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Parte 1 MEMORIA, OBLIO E TRAUMA

3. Ricostruzione storica e rievocazione memoriale

3.1 Storia e memoria: dibattito su un'apparente dicotomia

Nel capitolo precedente abbiamo osservato come il passato storico giochi un ruolo importante nella dimensione pubblica e culturale della memoria. I fatti che compongono la storia di una nazione o di una comunità possono essere recuperati e riutilizzati per la costruzione di una precisa immagine pubblica nel presente e da restituire al futuro. La storia inoltre fornisce il materiale utile alla memoria culturale per l'individuazione del mito fondante intorno a cui si riconosce il patrimonio culturale di una collettività. Storia e memoria appaiono indispensabili l'una all'altra e compenetranti: la storia fornisce il materiale alla memoria, proprio dove una memoria pubblica necessita di una spina dorsale che ne sostenga la fondazione; allo stesso tempo la storia necessita del ricordo vivente di una memoria condivisa. Nell'ambito della memoria i fatti storici possono essere riutilizzati, reinterpretati e anche manipolati allo scopo di sostenere la tradizione nel presente e nel

futuro. Per tali reciproche compenetrazioni e per individuare le aree di contingenza, occorre trattare le giuste distinzioni tra le due discipline.

Per addentrarmi nel dibattito sul rapporto tra storia e memoria parto nuovamente da Maurice Halbwachs, uno dei primi sociologi contemporanei a occuparsi delle differenze tra memoria collettiva e memoria storica. Pur nella schematicità rigida delle sue caratterizzazioni, le teorie di Halbwachs mi permettono di cominciare dalle differenze, evidenti, tra i due ambiti. In linea con l'impostazione del suo lavoro sulla memoria collettiva, egli critica l'uso dell'espressione "memoria storica" perché unisce due elementi che tendono a contrapporsi. Definisce la storia come il racconto dei fatti memorabili, quelli che gli uomini ricordano, che si studiano a scuola, si leggono nei libri. Gli avvenimenti tramandati della storia sono selezionati in base a «necessità o regole che erano sconosciute ai gruppi di uomini che ne hanno a lungo custodito il deposito vivente»129. È interessante notare come nella definizione data da Halbwachs siano descritti i meccanismi alla base di memoria pubblica e culturale: i fatti si trasmettono attraverso luoghi e pratiche istituzionali, come la scuola, e sono selezionati secondo regole conosciute non dai più, ma da pochi esperti del patrimonio culturale.

Secondo Halbwachs la storia inizia nel punto in cui finisce la tradizione o, usando una sua espressione, la memoria sociale, perché finché rimane in vita uno dei testimoni di un determinato periodo non sorge il bisogno di fissare i fatti per iscritto; tale necessità nasce nel momento in cui il periodo storico si colloca troppo lontano nel tempo perché ci siano ancora testimoni vivi che ne portino il ricordo. C'è anche il caso in cui il supporto scritto diventa necessario per fissare una memoria che non ha più il gruppo come sostegno, cioè quando la memoria storica sopravvive nei ricordi di pochi elementi isolati e sparsi in altri gruppi della società.

Halbwachs riconosce una certa discontinuità nella storia rispetto alla memoria: manca il ritorno continuo al passato, da parte del soggetto o del gruppo, che caratterizza la memoria e che nella storia è impossibile, a causa di quel salto temporale tra la società attuale e i soggetti vivi che furono testimoni e attori dei fatti raccontati. Secondo Halbwachs gli storici possono scoprire e divulgare i fatti avvenuti e poco conosciuti, ma non è possibile recuperare le «correnti di pensiero collettive»130 dei gruppi appartenenti a quel passato sepolto, così lontano dal presente che riattualizza la memoria. Rispetto alla storia infatti la memoria collettiva agisce come una corrente di pensiero continua, che del passato conserva solo ciò che ancora vive nella coscienza del gruppo, e non supera i limiti della comunità memoriale. Ogni epoca o periodo ha i propri gruppi memoriali, questi si succedono, ma non c'è mai un taglio netto tra un periodo e un altro, una comunità memoriale può conservare il ricordo o dimenticare periodi diversi. Esiste una maggiore fluidità, da un'epoca all'altra, nella conservazione di diverse porzioni di passato. La memoria collettiva sopravvive allo scorrere del tempo fintantoché esisterà il gruppo o la società per cui il ricordo ha un

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Maurice Halbwachs, La memoria collettiva, Milano, Edizioni Unicopli, 2001, p.155 130

significato per la sua esistenza nel presente. «In realtà nello sviluppo della memoria collettiva non ci sono linee di demarcazione tracciate nettamente, come nella storia, ma solo limiti incerti, irregolari. Il presente […] non si contrappone al passato nello stesso modo in cui si distinguono due periodi storici contigui»131. Il limite di tale memoria è rappresentato dalla durata dei suoi membri, a mano a mano che scompaiono soprattutto gli individui più anziani, il gruppo si trasforma e la sua memoria si rinnova continuamente. Pur scomparse, precisa Halbwachs, le tracce di un ricordo collettivo rimangono nella società e possono sempre essere recuperate nella società in ogni momento per tornare a quella memoria. Esistono quindi numerose memorie collettive, quante sono i gruppi che le sostengono; la storia invece si presenta come un'entità unica che vive al di fuori e al di sopra dei singoli gruppi, basata su divisioni nette tra periodi diversi. Non c'è una fluidità nel passaggio da un periodo storico a un altro, ma tutto cambia, anche i gruppi di persone che li vivono e che non sono in contatto tra loro in nessun modo, non sono parte di un'unica realtà in evoluzione. Nell'ottica di Halbwachs la storia propone ogni periodo indipendente e fine a se stesso, proprio perché gli storici si focalizzano sulle differenze tra periodi e avvenimenti per definirli. Nella memoria collettiva ogni gruppo ha la propria storia, ma sono valorizzate le somiglianze tra i gruppi di diverse epoche; e l'intervallo tra un'epoca e l'altra rappresenta un passaggio vitale dove la comunità, senza rotture nette, tende a rinnovare e trasmettere gli schemi di pensiero e il passato che lo caratterizza. Questi intervalli sono come dei punti morti per la storia, momenti in cui nulla accade e quindi non considerabili proprio perché non distinguibili da altri periodi. Halbwachs giunge a definire la storia come "un quadro di ciò che cambia", offre una visione generale sulle trasformazioni che determinano l'alternanza delle società: dove avviene una rottura o un cambiamento profondo infatti, la continuità della memoria collettiva si interrompe e si forma un nuovo gruppo. La storia presenta i suoi avvenimenti come trasformazioni che si ripercuotono su tutto il corpo sociale; «in apparenza, la serie dei fatti storici è discontinua, perché ciascun fatto è separato da quello che lo precede o che lo segue da un intervallo, in cui si può pensare che non sia successo niente. In realtà, chi scrive la storia […], sa bene che per passare da un fatto all'altro bisogna che si realizzino una serie di trasformazioni, di cui la storia percepisce solo la somma»132. In conclusione egli deduce che la storia può fornire un punto di vista esterno sulle dinamiche dei gruppi e considerare la lunga durata, la memoria collettiva invece rappresenta il punto di vista interno al singolo gruppo, con il limite della durata dei singoli membri.

Nella sua rilettura delle teorie di Halbwachs, Jan Assmann (1997) osserva come storia e memoria vengano poste essenzialmente su due piani contrapposti, l'una il contrario dell'altra, l'una inizia quando l'altra finisce. Per Halbwachs la storia non può essere una forma di memoria, perché non può esistere un'entità memoriale unica e universale, solo diverse memorie legate ai singoli gruppi. Assmann precisa come in questa contrapposizione la storia diventi una struttura astratta e

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Ivi, p. 159 132

vuota, costruita attraverso il lavoro degli storici che ricavano i fatti dalle molteplici vicende collettive. A differenza delle memorie collettive, che sono animate dal ricordo, la storia si presenta come una struttura senza alcun legame con le identità degli individui e l'immagine che il gruppo vuole trasmettere. Per questo tra memoria e storia Halbwachs vede solo un rapporto di successione, dove finisce la memoria collettiva di una comunità che ricorda inizia una conservazione del passato disancorata dal ricordo individuale. Jan Assmann recupera il pensiero di Halbwachs e introduce un concetto nuovo nel rapporto tra storia e memoria. La memoria collettiva dei gruppi non trova il suo limite solo nella storia, ma anche in quelle forme di ricordo e sapere organizzato, che potremmo definire memoria culturale, ma che Halbwachs riunisce sotto il termine "tradizione". Le differenze tra memoria e tradizione, secondo Assmann, sono troppo sottili per poter introdurre una distinzione così netta, per questo lo studioso tedesco preferisce abbandonare le categorie del sociologo francese, utilizzando i concetti di memoria comunicativa e memoria culturale, focalizzandosi sulle loro relative differenze133. Nonostante le categorie di Halbwachs possano apparire ancora una volta troppo rigide, non adatte a rendere la complessità della realtà sociale dell'individuo, fanno emergere le differenze evidenti di due atteggiamenti verso il passato: quello della memoria, più soggettivo, indissolubilmente legato al ruolo dell'individuo nella società che abita, e quello storico, oggettivo, basato su una verificabilità dei fatti quale criterio sostanziale della ricostruzione del passato.

Barbara Misztal riprende alcuni aspetti della dicotomia di Halbwachs per sottolineare come, se la storia richiama a una distanza critica e a una spiegazione documentata sui fatti del passato, la memoria invece punti a una mitologizzazione del passato, che metta in evidenza selettivamente le somiglianze con il presente per ottenere un effetto di identificazione emotiva, soggettiva e arbitraria134. Dove la memoria è un flusso di pensieri irregolare, senza confini netti e relativo alla comunità o all'individuo, la storia è unitaria, critica e impersonale e presenta una periodizzazione certa; quindi se la memoria è vissuta, la storia è insegnata, in luoghi istituzionali deputati. La storia si compone delle molteplici storie dei diversi gruppi sociali; tali storie sono anche il contenuto principale delle memorie che restituiscono al gruppo un'immagine di se stesso nel tempo, ma la differenza è quella tra una storia scritta, erudita e appresa, e una storia invece vissuta, imprecisa, meno schematica, che però può contribuire a dare un'immagine più completa dei periodi storici colti.

Per comprendere come si evolve il pensiero intorno al tema del rapporto tra storia e memoria, trovo interessante ricostruire le tappe storiche di questo dibattito. Vorrei osservare se una netta separazione ha ragione di esistere oppure se possiamo accettare che, anche nelle trattazioni storiche, il racconto memoriale abbia un ruolo considerevole accanto ai documenti. Barbara

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Jan Assmann, La memoria culturale, Torino, Einaudi, 1997, pp.17-21 134

Misztal135 sostiene come almeno fino al XIX secolo non ci fosse questo radicale problema di metodo. Sostanzialmente storia e memoria avevano lo stesso peso nella ricostruzione dei fatti, anzi la storia tradizionale si basava sui ricordi che si dava per scontato riflettessero esattamente ciò che era successo, quindi la storia rifletteva i contenuti della memoria. Il ricordo dei testimoni era considerato una prova sufficiente dell'esistenza di determinati fatti e tale da consentire alle persone di credere in quel passato; i limiti della memoria erano poi colmati dalla presenza di documenti scritti e di archivi. In quel contesto il rapporto tra fatto storico e ricordo non era percepito come problematico, storia e memoria non erano considerate due vie alternative (e opposte) per approcciarsi al passato, ma due elementi della stessa operazione di ricostruzione dei fatti, poste sullo stesso piano e di pari rilevanza. Solo nell'800, con l'avanzamento dei processi di istituzionalizzazione e professionalizzazione della disciplina, gli storici cominciarono ad avanzare l'idea di un'autonomia della storia quale campo d'indagine in cui applicare criteri scientifici, rifiutando forme di interpretazione romanzate del passato. Per le caratteristiche delineate sopra, comincia così a stabilirsi, anche a livello del dibattito scientifico, una distanza funzionale tra storia e memoria. Gli storici di questo nuovo corso propongono una storia come scienza dotata del linguaggio dell'oggettività e basata sulla verità degli archivi, la memoria invece rimaneva frutto di una visione parziale e soggettiva, soprattutto non scientifica.

Paul Connerton136 mette in evidenza il paradosso alla base di questa nuova corrente di ricerca storica. Gli studiosi che ne furono i principali interpreti, per la maggior parte tedeschi, accordarono una condizione privilegiata alle scienze storiche, disancorando e isolando sempre di più la prassi di interpretazione metodica delle ricerca storica dai processi di interpretazione comune della vita quotidiana. Aumenta così la distanza tra le persone protagoniste della storia e quell'insieme di credenze che formano la tradizione e che hanno determinato il loro comportamento. Si formano quindi due interpretazioni del passato, una storicamente controllata, l'altra legata invece alla tradizione. Il paradosso consiste nel fatto che la pura oggettività rivendicata da questa nuova corrente di studiosi si scontra con il fatto che tale tendenza è inseparabile dal contesto storico e politico in cui nasce, alle origini del nazionalismo. L'attività degli studiosi che rivendicavano una diversa impostazione per l'indagine storica era profondamente legata al sistema politico cui appartenevano, affermando principi validi non per tutti i popoli, ma specchio solo di una nazione. Attraverso l'attività di ricerca storica, sulla loro epoca come sull'antichità, questi storici (Connerton cita Niebuhr, Savigny, Ranke, Mommsen, Troelsch e Meinecke) contribuirono alla formazione di una precisa identità politica e della memoria pubblica di un'epoca. Connerton mette in evidenza come i confini tra storia e memoria risulterebbero meno definiti e definitivi di quanto si vorrebbe a priori: anche i racconti storici possono diventare parte di una narrazione informale e culturalmente diffusa, caratteristica fondamentale della memoria di una comunità. A tale riguardo propone la

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Ivi, pp. 100-101 136

distinzione tra una memoria storica della società e la vera e propria ricostruzione storica. Quest'ultima indica il lavoro dello storico che procede nella ricostruzione del passato attraverso la raccolta e l'interpretazione delle tracce, cioè segni che un certo fatto o azione umana hanno lasciato dietro di sé. Il fatto sarebbe in sé non conoscibile, ma considerando le tracce come prova, spiega Connerton, l'evento è inserito in un procedimento di analisi per induzione. Le tracce di un fatto definibile come storico sono considerate tali sulla base di un resoconto precedente dei fatti che per lo storico risulta vero. Il fatto quindi non è valido e esistente a priori, ma esiste in quanto soddisfa i criteri di verità storica, che gli studiosi applicano sulla base di constatazioni e analisi precedenti al singolo evento esaminato.

Questo processo è possibile perché gli storici costituiscono un'autorità autonoma, indipendente rispetto ai fatti accertati e operano sulla base di criteri di riferimento per esaminare criticamente i fatti. La ricostruzione storica pertanto si distingue dalla memoria storica di una società perché è indipendente dal ricordo di una collettività; è possibile che uno storico recuperi un fatto completamente dimenticato dalla tradizione oppure che sottoponga a verifica un evento di cui una società conserva testimonianza diretta. Il lavoro di ricostruzione, il processo di verifica e l'analisi critica per considerare un dato come prova sono le azioni fondamentali che garantiscono l'autonomia dello storico rispetto alla memoria. I due ambiti non possono però correre su binari separati, è inevitabile un contatto e a volte un reciproco condizionamento, a riprova del fatto che storia e memoria non possano essere considerate due scelte reciprocamente alternative. Connerton infatti riconosce come il lavoro di ricostruzione storica possa ricevere un notevole «impulso orientativo»137 dalla tradizione memoriale di una società, allo stesso modo può determinare dei cambiamenti nell'immagine del passato ereditata dalla memoria storica diffusa. Caso limite di questo reciproco condizionamento sono i regimi totalitari, dove la storia è usata in funzione di una memoria pubblica e di un oblio costruiti a sostegno del potere, e dove le voci contro corrente di testimoni che si oppongono diventano una fonte indispensabile per una ricostruzione storica completa, oltre che per una memoria alternativa.

Dopo la corrente storicistica emersa nel diciannovesimo secolo, la distinzione tra storia e memoria raggiunse l'apice nelle teorie di Halbwachs, che abbiamo già illustrato, con cui l'argomento entra nelle vicende del ventesimo secolo. Barbara Misztal138 continua le tappe di tale dibattito soffermandosi sul momento in cui le maglie strette di questa differenza teorica cominciano ad allentarsi. Prima e dopo la seconda guerra mondiale alcuni storici meno tradizionalisti hanno cominciato a indagare il passato non solo attraverso gli eventi, ma basandosi su elementi come rituali, pratiche collettive e correnti di pensiero; il loro interesse si focalizzava sugli aspetti sociali e culturali di un popolo. Questo nuovo corso di studi storici non solo va a indebolire la rigida separazione tra ricostruzione storica e patrimonio memoriale, ma pone condizioni favorevoli alla

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fondazione di studi specifici dedicati alla memoria (Memory Studies). Negli anni successivi al secondo conflitto mondiale, e in particolare con le lotte per l'affermazione di nuovi diritti civili e l'apertura di nuove vie di comprensione e interpretazione del recente passato bellico, è avvenuta la prima profonda incrinatura nella netta separazione tra storia e memoria. La ricostruzione di Barbara Misztal fa capire molto bene questo cambiamento. Negli anni '60, l'adozione delle fonti orali in campo storico e l'avvento di nuovi ideali portati dai movimenti sociali hanno fatto emergere l'importanza, e forse anche l'esigenza, di una "storia dal basso". Con la messa in crisi dello storicismo conosciuto fino a quel momento, gli studiosi hanno cominciato a interrogarsi sulla reale obiettività di tale metodo scientifico, sul pericolo di un pregiudizio politico alla base che mira invece a annullare tutte le differenze culturali presenti in un unico discorso istituzionalizzato. Il tema della veridicità delle fonti orali ha portato a riconsiderare i modi di rappresentazione del passato e a mettere in discussione una divisione così netta tra storia e memoria. La corrente del criticismo storico, che annoverava tra i suoi maggiori rappresentati Michel Foucault, vedeva le rappresentazioni storiche convenzionali irrimediabilmente contaminate da elementi di controllo e potere, dimostrando così come dietro l'evidenza dei documenti ci fosse la posizione di gruppi privilegiati con maggiori possibilità di accesso alla cultura, e come fosse omessa o messa a silenzio la storia di gruppi minoritari con limitato accesso ai sistemi di diffusione culturale. La ricostruzione memoriale e quella storica non possono più essere considerate azioni innocenti.

Negli anni '80 il monopolio della storia sulla rappresentazione del passato è stato definitivamente destabilizzato. Il crescente approccio multidisciplinare e l'importanza acquisita dagli studi culturali ha fatto emergere negli storici un interesse anche per la ricostruzione memoriale del passato. Il confine netto che divideva storia e memoria come due approcci reciprocamente escludentisi viene a cadere definitivamente, grazie anche a un accresciuto interesse verso il patrimonio memoriale e narrativo dei gruppi più marginalizzati e una maggiore consapevolezza di politiche della memoria in atto nelle società. Dagli anni '90 poi si è cominciato a guardare con interesse alle pratiche commemorative, che mettono in evidenza come il recupero della storia passata sia inserito nella logica delle politiche memoriali pubbliche. Questo ampliamento di campo d'indagine da parte di studiosi e storici ha permesso di comprendere la fluidità reale nel rapporto tra storia e memoria e solo una visione dei due termini come complementari può restituire la complessità del confronto tra individui e società.

A conclusione del percorso storico proposto da Barbara Misztal, per avere un quadro completo di tutte le diverse posizioni, ritengo importante dare conto anche delle voci contemporanee che continuano a considerare storia e memoria come due ambiti inconciliabili, tra questi David Lowenthal e Pierre Nora. Mi soffermerò in particolare sui due autori qui citati perché le loro opere saranno di riferimento anche per lo sviluppo futuro di altri temi dello studio della memoria, precisamente Lowenthal sul concetto di nostalgia e Nora per quanto riguarda il lavoro sui "luoghi della memoria".

Secondo Lowenthal139 la memoria differisce dalla storia sia nel modo in cui la conoscenza del