• Non ci sono risultati.

V. LA QUESTIONE TARTARO IL CONTROLLO DELLE ACQUE IRRIGUE

6. Il secondo congresso di Ostiglia nel

La convocazione di un nuovo congresso a Ostiglia non fu affatto una cessione veneta alle pressioni estere, anzi. E le difficoltà incontrate nell’attuare il Trattato del 1752 non erano responsabilità dei proprietari di entrambi i territori ma soprattutto degli utenti mantovani e specialmente del marchese Cavriani424. Dunque, richiamare un plenipotenziario austriaco al tavolo delle trattative, costringendolo ad assumersi le proprie responsabilità, fu in realtà un successo della diplomazia veneta. Si era riusciti a convincere la corte di Vienna che buona parte dei disordini era dovuta all’eccessiva propensione del vice governatore di Mantova e dello stesso conte Firmian a favore di potenti sudditi imperiali425.

La conferma di questo atteggiamento risoluto la si ritrova nella lunghissima risposta del sopraintendente Tron al memoriale milanese che protestava per i presunti danni patiti dagli utenti mantovani. Sostanzialmente, le decisioni di quel Governo erano accusate di «parzialità». L’oggetto del contendere era sempre lo stesso da ormai mezzo secolo, la distribuzione dell’acqua per irrigare le risaie. Ebbene, per il sopraintendente veneto, non vi era alcuna prova che gli utenti veronesi si fossero appropriati di un quantitativo maggiore di quello stabilito dal Trattato. Gli esteri, confondendo le acque, indicarono come tale quei circa campi 600 (ettari 180) irrigui che l’allora

421

Id., Verona 20 settembre 1763. Il Corner allega informazioni del provveditore Miniscalchi.

422

Id., Verona 29 settembre 1763. Rientrato a Verona, il 1° ottobre, Rossi esaminò pubblicamente gli alunni del Collegio Militare in Castel Vecchio. Quattordici studenti su ventiquattro, li trovò ben istruiti. Intanto, attendeva ordini da Venezia. Il 2 ottobre, fece altri esami e stavolta trovò gli altri alunni del Collegio militare «non ugualmente istrutti che i primi, sì perché molti erano di tenera età, sì perché alcuni non erano forniti di uguale talento».

423

Id., ducale del Senato 7 ottobre 1763.

424

Così Valentini, op. cit., p. 159; ma anche altri che giudicano erroneamente un cedimento veneto costringere l’Austria a sedere di nuovo a un Congresso. Vedi Porto, op. cit., pp. 326-331.

425

Vienna aderì alle proposte della Repubblica il 5 dicembre 1763 e la scelta del ministro plenipotenziario ricadde in Paolo de la Silva, nobile milanese molto stimato, come del resto lo era stato Beltrame Cristiani. Il 28 gennaio successivo il Senato elesse commissario al Tartaro Andrea Tron, già sovrintendente alla Camera dei confini. ASV, PSCC, b. 42, 28 gennaio e 11 febbraio 1764 (1763 m. v.).

commissario Correr era riuscito a far assegnare ai sudditi veneti, i quali non erano abusivi, essendo riconosciuti dalle convenzioni di cui invece erano palese violazione i due sostegni che ad ogni primavera i mantovani erigevano sul Tartaro. Poi, Tron trovò veramente bizzarra la pretesa estera di avere sempre lo stesso quantitativo d’acqua indipendentemente dalle condizioni climatiche, anche in annate di siccità, cosa pure questa che non trovava alcun fondamento nelle carte convenute e tanto meno nel buon senso.

Poi, se gli esteri accusavano disordini nella portata delle rogge, avrebbero dovuto chiedere una «visita» straordinaria della commissione mista per verificarne l’assunto, come prevedeva il Trattato, ma non avevano alcun diritto di ricorrere a vie di fatto. Non era accettabile la tesi che i loro periti non erano liberi di portarsi nel veronese per accertare le presunte violazioni, mentre, «ben si sa che il paese della Serenissima Repubblica è libero a chi si sia»; e poi, «anche in stato di natura dovrebbe ciascuno contentarsi del suo e non invadere quel del vicino sotto il pretesto che la sua propria situazione non goda le stesse preminenze».

Per Tron, non v’era dubbio che le maggiori colpe degli incidenti erano da attribuirsi al marchese Cavriani, sostenuto nelle sue arbitrarie richieste dal ministero mantovano, così da poter «adacquare i piani alti della sua risara Agnella». I Cavriani, divenuti i maggiori proprietari del territorio di Ostiglia, furono erroneamente invogliati «di far a risara quel terreno che per la sua altezza non facevasi al tempo del Trattato», come si poteva constatare dalla mappa allegata; non riuscì mai «l’acqua a bagnar essi piani alti nei tempi di magrezza e quindi nacquero gli arbitri dell’anno scorso nel Busatello», ossia, l’aumento del suo livello ottenuto con uno sbarramento artificiale. Era la scarsa portata del sistema Tartaro e non le presunte deviazioni abusive, né gli ingorghi causati dal mancato sgarbo delle erbe palustri, a far fallire l’ostinata ricerca del marchese Cavriani di voler a tutti i costi portare l’acqua dov’essa non poteva arrivare seguendo le leggi di natura. Prima di formulare false accuse contro i veronesi si dovevano appurare i fatti come si faceva «in qualunque tribunale anche delle nazioni men colte». Insomma, parole dure, quelle pronunciate da Tron in Collegio e che dimostrano come la sua politica di attenzione verso l’Austria fosse cosa ben diversa da un supino assenso a ogni volere della corte di Vienna.

Tron indicò una delle ragioni di tanti guai, forse la principale: a differenza dei veronesi, i mantovani non avevano mai voluto investire capitali per regolare e arricchire le bocche della Molinella, che Correr riuscì nel 1752 a inserire nel sistema Tartaro, suo principale successo, per far salvo il diritto di reciproca. Poi, ancora, mai gli esteri avevano permesso la mondatura delle loro bocche, pensando che quelle masse d’erba palustre, rallentando la corrente, convogliassero più acqua verso le loro prese; e, ancora, non avevano mai voluto deviare acqua dal lago di Derotta. Poi, pur non facendo nulla per alimentare di più i loro canali, avevano ugualmente ridotto a coltura i

piani alti dell’Agnella. «Cose son queste reali e che non hanno bisogno di prova e son ben altro che le falsità sinistre e vane esagerazioni che i signori mantovani hanno introdotte e che non possono essere riguardate che con sorpresa dalla rettitudine»426. E proprio questo accenno alla realtà, accolto dal suo collega de la Silva, rese necessaria una nuova «visita» dei rispettivi ingegneri all’intero sistema Tartaro, compresi dunque i canali mantovani, per appurare di nuovo il vero stato delle cose427.

Durante gli appuntamenti di Ostiglia e di Mantova, si ebbe l’interessante e denso carteggio fra Tron e il Senato che qui non si ha la possibilità di seguire. Tuttavia, val la pena esaminare almeno uno di quei dispacci del maggio 1764, perché dava conto delle difficoltà incontrate in passato da chi aveva tentato di trovare un punto fermo in quella noiosa e instabile controversia428. Tron descrisse ai senatori un fatto che mostrava tutta la sfrontatezza mantovana nel perpetuare abusi anche con la commissione vicina e operante. Il marchese Ferdinando Cavriani aveva presentato l’ennesima supplica perché la sua risaia dell’Agnella aveva poca acqua e ne voleva di più. La relazione degli ingegneri confermò che l’Agnella era effettivamente mancante e bisognosa; tuttavia, quella penuria non era dovuta «né da fraude né da dolo, ma bensì dall’attuale scarsezza del fiume Tartaro e che aprendosi la chiavica o sia begone di Trevenzuolo [territorio di Ostiglia da non confondere con l’omonimo villaggio veronese], ne sarebbe certamente essa risara suffragata e specialmente le piane inferiori, tuttavia seminate». Gli ingegneri aggiunsero però nella loro relazione che il «begone del beveratore proveniente dal Busatello era aperto e che sulla soglia ritrovavasi l’acqua once 18 [m. 0,50]». L’acqua entrava lentamente nel condotto della risaia grazie a un piccolo sostegno formato «dalla connessione di qualche legno, cabba e correggia colla quale si rialzava per qualche poco l’acqua del Busatello e nel medesimo tempo si rimarcò esistere sulla riva mantovana gli avanzi e vestigi del begone posto sotto il Busatello per ricevere le scolaticcie di San Pietro in Valle». Begone e rosta erano in aperta violazione dei trattati e ciò provocò l’ira dell’intera Commissione. Praticamente, una presa in giro.

La Commissione osò ciò che mai prima si era fatto. Si scrisse al marchese Cavriani «in via di precetto» una lettera «nella quale si mette in vista il grave trapasso commesso» e gli si ordinava di «far astenere i suoi agenti e risaioli di tali contravvenzioni sotto la pena per lui della perdita irremissibile di qualsivoglia ragione d’acqua per la sua risara Agnella»429. Tale decisione ebbe vasta

426

ASV, PSCC, b. 42. Risposta di Tron al promemoria di Vienna incluso nel dispaccio n. 148. Il 17 marzo, Tron e Da Silva s’incontrarono a Pontemolino. Con Tron, il consultore Forcellini e il matematico Rossi.

427

La perlustrazione degli ingegneri iniziò il 27 marzo 1764 e servì da base alle trattative. La lunga relazione Baschiera e Rossi si articola in 313 punti ed è riassunta da Porto, op. cit., pp. 327-29 e da Valentini, op. cit., pp. 152-154.

428

ASV, PSCC, b. 50, dispaccio n. 10, Ostiglia, 14 maggio 1764, con due inserte e un disegno. Le inserte sono la relazione con i 313 punti e allegato a esse è un disegno delle risaie del Tartaro.

429

Così si applicava l’art. 3 del trattato di Ostiglia del 1752. Poi, siccome la bocca del beveratore era abusiva si commise al marchese Cavriani di presentare entro otto giorni i titoli che gli consentivano di usare il cavo del Busatello

eco a Mantova dato il rango del soggetto e il latore della missiva, una carica pubblica scortata da milizie430. Non era solo il decoro del marchese a ricevere «pregiudizio nella vista universale», ma anche la sua finanza, poiché «tutte le spese cader devono a peso della sua persona».

Il trambusto suscitato da quella decisione aveva turbato il commissario de la Silva: «Il fatto è che essendo egli veramente uomo onestissimo, amante della verità», non si lasciava «imponer soggezione da chi che sia e molto meno dal marchese Cavriani e da tutte le altissime protezioni ch’egli gode» e questo, inevitabilmente, gli aveva procurato dei nemici431. Poi lo preoccupava come tutti gli altri ministri del commissariato fossero in qualche modo condizionati da quel nobile potente432. Tron tuttavia aveva visto le lettere che il suo collega riceveva da Vienna e che gli davano coraggio e lo incitavano a proseguire433. Poi, de la Silva gli confessò di aver scritto a Corte del comportamento di quel marchese e gli confidò la stessa riflessione che aveva riferito per dispaccio al principe di Kaunitz: «Vostra Altezza, se cosi si ardisse di fare durante il Congresso ed in vista del Commissariato, cosa si tenterà di operare quando il medesimo sarà sciolto? E cosa averà fatto negli anni decorsi, quando il marchese Cavriani godeva la protezione del Ministro di Mantova e per conseguenza di quello di Milano?»

Mentre correvano i dispacci relativi alla risaia dell’Agnella, la Commissione esaminò la lunga relazione degli ingegneri, chiedendo loro di «restringer la stesa e di ridurre tutto a pochi sommi capi». Oltre alla complessità delle operazioni idrauliche, anche i tempi della coltivazione del riso prolungarono i lavori del congresso. Infatti, le prese d’acqua e i collettori non potevano essere

«per tirar da quello le acque al begone del beveratore». Se quella bocca fosse risultata abusiva sarebbe stata chiusa, come, di fatto, avvenne. Ibidem.

430

Scrisse Tron : «In questi paesi viene considerata di alto riflesso la risoluzione della Commissione di spedire un podestà di Ostiglia, che vale a dire una carica pubblica, scortato da milizie e con ogni solennità nei beni di questo signor marchese, il quale essendo uno dei principali sudditi che abbia SMI in Italia per le grandi aderenze e protezioni ch’egli gode tanto a Vienna quanto a Milano e soprattutto a Mantova, viene in queste parti stimato, e rispettato da ognuno e impone soggezione anche agli stessi del Governo onde universalmente è laudata la giustizia di questo signor plenipotenziario austriaco e della Commissione che s’abbi fatto una sì strepitosa risoluzione». Ibidem.

431

Continua Tron che de la Silva «è frastornato da due cose. Una prima che è incredibile l’impegno con il quale il Ministero di Mantova, sostenitore delle cose da lui fatte nell’estate decorsa, cerca di discreditare tutto quello va operando questo ministro e le sagge e prudenti direzioni ch’egli prende per mettere in quiete l’importante materia. Il barone di Waters, presidente del Consiglio di Mantova, il consultor Tamburini e qualche altro non lasciano di

rappresentare che li poveri mantovani sono abbandonati alla discrezione de’ veneti. Che tutto si opera in Ostiglia, come desidera il commissario dell’Ecc. Senato. E che in ultima quelli che ne soffrono e soffriranno il danno sono li sudditi di S.M., abbandonati nei loro giustissimi diritti e titoli». Ibidem.

432

«Un secondo motivo poi istessamente lo disturba ed è che ha scoperto l’animo dei principali ministri di questo commissariato prevenuti per il marchese Cavriani, parte messi in soggezione dai pressanti offici del medesimo e parte dalle potenti e autorevoli protezioni ch’egli gode. Queste cose per altro, quantunque arrechino dispiacere all’animo suo, nonostante ch’egli è assoluto patrone della materia e ch’egli non dipende in modo alcuno da chi si sia se non dalla sua Padrona e dal conte di Kaunitz, non si sgomenta egli punto nell’operare quello ch’egli ritiene giusto e passando di concerto col veneto commissario si spera alla fine di regolar ogni cosa sui buoni principi, nonostante questi disturbi, queste dicerie e queste disapprovazioni di chi non può far altro che gridare». Ibidem.

433

Ancora Tron: «Me lo confidò lui stesso che in un’ultima sua lettera il conte Kaunitz gli disse: faccia ve quello crede

di giustizia e di ragione, procuri di conservare la buona armonia col veneto Commissario e lasci dire alli mantovani quello vogliono, che qui non saranno ascoltati. Queste lettere gli confortano interamente l’animo e lo terranno

scandagliati prima che «il riso sia tagliato» e soprattutto non si poteva dare seguito alla modulazione delle bocche «che devono sempre lasciarsi aperte per l’irrigazione delle risare».

Grazie al bel tempo, i lavori della nuova regolazione del sistema Tartaro si conclusero felicemente. Il nuovo trattato fu siglato il 25 giugno 1764 a Ostiglia e fu trasmesso al Senato accompagnato da un’altra lunghissima scrittura del commissario Tron. In essa, egli sottolineò l’aspetto più importante di quegli accordi, ossia, l’art. IX che escludeva assolutamente una quota maggiore d’ acqua per i terreni alti, esplicito riferimento alla risaia Agnella del marchese Cavriani. Anche questi terreni si sarebbero dovuti accontentare della portata a suo tempo stabilita di un quadretto per ogni 80 campi veronesi di risaia434.

Outline

Documenti correlati