IV. UN CONFINE IN PIANURA TRA MINCIO E TIONE
1. Il confine del Basso veronese.
La strada di Campara collegava il confine di montagna del Veronese, con quello di pianura a Valeggio dove intersecava la linea di Stato che scendeva dalle alture moreniche del Garda per dirigersi verso il Tartaro,un fiume di risorgiva che si origina presso Povegliano225. La linea territoriale convenuta non seguiva stabili termini naturali come le creste di una catena alpina; e neppure il corso ampio di un fiume, se non il Mincio, ma solo per un breve tratto. Essa invece attraversava le colline moreniche gardesane, le aride campagne dell’alta pianura, quindi quelle più fertili al di sotto della linea delle risorgive, fino a raggiungere le valli di Ostiglia e le grandi Valli veronesi. Qui, non c’erano ostacoli che potessero impedire il facile transito dall’uno all’altro Stato. Al contrario, la permeabilità del confine era massima testimoniata da numerose proprietà terriere tributarie di entrambi i Principi. Contadini, bovari, lavoranti si spostavano liberamente di qua e di là, per servire i propri padroni che avevano beni nell’uno e nell’altro dominio; oppure andavano in cerca di una miglior sistemazione, a seconda delle condizioni più o meno favorevoli che offriva a volte un padrone mantovano, a volte uno veronese magari con beni nel Mantovano. Attraversando campagne coltivate, il confine seguiva una lunga teorie di condotte, canali, seriole e nella bassa trovava praticamente un solo punto di riferimento stabile nel paesaggio, l’antica strada romana Postumia, detta strada Levata, che separava il territorio di Valeggio da quello di Roverbella226. Dopo la ratifica del trattato, per piantare i termini territoriali, in marmo di Verona, nei precisi punti stabiliti dalle convenzioni, i rispettivi ingegneri produssero cinque disegni esecutoriali, uno per ogni tratto in cui il confine fu suddiviso227. Il primo divideva l’anfiteatro gardesano delimitato dai centri murati, allora veronesi, di Castellaro Lagusello e di Monzambano, dal villaggio mantovano di Cavriana. Siamo dentro il paesaggio morenico delle grandi glaciazioni del Benaco, entro il quale scorre pigro e incassato il Mincio fino a Valeggio228, terra povera, con un regime fondiario, almeno a Cavriana, simile a quello della montagna, dove predominava la «piccola
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Il confine fu stabilito dal Trattato di Ostiglia del 19 aprile 1752, in ASV, PSCC, b. 33. Copie anche nella b. 32.
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Via Postumia è il lungo rettifilo che unisce Goito a Villafranca. Per comodità si fa riferimento alla mappa 1:50.000,
Pianura veronese. Carta dei percorsi cicloturistici, Carte topografiche Tappeiner, dicembre 2009. 227
I disegni furono eseguiti da Michelangelo Ferrarini, vice prefetto alle acque mantovane, e Antonio Giuseppe Rossi, matematico veneto, e poi sottoscritti dai commissari Cristiani e Morosini in Mantova, il 6 marzo 1756. Vedi la citata copia a stampa.
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L. Laureti, Il paesaggio morfologico. Origini e storia, in Il Mincio e il suo territorio, Verona, 1993, pp. 29-34. Sorge presso un laghetto intermorenico Castellaro Lagusello, vedi p. 23, oggi frazione del comune di Monzambano (MN).
proprietà»229, tipico di terre aride, assetate, bisognose di forza lavoro e di acqua e dove la ricchezza principale era la coltura dei gelsi. A partire dal triplo confine fra Pozzolengo (bresciano), Capriana (mantovana) e Castellaro Lagusello (allora veronese), s’individuò come termine territoriale la strada, ai cui bordi furono collocati i primi otto cippi, non lontano da un edificio padronale detto la Ca’ Nova e da una località chiamata «li Forni» nelle pertinenze di Lagusello230. Poi, per un breve tratto il confine era segnato da una fossa detta Boldona, e quindi percorreva la strada detta Cavallara, toponimo che si è conservato fino ai giorni nostri per indicare la via che dal Borghetto sul Mincio porta alle colline moreniche.
Poi, un altro fosso divideva i due Stati tra il territorio di Volta Mantovana e, appunto, del Borghetto veronese, fino a una strada di uso promiscuo e da qui finalmente si arrivava alle acque del Mincio. Il fiume era termine di Stato solo nel tratto che scorreva «fra le due estremità poste fra il confine di Borghetto a destra e di Valeggio con Pozzolo a sinistra» e come la strada anche il suo alveo qui doveva rimanere a «uso promiscuo de’ rispettivi confinanti». Per evitare liti tra pescatori, si decise di dividere a metà quel piccolo tratto di fiume, «per il solo uso delle pesche a traverso della larghezza», cosicché nella porzione superiore verso il Borghetto vi potevano pescare solo sudditi veneti e in quella inferiore, verso Pozzolo, solo sudditi imperiali. Due termini visibili posti sopra le rive rispettive avrebbero chiaramente indicato a tutti il punto di demarcazione della pesca del fiume. Ancora, come in montagna, termini posti a indicare il limite di usi o diritti, come, in questo caso, quello di pesca, venivano a mescolarsi con quelli di Stato. Dunque, il Mincio, dopo essere stato tutto veneto da Peschiera fino al Borghetto, per un breve tratto era comune ai due Stati, per diventare tutto mantovano dopo il confine di Pozzolo, come del resto accade anche oggi.
Una rapida scorsa al nome dei proprietari confinanti, indicati nelle mappe esecutoriali, conferma sia la diffusione della piccola proprietà, sia la difficoltà a individuare una linea territoriale condivisa fra ditte che detenevano beni nell’uno e nell’altro dominio231. Un altro elemento di promiscuità, come accadeva in montagna, era dato dalla linea di Stato coincidente con quella dei terreni appartenenti alle comunità di villaggio di Volta Mantovana, di Castellaro Lagusello e di Valeggio. Unica ditta nobile veronese in queste plaghe con beni limitrofi ai termini confinari era quella del
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Vivanti, op. cit., p. 135. Cavriana aveva 572 piccoli possessori su 605 censiti che detenevano il 60% delle superficie censita di 53.803 pertiche milanesi (ettari 3.228). Cavriana era «uno sventurato comune» con un livello di vita tra i più bassi del Mantovano. E lo stesso si sarebbe potuto dire per Volta se si fosse conservato il libro catastale, id., pp. 138- 139. Il catasto teresiano del ducato di Mantova fu compilato tra il 1774 e il 1785, praticamente coevo alle nostre indagini.
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Vedi la mappa a stampa in ASV, PSCC, n. 32/4. I termini di questo primo tratto della linea territoriale andavano dal n. 1 al n. 17 collocato quest’ultimo sulla sponda sinistra del Mincio.
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Ad esempio, il veronese Evangelista Fattori aveva proprietà lungo la linea territoriale a Cavriana, nel Mantovano, ma anche nelle venete Castellaro Lagusello e Monzambano. Anche tali Paolo Zol e Nicolò Vicari si trovavano nella stessa situazione. Questo tratto di confine delimitava i villaggi mantovani di Cavriana e Volta da quelli veronesi di Castellaro e Lagusello, Monzambano, Borghetto e Valeggio.
conte Attilio Montanari, forse erede di quel Francesco Montanari che tra varie proprietà, nel 1745, deteneva anche una possessione «in parte arativa con vigne, in parte prativa a pascolo e in parte boschiva con olivi con casa da patron e da lavorente» a Monzambano232.
Il secondo tratto della linea di Stato attraversava il Mincio (come del resto fa oggi) fino a lambire la strada militare usata dalle truppe austriache per trasferirsi da Valeggio a Goito. La strada faceva da termine fino a lambire l’abitato di Pozzolo, terra ancora povera dov’era diffusa la piccola proprietà e dove le case erano disseminate anche a grande distanza le une dalle altre233. Dal termine n. 20 si dipartiva la seriola che irrigava i prati della comunità di Valeggio dopo aver preso l’acqua dal Mincio. Sotto l’abitato di Pozzolo invece si originava la fossa omonima che convogliava l’acqua verso le risaie della bassa. Era questo un punto nevralgico poiché qui il confine del Basso mantovano coincideva con il sistema idrico del Tartaro, anch’esso sottoposto a convenzione.
Poteva favorire comportamenti illegali la proprietà promiscua di ditte che detenevano ancora aziende da ambo i lati del confine. Ad esempio, tali Antonio Coradini e Vincenzo Ghidini erano titolari di appezzamenti sia nel territorio di Valeggio che in quello di Pozzolo e, anche se di ditte diverse, pure i Lamberti si trovano nella stessa condizione. E, come succedeva in montagna e nelle colline moreniche, anche in questo tratto di pianura i confini dei beni delle comunità di villaggio venivano a coincidere con quelli di Stato234.
Fra i termini n. 22 e n. 23, il confine era individuato dalla strada Levata, come si diceva, i resti della romana Postumia, ancora con le sue scarpate e la carreggiata collocata al di sopra del piano delle campagne. L’uso della strada rimaneva promiscuo, mentre la giurisdizione «si stenderà fino alla metà della strada in lunghezza anche se per comodità i termini si pianteranno sui due bordi di essa», decisione che risolveva antiche controversie. Ai bordi della via Levata, nel lato di pertinenza del comune di Roverbella, il paesaggio era dominato dalle corti delle grandi aziende laiche ed ecclesiastiche235. Difatti, lungo questo tratto di confine, sul lato estero, le ditte erano solo tre, fra cui la comunità stessa di Roverbella, con terreni adiacenti alla strada, mentre di là di essa si estendevano ancora i prati della comunità di Valeggio assieme a un’azienda del conte Ercole Giusti. Lasciata la vecchia arteria romana, il confine piegava verso Sud seguendo un’altra strada detta Malavesina, in linea retta, fino a complicarsi in meandri tortuosi in prossimità di Pelalocco mantovana. In questo tratto, Roverbella confinava con il territorio del Tormine (frazione di Mozzecane) e pure qui non mancavano le occasioni di disordine. I Turina avevano una casa a pochi
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Borelli, Un patriziato cit., p. 227. La ditta di Francesco Montanari fu messa in estimo per ducati 180.
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La seconda mappa in ASV, PSCC n. 32/5. Su Pozzolo dove la piccola proprietà deteneva l’82% del perticato vedi Vivanti , op. cit., pp. 139-140.
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Era soprattutto la comunità di Valeggio a detenere un’ampia superficie di pascolo; anche la comunità mantovana di Pozzolo disponeva di beni comunali limitrofi alla linea di confine.
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Vivanti, op. cit., p. 146. La grande proprietà possedeva circa la metà delle 94.743 pertiche milanesi del territorio di Roverbella (ettari 5.684 circa) e quella ecclesiastica poco meno di un quinto.
passi dalla linea che andava abbattuta poiché poteva diventare un pericoloso rifugio per banditi e contrabbandieri, demolizione che però fu eseguita solo nel 1792, poiché solo in quell’anno si riuscì a identificare il vero proprietario dell’immobile236. Il marchese Spolverini, nobile di Verona, aveva beni sia di qua che di là della linea territoriale. Ma fu per evitare che il confine tagliasse in due l’osteria «vicina alla Fontana Lizari con pericolose conseguenze per la quiete pubblica e per le regalie», che si rinunciò alla linea retta per piantare invece una serie di cippi rimarcanti un andamento a zig-zag in località Pelalocco. Così si decise di portare tortuosamente il limite territoriale su di un altro fosso detto Malvezzo pur di lasciare ai veronesi di Tormine l’osteria e un paio di piccole abitazioni, mentre potevano rimanere ai mantovani di Pellaloco le altre case, che altrimenti si sarebbero dovute abbattere.
Il terzo tratto della linea s’introduceva nelle valli della bassa e nel reticolo dei corsi d’acqua, naturali e artificiali, e non seguiva più i rettifili delle strade ma i meandri sinuosi dei fossi. Il primo in cui ci s’imbatteva era detto «Daiforo», idronimo oggi scomparso, che s’immetteva a sua volta nel Lateson tra i termini n. 32 e n. 34237. Essi delimitavano la riva mantovana di Castiglione (Castiglione Mantovano oggi frazione di Roverbella) dove allignava ancora un bosco, ultime vestigia della foresta planiziale, presso un sito detto appunto «Ca’ dei Boschi». Quelle rive di fosso bagnavano ancora due appezzamenti dei padri di Canedolo e davano acqua a una «boccalina». Sul lato veronese nel sito odierno Colombare, si estendeva la grande azienda con una enorme «colombara» di una famiglia nobile di origine bergamasca ma che sedeva in Maggior Consiglio dal 1668, i ricchissimi Giovannelli, collezioni d’arte tra i più famosi238. Fu Giovanni Paolo ad acquistare nel 1729 l’azienda messa all’asta dal Magistrato al Sal per debiti contratti dai vecchi titolari che comprendeva un oratorio, la pila da riso, il mulino e una grande valle destinata alla risicoltura239.
I grandi investimenti di nobili veronesi e veneziani erano facilitati dalla morfologia del territorio veneto che digradava dolcemente verso le basse, facilitando il deflusso dei corsi d’acqua ostacolato invece da una sorta di terrazza che sbarrava la via verso Goito, rendendo così difficili le irrigazioni sul versante mantovano240.
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L’episodio è riportato in ASV, PSCC, b. 57, nel giornale della visita del 1792.
237
ASV, PSCC, disegno n. 32/6.
238
Si tratta delle pertinenze delle due comunità veronesi di Pradelle e Bagnolo (oggi frazioni del comune di Nogarole di Rocca); la pila Giovannelli a Pradelle è giunta fino a noi, vedi G. Morin e R. Scola Gagliardi (a cura di) Dalle grandi
valli al Benaco. Uno sguardo sul territorio, Verona, 2009, p. 140. Loro era la famosa Tempesta del Giorgione. 239
Vedi M. Repetto Contaldo, L’oratorio della Beata Vergine del Carmelo alle Colombare, in Nogarole Rocca nella
Storia. Gli uomini, la terra, l’acqua il confine, a cura di B. Chiappa e G.M. Varanini, Nogarole Rocca (Verona), 2008,
pp. 222-225. Erano i fratelli Pighi i vecchi titolari dello stabile «al lavoro del quale vi stanno diverse famiglie di brazzenti et operari», che rimarrà dei Giovannelli fino al 1802.
240
Il Fosso Rabbioso continuava a fare da termine territoriale, come oggi del resto, fra il territorio di Due Castelli (oggi Castelbelforte) e quelli di Trevenzuolo, Erbé e Sorgà. Ancora una volta il fattore ambientale sfavoriva gli esteri e, di conseguenza, tornava a essere predominante la piccola proprietà241, mentre i grandi stabili a conduzione capitalistica continuavano a caratterizzare il paesaggio della parte veronese. Ad esempio, i nobili Curtoni avevano beni in entrambi gli Stati. La loro palazzina dominicale era in territorio veneto, in un sito detto «Curtalta» fra i termini n. 39 e n. 40. Questi due cippi in marmo veronese furono collocati per semplificare una linea che prima era invece contorta, tortuosa che passava attorno alla palazzina di questa ditta nobile veronese, separandone in due il cortile, dove una vecchia casetta era diventata un ricettacolo di «gente facinorosa e contrabbandieri in pregiudizio della quiete pubblica e delle rispettive regalie». Perciò durante il Congresso, i due plenipotenziari decisero «che debba rettificarsi il detto confine cavando in vicinanza del Fosso Rabbioso un altro fosso, così da escludere dal Mantovano il cortile e includere invece la casetta»242. Sono questi i rappresentanti di quello «spirito capitalistico» presente in molte famiglie nobili veronesi che avevano recuperato fondi vallivi, destinandoli alla risaia, compresa quella a vicenda243.
Nel territorio di Pontepossero demarcato dal confine si trovavano le valli dette «delli Sabbioni» dove i patrizi veneti Grimani244 avevano ricavato le loro risaie alimentate dal Fosso Rabbioso. Diedero il nome a un condotto appunto, la «Grimanella», che irrigava altre loro proprietà, acquistate ancora nel Seicento durante lo scorporo dei beni comunali. Il loro rapporto con la Bassa veronese fu secolare, poiché, ancora nel 1792, Alvise Grimani chiese licenza di poter dare un più facile scolo a una sua valle coperta da «acque sortumose» presso Isola della Scala, per ridurla anch’essa a risaia245.
241
Vivanti, op. cit., p. 146. Castelbelforte vantava un perticato di 1.961 ettari, posseduto per metà da 209 ditte. Vi avevano beni anche i veronesi Curtoni che già abbiamo trovato tra i proprietari di malghe in montagna.
242
Nel 1653, Pietro Curtoni dichiarò di possedere a Curtalta (oggi Cortalta comune di Trevenzuolo) una casa
dominicale con giardino e campi 380 (ettari 114), beni portatigli in dote da Cecilia Pontini. Nel Settecento costruirono la casa dominicale con timpano e serliana ancor oggi visibile. Nell’Ottocento la tenuta raggiunse i 1.200 campi (ettari 360), vedi Morin - Scola Gagliardi, op. cit., p. 168, scheda n. 37.
243
A suo tempo lo aveva sostenuto M. Berengo, Patriziato e nobiltà: il caso veronese, in “Rivista Storica Italiana”, LXXXVII (1975), pp. 493-517, ora anche in Marino Berengo, Città italiana e città europea. Ricerche storiche, a cura di M. Folin, Edizioni Diabasis, Reggio Emilia, 2010, pp. 179-204
244
Nel 1411, il patrizio Nicolò Grimani acquistò per 12.500 ducati d’oro il castello di Pontepossero con la giurisdizione di 1.825 campi (ettari 547). A metà Seicento Francesco Grimani di San Giacomo costruì la villa e la famiglia ampliò ancor più le sue proprietà, tanto che, nel 1740, Leonardo Grimani denunciò la proprietà di 2.807 campi a Pontepossero (ettari 842). Morin - Scola Gagliardi, op. cit., p. 159, scheda n. 22.
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ASV, PSCC, b. 59, Giornale del 1792, e mappa del 23 maggio 1793 n. 59/6. Nel 1676, avevano acquistato campi 204 di beni comunali (ettari 61) nelle pertinenze di isola della Scala, B. Chiappa (a cura di), Isola della Scala. Territorio
Al termine n. 43, la risaia Grimani era delimitata dall’acqua Demorta «che è un canale o sia collatore che mette capo nel fiume Tione». Questo cippo246 segnava l’esistenza di un triplo confine fra il territorio mantovano, quello veronese e il feudo di Castellaro di cui era titolare il principe vescovo di Trento con il diritto di nominarvi un governatore. Si trattava di un’ ulteriore complicazione247.
Dall’acqua Demorta, «oltre le già disposte a favore della casa Murari per l’irrigazione di 70 campi [poco meno di ettari 22]» non si potevano più fare atre derivazioni e «tanto il resto di detto canale che le colaticcie per le risare, servito che abbiano a tal uso, debbano andar in Tione», lasciando agli esteri la possibilità di transitare liberamente a piedi. Dunque, nelle pertinenze di Sorgà, un’altra nobile famiglia veronese, quella del conte Sebastiano Murari, aveva la propria corte al centro di una grande azienda di tipo capitalistico248.
Il quarto tratto di linea iniziava dal termine n. 45, posto alla confluenza del condotto Essere con il fiume Tione, affluente del Tartaro249. All’epoca del trattato, i commissari riconobbero le concessioni d’acqua fatte dalla Repubblica ai conti Ravignani e dai vecchi duchi Gonzaga a favore di tale Giovanni Gioacchino da Passano, «autore della casa Emilei»; e convennero che «detto fiume spetti per metà in lunghezza alli detti territori per il tratto in cui scorre in mezzo ai medesimi e servir debba agli usi comuni privati promiscuamente». L’ultima parte di questo tratto era ancora demarcato da due canali, la Molinella, collettore delle risaie ostigliesi, e l’Anguora, entrambi condotti ancor oggi efficienti, sia pure con alvei modificati rispetto a quelli del 1756250.
È d’interesse notare come le ditte proprietarie di aziende collocate su lato imperiale del confine appartenessero tutte alle più importanti famiglie del patriziato scaligero: i conti Gian Carlo e Pietro Emilei, ben ammanicati anche nella corte mantovana; il conte Cevola (Cipolla), il conte Uguccione Giusti e Giacomo Verità. Le stesse famiglie apparivano nelle mappe esecutoriali come detentrici
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I cippi molto grandi erano visibili sul posto fino a pochi lustri fa. Fino a che le arature erano fatte ancora con gli animali, essi erano così pesanti che i contadini preferivano evitarli. Le cose sono cambiate con la meccanizzazione piuttosto recente in queste contrade. Molti termini sono andati così perduti ma alcuni sono stati trasferiti all’interno di corti private. Testimonianza dell’ex sindaco di Sorgà, resami a Isola della Scala il 14 ottobre 2011.
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Il feudo di Castellaro (oggi Castel d’Ario) fu concesso da Enrico IV al vescovo di Trento nel 1082. Nel 1275, il vescovo lo infeudò a sua volta alla famiglia mantovana Bonaccolsi che, nel 1328, vi fu rinchiusa dopo la vittoria dei Gonzaga. Nel 1707, quando Mantova passò agli Asburgo, Castellaro tornò al vescovo di Trento. D. Ferrari, Il feudo di
Castellaro nei documenti d’archivio (secoli XI-XVIII), in Castel D’Ario. Ambiente naturale e storia, Castel d’Ario,
1992, pp. 21-29.
248
Nel 1653, Giacomo Murari possedeva a Sorgà campi 165 (circa ettari 50). Nel 1773, dopo il matrimonio di Giovanni Battista Murari dalla Corte e di Vittoria Brà, si fusero i patrimoni delle due famiglie e le proprietà fondiarie presso Sorgà salirono a campi 1.396 (ettari 419). Morin - Scola Gagliardi, op. cit., p. 159, scheda n. 23.
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ASV, PSCC, disegno n. 32/7.
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Durante i congressi di Ostiglia, non si delimitò l’enclave di Pampuro (oggi frazione del comune di Sorgà), sotto la giurisdizione del governatore di Castellaro, ma tutta circondata da territorio veneto. Non si provvide a collocare i cippi perché si pensava allora di semplificare il confine con uno scambio di territori, progetto poi lasciato cadere, perché non si trovò un accordo soddisfacente per il governatore di Castellaro.
delle ditte disposte lungo il confine di Bonferraro e Moratica: erano ancora i Cevola, i due Emilei, il cavalier Giusti e inoltre il marchese di Canossa. Un confine di Stato separava in realtà prati e risaie tutte amministrate da agenti assunti dai grandi titolati veronesi.
L’ultimo tratto di linea, il quinto, finiva sulle rive del lago di Derotta, oggi bonificato, dove confluiva il canale Molinella. Il lato imperiale era tutto compreso nelle pertinenze del comune di