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Parte 2 IL CINEMA TRA RAPPRESENTAZIONE STORICA E

1. L'arte cinematografica tra rappresentazione storica e racconto memoriale

1.2 Alcune riflessioni sulla trasfigurazione cinematografica della storia

Quando si parla del rapporto tra cinema e memoria culturale e collettiva, è forse inevitabile fare riferimento anche ad una dimensione storica. Se riguardo alla memoria non occorre fare una distinzione netta tra documentario e finzione, nel rapporto con la storia tale distinzione diventa il punto centrale di un dibattito in cui forse non si giungerà mai a una conclusione condivisa. Tantissimi studiosi hanno dibattuto intorno alla questione se un film possa essere considerato materiale per gli storici e, soprattutto nei riguardi del cinema di finzione, quale atteggiamento gli storici debbano tenere di fronte a un'opera che è frutto di invenzione.

Robert A. Rosenstone12 rileva una certa diffidenza da parte degli storici verso l'uso di materiali filmici, e individua due atteggiamenti predominanti: un uso esplicito e uno implicito dei film quali fonti per un determinato periodo storico. L'approccio esplicito considera le pellicole come uno specchio del clima sociale e politico dell'epoca in cui sono stati girati («Typical is the anthology

American History/American Film, which finds "history" in such works as Rocky, Invasion of the body snatchers, Viva Zapata and Drums along the Mohawk»13); tale approccio si basa sul fatto che il cinema svolga una funzione «storica», ma non distingue i materiali in base al loro genere né individua alcun ruolo specifico per i film che trattano direttamente di temi storici. Tale approccio generalista pone un problema: se si considera il cinema alla pari delle fonti scritte, Rosenstone si chiede perché allora considerare i testi filmici solo come un "riflesso" della loro epoca e non come un testo storico a tutti gli effetti. Anche i documenti scritti sono frutto dell'epoca in cui sono prodotti, allora perché proprio i film devono essere considerati interpretazioni del contenuto di altre fonti, ad esempio documenti scritti o libri pubblicati?

L'approccio implicito invece tratta i film con la stessa logica usata per la storia scritta ufficiale, sottoponendoli agli stessi criteri di giudizio riguardo alla qualità dei dati proposti, la loro verificabilità, l'esposizione degli argomenti e l'uso di testimonianze. Tale utilizzo delle fonti filmiche pone alcune questioni importanti, che si ricollegano anche a quello che ho cercato di mettere in evidenza nei capitoli precedenti, in particolare nel rapporto tra storia e memoria: primo, l'abitudine, e forse il pregiudizio metodologico, di considerare la storia scritta nei libri come veicolo principale nell'analisi del rapporto tra presente e passato determina i criteri di analisi anche di altre fonti; secondo, questa impostazione metodologica si basa sul fatto di assumere la storia scritta ufficiale quale racconto fedele alla realtà degli avvenimenti. Come abbiamo visto anche nella parte

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Robert A. Rosenstone, The Historical Film: Looking at the Past in a Postliterate Age, in Marcia Landy (a cura di), The Historical Film: History and Memory in Media, New Brunswick (New Jersey), Rutgers University Press, 2001

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precedente, quella storica è pur sempre una ricostruzione, basata sull'aggregazione di dati e informazioni, secondo un progetto o una visione più ampi che, anche se non esplicitamente dichiarati, fanno parte di un sistema, ritenuto non problematico, con cui la storia è scritta e tramandata.

Riguardo ai film come materiale storico vorrei recuperare ancora alcune riflessioni di Rosenstone, che torneranno utili nei capitoli successivi, dedicati all'analisi più strettamente cinematografica di alcune opere provenienti dalle cinematografie ex-jugoslave e di alcuni autori che si sono confrontati con la storia e con la guerra. Rosenstone individua tre categorie di rappresentazione storica nei film: history as drama, history as document, history as experiment. Osserva l'uso della storia all'interno di opere di finzione, documentari e film sperimentali. Gli storici tendono a fare maggiore affidamento sul cinema documentario perché più vicino nel tempo ai fatti accaduti, rispetto al film di finzione che necessita delle tempistiche di messa in scena, e poi perché apparentemente più affine allo spirito e alla pratica della storia scritta. In realtà, come vedremo ad esempio per i film girati durante l'assedio di Sarajevo, anche il documentario si basa su una scelta stilistica e contenutistica individuale, del regista che esprime tale scelta attraverso la porzione di realtà che ha deciso di cogliere puntando l'obiettivo. La fedeltà al reale è solo apparente perché anche l'immagine documentaria può essere frutto di una messa in scena e di una selezione della realtà rappresentata in funzione del messaggio artistico che il regista vuole trasmettere.

Rosenstone poi distingue all’interno del cinema di finzione definibile come "storico" tra film basati su persone, movimenti, eventi documentabili (ad esempio L'ultimo imperatore, Gandhi, JFK) e film che hanno dei personaggi e una trama romanzati, inseriti in un contesto storico preciso dove l'ambientazione acquista anche un particolare significato per la vicenda (come in Le relazioni

pericolose o I cospiratori del 1970). Si tratta di categorie orientative, da non considerare troppo

rigidamente, basti pensare che alcuni film presentano personaggi inventati accanto a figure storiche reali, in ambientazioni documentabili e di finzione.

Il cinema sperimentale può riunire entrambe le categorie precedenti, documentario e finzione, e può offrire opere che combinino i due generi. Si tratta di film realizzati da registi indipendenti e d'avanguardia in Europa, negli Stati Uniti, in paesi dell'area ex-comunista e terzomondista, alcuni dei quali sono diventati molto famosi (come Ottobre e La corazzata Potemkin di Sergej Ejzenštejn). Si caratterizzano per fare un cinema in opposizione alle convenzioni e agli stilemi del mainstream proposto da Hollywood e dall'industria cinematografica, rifiutando soprattutto di concepire lo schermo come una finestra oggettiva su un mondo "realistico"14. A differenza del cinema tradizionale che generalmente propone la storia come un racconto basato sulle vicende individuali dei personaggi, portatore di un messaggio morale e finalizzato al forte impatto emotivo, la corrente sperimentale invece presenta i fatti storici come risultato del progresso umano (Shoah di Claude Lanzmann), in un racconto corale e collettivo (Ottobre di Ejzenštejn), attraverso l'uso di elementi di

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de-drammatizzazione e di materiale documentario per la costruzione di un discorso narrativo a tema storico (Sans soleil di Chris Marker). Il periodo storico può essere "ricreato" senza mostrare neppure un'immagine dell'epoca, solo attraverso il racconto dei testimoni (come in Shoah di Lanzmann) o attraverso espedienti artificiali (come in Hitler, a film from Germany di Hans-Jürgen Syberberg). Infine alcuni registi (come Alexander Kluge o Chris Marker) trattano la storia come risultato di un processo che rendono attraverso un montaggio di elementi diversi, disconnessi, in un pastiche postmoderno. A mio parere molti autori e film della corrente sperimentale sembrano portare sullo schermo non tanto una ricostruzione storica, quanto ciò che rimane nel tempo di quei fatti storici, cioè una memoria storica culturale che emerge dall'intervento dell'arte sul documento. Rosenstone sottolinea come il cinema sperimentale possa aprire un nuovo sguardo sul passato, una rielaborazione del passato con un nuovo significato nel presente. I film e i registi del cinema sperimentale mostrano come sia possibile creare un passato differente da quello provvisto dalla storia scritta, differente nella forma se non nel contenuto, e soprattutto come sia impossibile una "traduzione letterale" della storia in immagini, infatti anche il più "obiettivo" dei documentari è sempre frutto di un punto di vista e della scelta di una porzione di realtà da catturare.

Che si tratti di un dramma dell'industria hollywoodiana o di un'opera di qualche nouvelle vague europea, gli storici dovranno sempre venire a patti con le potenzialità e i limiti della trasfigurazione cinematografica, soggetta più ai meccanismi del ricordo che a quelli della ricostruzione storica, e per questo non può essere giudicata con gli stessi criteri delle fonti scritte: «Film creates a world of history that stands adjacent to written and oral history; the exact location of the understanding and meaning it provides cannot yet be specified.»15

Il rapporto tra cinema e storia ha una tradizione di studi molto ampia16, qui ho solo accennato ad alcune questioni che mi sembrano importanti per un generale recupero del passato attraverso il cinema. Nei prossimi capitoli ritroveremo opere appartenenti a entrambe le categorie individuate da Rosenstone, film con un'impostazione più tradizionale e film che si sono ispirati a modalità più sperimentali, inaugurate soprattutto nella seconda metà del '900. Il mio interesse non risiede tanto in un'analisi del rapporto tra cinema e storia in relazione alle guerre dell'ex-Jugoslavia, quanto nei racconti filmici che sono nati e stanno nascendo in quel dopoguerra, realizzati da cineasti autoctoni, testimoni e sopravvissuti dei fatti. La fedeltà della ricostruzione storica e il dibattito sull'uso di questi materiali nella ricerca storica passa in secondo piano rispetto all'esigenza di osservare come questi racconti filmici costituiscano la memoria cinematografica di quei giovani paesi nati dalle guerre degli anni '90, un "terreno" di rielaborazione e di memorializzazione delle vicende storiche e del trauma di cui quelle vicende possono essere origine.

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Ivi, p. 65 16

Vedi tra i nomi più importanti: Marc Ferro, Gian Piero Brunetta, Antonio Costa, Pierre Sorlin, Peppino Ortoleva, Gianfranco Miro Gori, Giovanni Rondolino.