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Il confine descritto nel trattato esecutoriale del 1754 partiva dal monte Altissimo di Nago per scendere fino all’Adige ed era delimitato da 97 termini territoriali, che dividevano la parte veneta dove i comuni frontisti erano Malcesine, Ferrara e Belluno dalla parte vicariale comprensiva

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Non sempre le cose andavano per il verso giusto. Ad es., nel 1764, quelli di Brentonico si lamentarono perché le guardie venete non solo avevano sequestrato ai passeggeri parecchie merci che non erano di contrabbando, ma anche «li medesimi prodotti delle montagne che la comunità di Brentonico possiede nel territorio de’ veneziani», ASV, PSCC, b. 34, relazione della visita del 1764. Quei viandanti erano per lo più pastori, vedi la relazione riservata dello stesso anno del conte Lodovico Giusti, provveditore veronese ai confini con il Tirolo.

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L’art. XI del trattato del 1753 lascia ai veneti della Ferrara il diritto «di prevalersi per il bisogno delle proprie loro fabbriche…del taglio nei boschi comunali di Avio» sopra e sotto la via Carrara (l’attuale strada di San Valentino). L’art. X lascia a quelli di Belluno il diritto di tagliare e pascolare con animali da giogo nei boschi di Avio, riprendendo una sentenza arbitraria del 1535 sempre osservata. Vedi Laiti- Bottegal, op. cit., pp. 58.59.

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Vedi Borelli, Un patriziato cit., pp. 146 e 148 dove si descrivono le proprietà denunciate nel 1745 da Gomberto q. Lodovico Giusti, titolare di un fuoco in contrada di Santa Maria in Organo.

dell’enclave di Brentonico e dei monti di Avio. Le bastionate del Baldo sono compatte e hanno dislivelli notevoli, oggi caratterizzate da estese formazioni di prateria subalpina, dove l’originaria faggeta si dissolve nel pascolo, dilatato dall’intensa deforestazione di cui abbiamo già visto gli effetti settecenteschi74. Questo, ancora nel primo Ottocento, era un territorio dove la vocazione principale era quella dell’allevamento ovino75. Anche se forniscono dati da ritenersi solo indicativi, gli estimi della Ferrara del 1753 confermavano la vocazione pastorale di quel territorio. L’estimo personale, era di soldi 69 (un soldo per ogni uomo abile al lavoro), e registrava undici paia di animali da giogo, quindici fra muli e cavalli destinati al trasporto. Più numerose erano le vacche da malga, ossia da latte, una quarantina, mentre si contavano più di duecento lanuti, fra pecore e capre76.

La promiscuità di legnatico fra Belluno veronese e di Avio dette problemi fin dalla prima perlustrazione della Commissione austro veneta, nel 1760, che ispezionò «quella disastrosa e più estesa confinanzia», dove alcuni termini di pietra erano già stati piegati «dalla violenza delle nevi e dei venti»77. Avio lamentava che i legni tagliati dai vicini veneti rimanevano a terra parecchio tempo e pretendeva fossero portati via entro tre giorni. Poi, voleva impedire ai veronesi l’uso promiscuo della strada Maggiera. Per ritorsione, Belluno ostacolava la libera estrazione dei raccolti degli esteri dai loro campi posti in Veneto.

Due anni dopo, Avio fu accusata da Belluno di distruggere volutamente i boschi promiscui. Anche la Ferrara incolpò gli esteri di far carbone nei boschi dove «alla stessa vien preservato il diritto di tagliar li legnami opportuni alle proprie fabbriche»; se si lasciava fare, rischiava di rimanere priva «di tali provvedimenti necessari alla sua sussistenza»78. Nella sua relazione riservata il conte Giusti avanzò una proposta per risolvere tali dispute. L’ostacolo era il fondato timore di quelli di Avio di subire danni ai campi e ai boschi a seguito del passaggio dei veneti per la Val Maiera. Dopo aver parlato con alcuni maggiorenti della comunità di Belluno, per sradicare il male, il provveditore Giusti propose ai veneti di rinunciare al legnatico in cambio di un equo risarcimento.

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Per le caratteristiche fisico naturali del Monte Baldo si sono ripresi temi da U. Sauro, Le forme del paesaggio, in Il

Garda, a cura di U. Sauro, C. Simoni, E. Turri e G.M. Varanini, Verona, 2001, pp. 75-94. 75

Zalin, op. cit., p. 4.

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Dati tratti da ASVR, Estimi, b. 693. Nel comune battevano le ruote di due mulini e i campi messi in estimo reale erano 698 (ettari 209) frazionati in 65 ditte. In tutto la stima complessiva dell’estimo reale è di 4.693 ducati. Il

censimento del 1871 assegnava a Ferrara solo 600 abitanti, quello del 2001 appena 188, è così il comune più piccolo di tutta l’attuale provincia di Verona.

77

Si tratta della relazione congiunta del commissario austriaco Giuseppe Ceschi e del provveditore veneto Lodovico Giusti sottoscritta a Rovereto. Una copia in ASV, PSCC, b. 34.

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Id., relazione congiunta del 1762. I massari di Avio s’impegnarono a non sboscare più in quei siti. Le stesse lamentele furono ripetute nel 1764, vedi la relazione sottoscritta a Rovereto il 13 settembre dal conte Giusti e dal nuovo

Era la soluzione che alla fine sarebbe risultata vincente, anche se in quel momento non se ne fece nulla, perché non si trovò ancora un accordo unanime79.

Il «comune destino» impedì al conte Lodovico Giusti di portare a termine i suoi progetti e fu sostituito provvisoriamente, nella ispezione del 1766, dal conte Rambaldo Rambaldi, in attesa della nomina del successore80. La proposta Giusti fu poi accolta e ciò permette di capire quale valore monetario dessero le parti a quel legname e al diritto di pascolo per gli animali da giogo. Si trattava di 2.000 scudi da lire 6 da pagarsi in quattro rate annuali. Insomma 12.000 lire, comunque una somma consistente81.

Rimaneva ancora in piedi la questione del legname da fabbrica riservato a quelli della Ferrara, che, ancora nel 1768, si lamentarono per il taglio estero nei boschi a loro riservati. Stavolta, quelli di Avio dovettero ammettere che «vi era stato dell’eccesso» ma senza loro colpa, poiché «un conduttore cui avevano locato un bosco per carbonare con espressa riserva de’ legni da fabbrica, senza badare a tale riserva, ne tagliò molti di riservati»82. Insomma, anche in questo caso, per garantire la quiete, occorreva un accordo e si propose ai veneti di presentare una lista del loro fabbisogno di legname cui avrebbero fatto fronte gli stessi di Avio, purché non si varcasse più il confine. La lista fu effettivamente stesa e prevedeva la corresponsione di 235 pezzi di legname per la manutenzione di 76 case, «oltre altre non abitate, come anco parecchi fenili e stalle per ricovero del bestiame che moltissimi mantengono»83.

Dunque, gli abitanti della Ferrara erano soprattutto pastori e allevatori, di boschi non ne avevano più. Come noto, il legname da fabbrica si ricavava soprattutto dalle selve nere, ossia da abeti, pezzi e larici mentre dalle selve bianche si ricavava il legno da fuoco e da far carbone, oltre a quello da destinare ai remi proveniente dalle faggete. L’aumento della popolazione che si è avuto nel Settecento portò certamente a un maggior consumo di legna e carbone, ma, in generale, se si guarda a tutta la montagna nel suo complesso, fu esagerato il timore settecentesco dei diboscamenti84,

79

La relazione riservata del conte Giusti n ASV, PSCC, b. 34, senza data ma 1764.

80

La notizia della morte del conte Lodovico è data dallo stesso Rambaldi nella sua relazione riservata. Il cordoglio fu unanime sia di qua che di là del confine, tanto che i vicecapitani di Rovereto, i signori Castani avrebbero voluto assumersi le spese dei funerali. Il fratello, il conte Francesco, declinò l’offerta, «incontrando egli il dispendio delle onorifiche funebri cerimonie». La Città ad ogni modo fece accompagnare il cadavere «da sei livree con torci accesi il qual esempio fu anche seguito dai civili del paese». Id., relazione del conte Rambaldi, Verona, 30 settembre 1766.

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Id. L’accordo siglato ad Avio il 29 agosto 1766 e allegato alla relazione della visita del 1766 sottoscritta a Rovereto il 18 settembre da Cristani de Rhall e da Rambaldo Rambaldi. In cambio della rinuncia immediata al taglio di legna, quelli di Avio s’impegnarono a pagare un interesse del 5% sulla prima rata, ossia, scudi 25.

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ASV, PSCC, b. 37, fasc. Visita dell’anno 1768, sottoscritta il 6 agosto a Rovereto da Nicolò Cristani de Rhall e da Francesco Giusti, subentrato al defunto fratello Lodovico.

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ASV, PSCC, b. 38. La nota fu sottoscritta il 12 aprile 1769 e comprendeva «piane per tetti e pavimenti n. 15, borre per far assi n. 20, canteri da coverto n. 150 e travi n. 50».

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È la tesi sostenuta in molti studi da A. Lazzarini e da ultimo in I boschi dell’Altopiano, in L’Altopiano dei Sette

Comuni, a cura di P. Rigoni e M. Varotto, Verona, 2009, pp. 210-228. A p. 210 la sua distinzione fra selve nere e selve

come per certi versi dimostrano le vicende di Belluno e Ferrara che non rimasero mai prive del prezioso legname.

Nel 1770, anche la comunità della Ferrara si accordò con quella di Avio; essa rinunciava al diritto di legnatico in cambio della somma una tantum di fiorini 400, ossia, lire venete 2.000. Non essendo però la somma nell’immediata disponibilità degli esteri, questi l’avrebbero pagata sei anni dopo e, nel frattempo, i veneti avrebbero ricevuto un interesse annuo del 4%, ossia, lire venete 80 che, evidentemente, erano sufficienti a sopperire al loro bisogno di legname85.

Questa parte montana del confine fra il vicariato di Avio e le comunità della Ferrara e di Belluno non ebbe più grandi motivi di scontro fino all’arrivo dei francesi. Certo, ancora qualche albero si era tagliato abusivamente, ancora qualche protesta giungeva alle orecchie dei «visitatori» perché il conduttore della malga di Belluno, portando il suo bestiame sui pascoli per la Val Maiera danneggiava i terreni dei proprietari limitrofi, ma era poca cosa , risolta sempre in via amichevole dalla Commissione86. Del resto, anche i caprai e i pastori trentini abusavano talvolta della prossimità dei pascoli veneti; sarebbe stato meglio se ciascuno avesse percorso strade dentro il proprio territorio, ma evitare le promiscuità era impossibile in un ambiente aspro come il Monte Baldo. Ad esempio, nel 1792, quelli della Ferrara protestarono perché solo loro sostenevano i costi per rendere agibile la strada che portava gli animali all’abbeveraggio nella fonte che «scaturisce dalla sommità detta il Campione», usata anche dai pastori di Brentonico e di Avio; perciò, trovavano giusto che anche gli esteri contribuissero alle spese87.

A partire da 1772, la Commissione austro veneta ispezionò anche i tredici termini della linea territoriale che divideva le imperiali Nago e Torbole dalla veneta Malcesine88. Si trattava di una dorsale impervia, che andava praticamente dalle rive del lago di Garda alla sommità del monte Altissimo89 e forse per questo esclusa dai tratti del 1753. Troppo complesso era parso allora piantare termini pubblici in luoghi che non erano soggetti a contestazione e che erano già demarcati da segni posti dalle comunità e dai privati. Le ragioni delle ispezioni, che anche qui poi si fecero, forse vanno ricercate in una lite che era sorta fra la comunità di Malcesine e quelle di Nago e

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ASV, PSCC, b. 37, relazione sottoscritta a Rovereto il 2 novembre 1772 dal conte Giusti e da Giuseppe di

Trentinaglia, nuovo commissario ai confini d’Italia. Nella sua relazione privata, Giusti riferì che il vicario e i deputati di Avio lo ringraziarono per l’accordo e per «la quiete che ora godevano al confine»; e anche per differito il pagamento dei 400 fiorini. Nel 1776, sei anni dopo l’accordo, i 400 fiorini furono effettivamente sborsati da quelli di Avio e la somma fu investita nel Monte di Pietà, come prescritto dal decreto del Senato 1° dicembre 1770.

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Id., relazione, sottoscritta a Rovereto il 18 novembre 1776 dal conte Giusti e da Giuseppe di Trentinaglia.

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ASV, PSCC, b. 39, Protocollo e relazione della visita del 1792, siglata a Rovereto il 24 novembre da Sigismondo de Mholl e Francesco Giusti. Oggi esiste un passo Campione presso la malga Navezza.

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Vedi ASV, PSCC, b. 37, vedi la citata relazione del 1772. In questa sede non ci occupiamo della spinosa questione del lago di Garda, che il conte Giusti considerava tutto veronese; quando Trentinaglia si lagnò dei pescatori veneti sconfinanti in acque austriache, egli, pur ribadendo la legittimità dei sudditi veneti a portarsi ovunque nel lago, preferì attendere le risposte del Senato che, il 13 aprile 1773, consigliarono di evitare la pesca veneta in quelle acque.

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Torbole. Ed è ancora una volta legata al commercio del legname. I trattati avevano lasciato in uso ai sudditi esteri una riva del lago in territorio veneto dove depositare il legname tagliato nei loro boschi, ma fatto scendere dallo Zovo di Canole che era anch’esso territorio veronese; e questo perché gli acquirenti erano soprattutto mercanti veneti. Ora, quelli Malcesine pretendevano che la legna «subito arrivata sia messa nelle barche e trasportata sulle spiagge austriache». La Commissione mista trovò anche in questo caso un accordo, monetizzando la questione. Ogni volta che lo stazio del legname avesse superato i tre giorni, gli esteri avrebbero pagato un indennizzo di

50 soldi90.

Infine, grazie alle ispezioni della linea territoriale sul monte Baldo, si hanno notizie di un’attività mineraria relativa alle famose «terre verdi» di Verona91. Le miniere si trovavano sotto il vicariato di Brentonico e, nel 1770, il provveditore Giusti, spinto dalla curiosità, volle visitarle. Stavano nel punto dove «il confine si distacca dalla Viana92 e comincia ad ascendere per la via Carrara verso le Scalette». Dai «canopi che travagliavano all’escavazione in una sotterranea cava» fu introdotto nella miniera dove «vidi per lunghissimo e diritto spazio internarsi il lavoro». All’esterno, Giusti osservò un’altra cava allora inattiva ma, gli fu detto, era intenzione dei conduttori «proseguire l’escavazione» e notò che l’eventuale ripresa dei lavori avrebbe superato sottoterra la linea territoriale93. Probabilmente, il provveditore Giusti parlò della sua scoperta con qualche mercante veronese. Fatto sta che, nel 1787, i Deputati veneziani alle miniere investirono i fratelli Pase di «una miniera di terra verde» situata nel territorio di Malcesine, ai confini dello Stato, presso il passo delle Scalette94. E subito iniziati i lavori di scavo vi furono attriti con i vicini di Brentonico. Questi si lamentarono che i lavoranti della miniera veneta buttavano terra e sassi sulla via confinale detta Viana con il rischio di far precipitare «li bestiami soliti passare per la stessa strada»95. In realtà, 90

Vedi la relazione della visita del 1774. L’accordo fu sottoscritto a Nago da Giusti e Trentinaglia il 27 agosto. Il diritto all’uso dello Zovo di Canole era stabilito da «un istrumento del 1718 correlativo ad un altro del 1525 e fu ripreso dal protocollo esecutoriale del 1754». ASV, PSCC, b. 38. Del resto, lo si è detto, i boschi e i pascoli della montagna di Canole erano beni comunali e dunque quelli di Malcesine ne aveva solo l’usufrutto, restando il diretto dominio alla Repubblica.

91

Secondo G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, Verona, 1839, p. 249, «nelle montagne che separano il Veronese dal Tirolo trovansi miniere di carbon fossile. Vi sono terre de’ colori e per tutta Europa i pittori si servono della terra veronese che è un verde». Nei repertori artistici si dice che fu il colore reso celebre da Paolo Caliari detto il Veronese. Oggi esiste un sito detto Terre Verdi sopra la Bocca delle Scalette vicino alla strada che porta al lago Prà della Stua.

92

La strada Viana corrisponde probabilmente all’attuale strada provinciale San Valentino.

93

Vedi ASV, PSCC, b. 38, relazione riservata di Francesco Giusti, Verona, 7 settembre 1770. Giusti scoprì che, fin dal 1668, dal vescovo di Trento fu investita la casa Echeli per lo sfruttamento di quelle miniere. Poi, ne fu coinvestita la casa Zannini di Brentonico con l’obbligo di pagare la decima al vicario minerale di Pergine. Ora, annotava Giusti, se si dovessero riprendere gli scavi e seguire la vena, «senza alcun fallo in breve spazio quando non sia oltrepassata si oltrepasserebbe la linea veneta». Lo fece anche notare al commissario imperiale che diede gli opportuni ordini perché quei lavori non riprendessero.

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L’investitura dei Deputali del Consiglio dei Dieci alle miniere è del 22 giugno 1787, i beneficiari furono Gaetano e Carlo Pase q. Giuseppe, una copia in ASV, PSCC, b. 37. Dovevano corrispondere la decima mineraria.

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Id. relazione della visita siglata a Rovereto il 13 novembre 1788 da Francesco de Laicharding e da Francesco Giusti. Si ordinò agli scavatori di trovare una buca in territorio veneto ove depositare terra e sassi.

dietro l’istanza estera vi erano i signori Echeli, «che si vedevano vicino a scemare in gran parte il grandioso commercio che soli ne facevano», poiché nella cava veneta si era cominciata

l’escavazione con felice successo» della terra verde veronese96.

ri ed eserciti che provenivano dalla Germania

i trovava già in territorio veneto98 ed era parte della

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