusti, sarebbe stato scontato dai venditori, data l’abbondanza della loro offerta e il loro unico smercio possibile verso la provincia veronese. Si trattava di animali da macello che il

ni 80.000 «per

La repressione del contrabbando non era compito dei provveditori ai confini delle province suddite. Tuttavia, poteva darsi il caso di violazioni territoriali quando le guardie del dazio

Veneto non produceva se non in poca quantità, essendo le sue pianure soprattutto dedite alla coltivazione dei cereali, del gelso e della vite, prodotti invece di cui scarseggiavano i quattro vicariati e il Tirolo in genere.

Inoltre, Giusti pronosticava vita breve a questa riforma daziaria poiché andava a danneggiare soprattutto le fiere di Bolzano e, mentre stava scrivendo, già tutte le province tirolesi avevano presentato fervide suppliche alla Corte imperiale per il ritiro del provvedimento. Pur di ottenere l’abrogazione della riforma daziaria i sudditi esteri si dissero disposti a versare all’Erario 120.000 fiorini una tantum «per lo speso nella erezione delle case daziali» e, ogni anno, fiori

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quello che annualmente potrebbe esigere sopra il presente regolamento» . Al cambio di lire venete cinque per fiorino, e se fossero in valuta corrente, ossia lire 8 per ducato, si tratterebbe della bella somma di ducati 50.000, indicativa di quanto doveva rendere la riscossione dei dazi.

140

ASV, PSCC, b. 37. Relazione privata inviata da Giusti il 3 agosto 1780. Vedi in tabella alcune tariffe tratte dal volume Regolamento de’ dazi e tariffa di S.M.I.R.A. && per il Tirolo, tradotta in idioma italiano da un particolare per

comodo della mercatura, stampatore Francesco Marchesan, Rovereto, 1780. Chi voglia scorrere le varie voci, tra l’altro

può notare come il vino pregiato veronese fosse ancora di là da venire, poiché non compariva nella tariffa, mentre vi trovavano posto i vini francesi, della Mosella, delle Canarie, i moscati, il vino di Cipro, quelli fiorentini e il marzemino.

sconfinavano per catturare i rei e così, in via indiretta, oltre a quelle del legname e dei prodotti caseari, già ampiamente documentate, qualche utile notizia sul commercio di altri generi è possibile

, ossia carne in cambio di cereali ed è curioso che tra i cereali

risdizione, e anche in quell’occasione la faccenda fu risolta con una loro averla grazie ai protocolli e ai carteggi delle perlustrazioni ordinarie della Commissione.

Nel 1773, in maggio, sul far del giorno, sulla montagna Cerbiolo, furono fermati dalle guardie di Belluno veronese due muli carichi di riso e uno di fagioli, proprietà dei fratelli Berti di Avio. Nonostante le proteste degli esteri, che accusavano essere avvenuto il fermo in territorio imperiale, secondo l’alfiere capoposto di Ossenigo, incaricato d’indagare, il fatto era avvenuto in territorio veneto141. Si tratta di un singolo episodio, un indizio, che però corrobora la tesi di uno scambio commerciale fra Veronese e Tirolo

venissero inseriti anche i fagioli.

Le guardie del dazio non facevano sempre il proprio dovere. Ossenigo era la principale stazione daziaria veronese, nonché la porta d’ingresso nello Stato veneto. Di quelle guardie, nel 1779, si era lagnata la corte di Vienna poiché, a suo dire, senza alcun diritto, esse pretendevano da tutti gli austriaci e trentini pedoni qui transitanti un soldo a testa e a volte, nell’inseguire i contrabbandieri, non si facevano scrupolo di varcare il confine142. Era uno strascico dell’episodio del fermo dei tre muli, secondo il conte Giusti, poiché durante l’ispezione ordinaria, non aveva avuto riscontri positivi delle denunce austriache. Comunque, suggerì al capitanio di Verona di richiamare il capoposto ai propri doveri143. Fino al 1790, non si ebbe notizia di altre lamentele contro i dazieri di Ossenigo per violata giu

severa ammonizione144.

Ossenigo (oggi frazione del comune di Dolcè) era una piccola comunità, stretta fra l’Adige e le prime pendici dei Lessini. Nei campi che aveva strappato al fiume si coltivavano cereali e viti maritate al gelso; l’estimo personale era di soli 17 soldi e nello zovatico furono registrate sette paia di buoi. Dunque, quel borgo aveva pochi abitanti anche se vantava un estimo importante, lire 4.10; per i suoi salariati spendeva mediamente lire 1.122 l’anno, tra questi c’erano i due deputati ai confini, pagava lire 380 di gravezze alla Cassa del territorio, circa lire 300 di dazio macina, altre 130 di soldo d’estimo ed era indebitato con la Cassa del territorio per lire 864 poiché non aveva

141

ASV, PSCC, b. 38, visita dell’anno 1774. Le leggi venete assegnavano il prodotto sequestrato in premio alle gua che vendettero riso, fagioli e muli per zecchini 32 a un Zuanne Adami di Dolcè ma residente a Peri che li rivende la stessa som

rdie tte per ma ai fratelli Berti. Nonostante il voluminoso incartamento processuale, non si poté accertare dove fu

resunti danneggiati fratelli Berti effettuato il fermo, mancando testimoni terzi. La decisione fu di rimborsare ai p

zecchini 15.

142

Il promemoria della corte di Vienna, 6 maggio 1779, in ASV, PSCC, b. 37.

143

Id., relazione Giusti, 16 giugno 1779.

144

ASV, PSCC, b. 39, un suddito austriaco aveva lamentato la violazione del confine da parte dei dazieri, ma senza fornire altri particolari, relazione Giusti, 21 novembre 1790.

alcuna entrata a diffalco145. Queste cifre farebbero pensare a un comune povero che però spende molto per i suoi salariati, segno che buoni introiti venivano dal frequente passaggio di merci e

una sostanziale libera circolazione di persone e, in un certo senso di merci,

a ora abitante in Ala, accusato del contrabbando, ma non avevano persone assicurato da questa zona frontaliera.

Il carattere spugnoso dei confini di montagna in antico regime è ben rappresentato da altri incidenti di cui si era dovuto occupare il conte Giusti. E questi sono la spia di una mescolanza di genti e di attività, di

compreso il tabacco.

Non è questa la sede per affrontare un tema così spinoso come il contrabbando del genere di monopolio per antonomasia, ma l’episodio è curioso. L’affare iniziò con una delle tante lettere spedite dal commissario austriaco che lamentava lo sconfinamento e la prepotenza degli spadaccini veneti. Quattro sudditi esteri di Ala si stavano portando alla fiera di Podestaria, quando, prima di passare la linea di confine, depositarono le loro merci a terra ancora in territorio di giurisdizione vicariale, «ritrovandosi in quella stessa situazione una sporta senza padrone ripiena di tabacco in carte». Ora, armi alla mano, secondo gli esteri, spadaccini veneti capitanati da Andrea Gaule intimarono loro di sporgere la sporta e poiché ne caddero alcune foglie, per raccoglierle, quegli sbirri varcarono il confine146. I veneti invece sostennero di aver chiesto cortesemente agli esteri di sporgere la sporta piena di tabacco, i quali, gentilmente, acconsentirono. Avevano appena arrestato un Clemente Lesso, veronese m

potuto avere il corpo del reato.

Le informazioni raccolte dal conte Giusti aprono uno squarcio su attività svolte sui monti Lessini. Innanzitutto, Clemente Lesso q. Francesco era nativo di Chiesa Nuova. Già condannato a 18 mesi di galera nel 1768, scontata la pena, aveva ripreso domicilio a Verona, nella contrada di San Nazzaro «dove esercitava la professione di brentaro». Era dunque membro di una di quelle famiglie di Chiesa Nuova già accusate di taglio abusivo di legname nei boschi di Ala. Il 15 agosto 1781, nove giorni prima di essere catturato, era andato a Chiesa Nuova a trovare suo cugino Giambattista Lesso. Quei villici avevano l’obbligo di custodire i passi e dovevano farlo a turno. Essendo toccato al cugino di essere di pattuglia, si offrì di sostituirlo in cambio di trenta soldi. Per la festa di san Bartolomeo (24 agosto) si trasferì ad Ala (anche se lui lo negava e sosteneva invece di provenire dalla montagna delle Coe e che si era incamminato verso la parrocchiale di Podesteria per udire la

145

Cifre tratte da ASVR, Estimi, b. 589, anno 1753. Nel 1786 l’estimo reale fu stimato ducati 3.781; e da ASV, Revisori

e regolatori delle entrate pubbliche in zecca, b. 864 cit., cifre relative agli anni 1774-1780. Nel 1616, la popolazione di

Ossenigo era di sette vecchi, 37 uomini, 35 donne, 39 putti e 27 putte, citato in G.M. Varanini (a cura di), La

Valpolicella nella prima età moderna (1550c.-1630), Verona, 1987, p. 40. 146

Denuncia del capitano di Brentonico del 29 settembre 1781; lettera Giusti, 17 ottobre e informazioni da lui raccolte, in un fascicolo in ASV, PSCC, b. 37. Il fatto avvenne il 24 agosto e coinvolse Antonio Sega, Valentino Bianchi, Alessandro Francescati e Andrea Cossali, tutti di Ala. A loro dire il capitano Gaule, stando al cognome, originario di Selva di Progno, alzò lo schioppo urlando: «Fioi de buzerone, per Dio, per i conti, butè via sta sportela».

messa, prima di essere arrestato). Secondo il provveditore Giusti, si poteva presumere «che egli siasi tradotto colà [ad Ala] a prender del tabacco per introdurlo e spacciarlo nell’indicata giornata di san Bartolomeo coll’opportunità della sagra che celebravasi in quelle parti remote e montuose dello Stato veneto». Dei testimoni lo avevano visto nei prati dove si correva il palio con la sporta in spalla; accortosi degli spadaccini, ripassò il confine e posò a terra la sporta con il bastone. Infatti, addosso gli fu trovato del tabacco in foglia e, una volta avuto il corpo del reato dai quattro viandanti di Ala, furono rinvenute libbre 17,5 di tabacco riconosciuto estero con legale perizia. Nonostante

Avendo precise notizie che i rei si fossero rifugiati a alcesine, il commissario Trentinaglia ne chiese il giusto castigo e, per meglio favorirne l’arresto,

Cozza, di nascita

aro turchino ed è sempre armato.

Bortolo Berti, di bassa estrazione, d’anni 25, maritato, è nato in Malsesine, colà allogato, fa il contadino, di statura

earono cinque capi da una mandria di capre148. Se perfino i banditi potevano

l’evidente colpevolezza del Lesso, per evitare questioni, il conte Giusti propose al Capitanio di ordinarne la scarcerazione e di ammonire quegli sbirri onde evitare ulteriori sconfinamenti.

In queste montagne non mancavano i banditi. Il caso più clamoroso che coinvolse il provveditore ai confini, che di solito non si occupavano di perseguire i reati, accadde alla casa daziale di Ponale, in territorio estero, dove, nel 1788, quattro sudditi veneti irruppero nel magazzino del sale e, pistole alla mano, ne asportarono venti pesi.

M

ne inviò la descrizione al conte Giusti:

Antonio Cozza, comunemente creduto nipote del defunto appaltatore in Verona, Giambattista

veneziano, nubile di 19 al più 20anni, di nessuna professione, di statura grande e grasso, di faccia lunga e rossa, ha un poro sul viso coperto di pelo, occhi neri, capelli oscuri, porta un tab

Antonio Manotti detto Pulso, nubile d’età d’anni 22, nato in Malsesine, fa il barcaiolo, di statura grande e macilenta, faccia tonda ma pallida, mal vestito, con una fascia rossa e armato.

Francesco Berti, nato in Malsesine, d’età di 23 anni, fa il contadino, di statura mediocre, di faccia rotonda e bruna, porta calzoni di differenti colori, è armato con armi da fuoco e porta un coltello grande.

piccola e macilente, di faccia rotonda ma buona, porta un abito corto e di color turchino, armato come tutti gli altri147.

Un altro gruppo di banditi faceva capo alla «scellerata» famiglia Mazzola, sudditi veneti di Val Caprino che, nel 1792, armati di schioppi e pistole, s’introdussero in un bosco del vicariato di Brentonico e abig

andare e venire liberamente lungo la Vallagarina c’è da pensare che facessero altrettanto merci e persone comuni.

147

ASV, PSCC, b. 37, Trentinaglia a Giusti, 29 marzo 1787; Da Venezia, il 5 aprile 1787, Giusti rispose di aver trasmesso tutte le carte al podestà di Verona.

148

L’episodio fu denunciato il 31 marzo 1792 dal capitano di Brentonico, il danneggiato fu tale Francesco Simonetti che era già stato ferito dagli stessi Mazzola qualche tempo prima. ASV, PSCC, b. 40. Sul fenomeno del banditismo in montagna basti qui rinviare a G. Corazzol, Cineografo di banditi su sfondo di monti. Feltre 1634-1642, Feltre, 1997.

Le denunce che arrivavano alla Commissione austro veneta ancora una volta aprono squarci su scene di vita frontaliera. Nel 1794, un tale Francesco Giacomazzi, oriundo di Ossenigo ma dimorante ad Avio, perché «già bandito dallo Stato veneto», fu sorpreso da Valentino Pasini di Belluno veronese mentre, con un altro di Avio, gettava abusivamente reti e lenze in una peschiera veneta. Avvisatone il proprietario, la questione fu «amicabilmente sanata», ma quando il Pasini si recò ad Avio per suoi affari, fu aggredito dai pescatori tirolesi149. In quello stesso anno, benché più volte richiamato, un pastore di Mama d’Avio continuava a frequentare con il suo gregge il distretto

ato in un podere e «levata certa quantità di uva». In realtà ci fu un equivoco. I eputati di Belluno non potevano sapere che l’uva gli era stata venduta «al prezzo di troni 9 la renta» e questo «per far del vino nuovo stante la scarsezza del vecchio che abbiamo nel nostro aese» di Avio151.

di Belluno. Alla fine, seguendo le regole confinarie, furono sequestrate due pecore del gregge abusivo. Esse furono poi restituite al proprietario dietro pagamento di troni 10, spesi «in cene per la nostra parrocchia di Bellun»150.

Infine, fra i molti che si verificarono in quel tratto di confine presso l’Adige, un ultimo episodio è utile segnalarlo perché conferma lo smercio di uva e vino che i veronesi facevano verso i quattro vicariati . Il deputato ai confini di Belluno, quel Rainer Pasini che già conosciamo, accusò uno di Avio di essere entr

d b p

149

ASV, PSCC, b. 40. Tre di Avio capitanati dal Giacomuzzi, al grido «ora è tempo di fargliela pagare a questi di Bellun» sfoderarono i coltelli contro il Pasini che si salvò fuggendo nel bosco. Poi, denunciò i rei ad Avio.

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