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Parte 2 IL CINEMA TRA RAPPRESENTAZIONE STORICA E

3. Vukovar: le memorie cinematografiche di una città divisa

3.2 La formazione di una memoria collettiva in tre film di finzione sull'assedio di Vukovar

Come emerge dal quadro storico, dopo la fine del conflitto, la memoria bellica di Vukovar è diventata, proprio per il suo valore simbolico, oggetto di una trasmissione memoriale "a senso unico", basata sull'identificazione etnica di un nemico. Anche in campo cinematografico l'assedio di Vukovar sembra aver ispirato un "contenzioso memoriale" con film, realizzati a pochi anni dalla caduta della città, che da parte serba e croata narrano il percorso di costruzione di un nemico, utile a creare un senso di appartenenza a uno specifico gruppo etnico, prima irrilevante.

Non ci sono molti film dedicati all'assedio di Vukovar, solo pochi documentari e una manciata di film di finzione46. Nei primi anni '90, poco dopo la caduta della città, tre pellicole diventarono i riferimenti cinematografici per il racconto di quegli anni, praticamente contemporanei ai fatti accaduti.

Nel 1992 il regista serbo e veterano del cinema jugoslavo Živojin Pavlović, alla fine della carriera, giunse a Vukovar per girare uno dei suoi ultimi lavori, Dezerter (The deserter, 1992), ispirato al romanzo di Dostoevskij L'eterno marito. Ambientato nel 1991 a Vukovar e poi a Belgrado, il film segue la storia di due amici, ufficiali dell'Armata popolare jugoslava, da sempre innamorati della stessa donna. Il film inizia con la spensieratezza di una gita tra amici negli anni '80 e subito introduce il triangolo amoroso. Si comprende che il perno della vicenda tra Pavle e Aleksa è Nadezda, la moglie fragile di Pavle che ha una storia con l'amico Aleksa. Dopo i titoli di testa l'azione piomba nel 1991, in pieni combattimenti a Vukovar. I due protagonisti sono al fronte, Aleksa è un giudice militare dell'esercito jugoslavo e si trova a condannare a morte un suo commilitone per reato di diserzione e omicidio, ma durante la lettura della sentenza per un lapsus sostituisce il nome del condannato con quello dell'amico Pavle. Con questo transfert psicoanalitico Pavlović anticipa tutti i temi del film: il tradimento della patria e dell'amicizia, il senso di colpa, il rapporto tra amore e morte. Dopo la sentenza Aleksa fa ritorno a Belgrado, mentre vediamo Pavle rimanere a Vukovar a guidare uno dei carri armati dell'assedio. Prima di partire Aleksa attraversa a piedi una via della cittadina crivellata di colpi e sventrata dai bombardamenti, come quelle mostrate in numerosi documentari e reportage televisivi. Dopo questo inizio a Vukovar il film si sposta a Belgrado, dove i due amici si ritrovano: Aleksa scopre che Pavle ha disertato il fronte di Vukovar, ha portato con sé la figlia dal momento che la loro casa è stata distrutta dalla guerra; la moglie di Pavle, amata da entrambi, è morta anni prima e Aleksa capisce che in realtà la ragazza è figlia sua, ma non denuncia l'amico per diserzione, tenta invece di convincerlo a tornare al fronte,

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Tra i documentari, a parte Vukovar - Final cut (2006) di Janko Baljak, di cui mi occuperò nelle prossime pagine, gli altri sono cortometraggi e mediometraggi: Vukovare, ljubavi moja (1993) di Dušan Knežević,

Mjesto sjecanja: Vukovar (2015) di Veljko Bulajić e Vukovarski memento (1993) di Branko Schmidt. Tra le

opere di finzione, oltre ai tre film di Pavlović, Schmidt e Drašković che tratterò a breve, sono presenti anche

Zapamtite Vukovar (Remember Vukovar, 2008) di Fadil Hadžić e il film per la TV Vidimo se (See you, 1995)

portando la figlia in una casa di accoglienza per rifugiati. Dopo la morte della ragazzina, il rapporto tra Pavle e Aleksa si compromette definitivamente. La morte è un tema che ritorna spesso nel film attraverso diversi elementi iconici, come le armi, le tombe davanti alla casa di Aleksa, la fotografia scattata nove anni prima (durante la gita che apre il film) e la scomparsa di alcuni personaggi.

La morte è un continuo richiamo a Vukovar, da cui tornano a Belgrado i soldati nelle bare e da cui i protagonisti non possono allontanarsi spiritualmente, anche se l'azione del film non si sposterà più nella cittadina croata. Vukovar non fa da sfondo alle vicende, ma rimane sempre presente attraverso le immagini televisive che popolano gli spazi di Dezerter. Nella casa di Aleksa infatti, dove è girato gran parte del film, la televisione è spesso accesa e trasmette le notizie dal fronte, da Vukovar e dalla Krajina. Il legame con Vukovar è anche temporale, segnato nel corso del film da un filo conduttore sonoro. La canzone Nikada te zaboravit neću (Non ti scorderò mai) di Velimir Milovanović, che si sente per la prima volta in sottofondo nei titoli di testa dopo la sequenza della gita del 1982, ritornerà più volte nel film in forma diegetica: Aleksa la intona al pianoforte, un gruppo la canta in un programma televisivo. Quel filo conduttore sonoro trasforma Vukovar in un luogo della memoria affettiva dei personaggi e di memoria collettiva anche per gli spettatori, un'immagine tanto efficace del passato proprio perché distrutto e perduto nel presente, come spiega Nora: «these lieux de mémoire are fundamentally remains, the ultimate embodiments of a memorial consciousness that has barely survived in a historical age that calls out for memory because it has abandoned it.»47

Questo luogo della memoria sopravvive solo nei ricordi di un tempo, e Pavlović lo sottolinea nelle due sequenze finali del film. Pavle decide di ripartire per il fronte e lascia ad Aleksa un videocassetta, è il filmino amatoriale che lui stesso aveva girato durante la gita del 1982 a Vukovar. Rivediamo così la sequenza iniziale del film, alcune riprese della città prima della guerra e infine un video-messaggio lasciato da Nadezda, prima di morire, che lo informa di essere innamorata di un altro uomo. La sequenza girata dal regista qui non è più frutto di uno sguardo esterno alla vicenda, ma diventa un filmino amatoriale, un'azione che accomuna i personaggi, il pubblico e il regista stesso, come parte di una generazione che ha assistito ai cambiamenti portati dalla guerra. È un gioco meta-cinematografico che moltiplica la rappresentazione del luogo in un rimando continuo a distanze temporali. Vukovar sembra esistere solo attraverso immagini-tempo della memoria, distanti cronologicamente, che sanciscono sempre un prima e un dopo della distruzione. Nel rimando meta-cinematografico di Pavlović la distruzione non è tanto fisica, quanto piuttosto emotiva e culturale e può essere raccontata e trasmessa solo attraverso il filtro della macchina da presa. Vukovar è stata ricostruita, ma di fatto esiste solo come luogo della memoria e della commemorazione costante della sua distruzione, ecco perché solo l'intervento della "ricostruzione" attraverso il montaggio cinematografico può renderne la vera essenza, la sua storia, il suo

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Pierre Nora, Between memory and history. Les lieux de mémoire, in Representation, n. 26, University of California, 1989

sopravvivere solo nel confronto con lo stato precedente al conflitto. E il regista serbo lo sottolinea in un finale metaforico: Aleksa crede che Pavle sia ormai ripartito per Vukovar, invece un carro armato si ferma davanti a casa sua, ne esce l'amico che subito rientra nel blindato e spara due razzi. Pavlović non mostra la distruzione della casa di Aleksa né la sua morte (solo l'immagine simbolica di una finestra rotta), inserisce invece un lungo piano sequenza delle strade distrutte di Vukovar, una lunga carrellata girata nella città fantasma, che si interrompe alla famosa torre dell'acqua, segno inconfondibile dell'assedio della piccola città danubiana.

Non è stato facile girare un film come Dezerter all'inizio degli anni '90 nelle terre coinvolte nella dissoluzione jugoslava. Nicole Janigro48 racconta che il film è stato accolto come una doppia provocazione dalla società serba: per il titolo che sembra alludere ai giovani scappati per evitare il conflitto, e per la trama che, su quella guerra, mette a nudo un'ambiguità profonda all'interno dell'Armata popolare, dove il nemico da ricercare e annientare è quello dei propri fantasmi interiori. Fin dagli anni '60 con l'esperienza dell'Onda Nera jugoslava, Živojin Pavlović aveva sempre mostrato uno spirito critico nei confronti del potere, denunciando le crepe sociali del regime titino. Ha continuato a esercitare uno sguardo critico anche contro le forme di potere nazionalista che si stavano formando nei singoli paesi, soprattutto in Serbia, questo fa di Dezerter «l'ennesima e lucida testimonianza dell'intellettuale serbo contro le storture e le contraddizioni del proprio paese»49.

Tra coloro che hanno pagato il prezzo maggiore per la partecipazione al film c'è l'attore Rade Šerbedžija, nel ruolo di Pavle, famosissimo interprete del cinema e del teatro jugoslavo. Nato in Croazia e di origine serba, allo scoppio della guerra decise di non schierarsi e soprattutto continuò a lavorare con Belgrado, pur criticando apertamente il regime di Milošević. Per le sue posizioni di "jugoslavo" subì attacchi nei media, minacce, boicottaggi, finché non decise di trasferirsi all'estero. Per la sua partecipazione al film di Pavlović, regista con cui aveva già realizzato numerosi film, fu definito "cetnico" e «vandalo che aveva fatto un film cetnico sulle ossa dei difensori croati di Vukovar nel 1991»50. Nelle diverse smentite alla polemica che crebbe successiva all'uscita del film, Šerbedžija cercò di spiegare che l'attualità della pellicola e lo spostamento dell'azione da Vukovar a Belgrado denunciavano in realtà la posizione dell'Armata popolare, non più al servizio di tutti i popoli jugoslavi, ma ai comandi di Milošević. La vicenda di Šerbedžija mostra come, nel contenzioso tra Serbia e Croazia, anche i corpi e i volti di figure pubbliche come attori e intellettuali, simboli di una condivisione culturale del periodo precedente, diventino in breve tempo "terreni memoriali" su cui alzare una bandiera nazionale.

Le contestazioni intorno alla rappresentazione della guerra a Vukovar non si fermarono con il film di Pavlović, anzi, è il 1994 l'anno che segnò una vera e propria "battaglia memoriale" sul grande

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Nicole Janigro, L'esplosione delle nazioni. Il caso jugoslavo, Milano, Feltrinelli, 1993 49

Giuseppe Ghigi (a cura di), Alpe Adria Cinema. Incontri con il cinema dell'Europa centro-orientale

1993/1994, catalogo, Trieste, Alpe Adria Cinema Edizione, 1994, p. 58

schermo. Nel 1995 Serbia e Croazia candidarono alla selezione degli Oscar per il miglior film straniero ciascuno un film su Vukovar, due storie sulla guerra, raccontata naturalmente da due punti di vista opposti. In Vukovar, jedna priča (Vukovar, a story, 1994) il regista serbo di origine bosniaca Boro Drašković racconta la storia d'amore tra un serbo e una croata iniziata prima del conflitto e spezzata dalla guerra, mostrando lo sviluppo di un nazionalismo pericoloso da entrambe le parti coinvolte e soprattutto facendo emergere il dramma di una popolazione civile "mista". Da parte croata il regista Branko Schimdt è tra le fila di quegli intellettuali che non accettarono una colpa condivisa, il suo Vukovar se vraća kući (Vukovar: the way home, 1994) presenta chiaramente la dicotomia "vittime croate e aggressori serbi": è la storia di un gruppo di rifugiati croati che vive nei vagoni di un treno fermo alla stazione fuori città in attesa di poter tornare a casa a Vukovar.

Questi film ingaggiano dentro e fuori lo schermo una battaglia a suon di memorie e contro- memorie, dove ritengo agiscano due processi cruciali: la costruzione o la ricerca della figura di un nemico e l'uso/riuso di sequenze di repertorio dell'epoca, delle strade di Vukovar distrutta, diffuse attraverso i piccoli schermi televisivi presenti nei film. Questi due elementi sono le componenti che accomunano le rappresentazioni cinematografiche su ciò che è successo a Vukovar e gli aspetti presenti nella narrazione memoriale attuale: la città oggi esiste per rievocare quell'immagine di distruzione del passato e tale ricordo avviene solo di riflesso, grazie a una presenza nemica che ne ha causato le vittime e che ora ne potrebbe minacciare il ricordo.

La scoperta del volto del nemico tra le mura di casa è proprio il finale della storia tra il serbo Toma e la croata Ana nel film di Boro Drašković Vukovar, a story. Alcuni critici hanno interpretato il film secondo lo schema dell'amore contrastato di Romeo e Giulietta51: La considero un'interpretazione insufficiente e superficiale che non tiene conto del contesto circostante: i due amanti shakespeariani alla fine muoiono insieme a dimostrazione che l'odio tra le loro famiglie non aveva spezzato il loro rapporto. Nel finale di Drašković i due sposi non muoiono, ma l'odio tra le loro due nuove nazioni è riuscito a compromettere irrimediabilmente il loro legame.

Ana e Toma sono due giovani, provenienti da famiglie miste, che nella Vukovar pacifica si sono innamorati e sposati. Le prime sequenze mostrano il loro idillio, sullo sfondo il Danubio e il museo cittadino, unici richiami ad una passata cultura di convivenza; la città e la torre dell'acqua sono già distrutte (il film è uscito nel 1995), ma accuratamente riprese da distante. La felicità dell'inizio contrasta con il racconto affidato alle voci fuori campo dei due protagonisti, che saranno i narratori dell'intera vicenda fino alla fine, alternando punti di vista opposti sui fatti accaduti. Le voci dei narratori protagonisti annunciano già come è andata a finire: la loro storia d'amore era comune a tante altre in quell'epoca, ma come è potuto accadere che l'amore si trasformasse in un odio insensato?

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Solo per fare un esempio, Stephen Holden titola la sua recensione Serb Is Romeo, a Croat Juliet (The New York Times, febbraio 1996)

Le prime immagini di repertorio sono trasmesse dalla televisione nella nuova casa di Toma e Ana, è il 1989 e sono le famose sequenze della caduta del muro a Berlino. Il corteo matrimoniale sfila tra le vie della città, i palazzi sono già distrutti, segno inequivocabile del tragico finale, ma il filo della narrazione ci fa comprendere che la guerra deve ancora scoppiare. È interessante notare la scelta del regista di ambientare questa parte del film nella Vukovar già devastata, e non magari ricostruire l'azione in studio o girare la breve scena nelle vie di una cittadina simile. Come la voce fuori campo anche l'immagine mostra già come il film andrà a finire, sembra che non ci sia un prima e un dopo, lo spettatore assiste solo a un ritratto di distruzione della città. Il corteo matrimoniale è interrotto da una manifestazione che vede contrapposti un gruppo a sostegno del partito HDZ e dell'indipendenza croata, un altro inneggiante la Jugoslavia. Gli sposi e gli invitati si riparano in un negozio di elettrodomestici in centro, dove gli schermi televisivi degli apparecchi in vendita trasmettono nuove immagini di repertorio, la storia collettiva procede parallela alla trama del film. I piccoli schermi del negozio trasmettono alternativamente le immagini dei notiziari che mostrano contemporaneamente le imponenti manifestazioni nazionaliste a Belgrado e a Zagabria. I personaggi sono sconvolti, sembrano assediati dai cori "Serbia" e "Croazia", emessi dai numerosi apparecchi che li circondano. Poco dopo il matrimonio Toma è arruolato dall'Armata popolare e deve lasciare Ana, di nuovo l'annuncio della partenza è accompagnato dalle immagini dei servizi televisivi sullo scoppio della guerra, così come i filmati di propaganda per l'arruolamento di volontari irregolari accompagnano i primi giorni di Toma nell'esercito. Dalla partenza del ragazzo fino all'inizio dei bombardamenti su Vukovar il film ricostruisce, a mio parere in modo molto efficace, il clima che stava preparando al conflitto aperto: le scritte intimidatorie sulle case, le prime uccisioni, le minacce a persone di entrambe le etnie soprattutto alle famiglie miste. I genitori di Toma partono per Belgrado e Ana si trasferisce dalla sua famiglia, al telefono annuncia al marito che aspetta un bambino, intanto la voce fuori campo di Toma racconta le continue diserzioni e lo spaesamento di un esercito che non sa per chi sta combattendo. Dopo l'inizio dell'assedio a Vukovar il film procede in un'escalation di violenza, sullo sfondo della reale città distrutta, dove gli unici elementi per distinguere i due eserciti, che si sparano tra le macerie, sono le bandierine apposte sugli elmetti militari.

Le vicende dei due protagonisti sono continuamente scandite dalle immagini di repertorio dei servizi televisivi, le sequenze "reali" di quella guerra. Le voci dei due narratori esterni si ricongiungono platonicamente intorno al pensiero del museo archeologico, dove i due giovani si sono innamorati e da cui anche il film è partito, segno di quella cultura cittadina ridotta in macerie. Ana è rimasta sola in città e Toma è impegnato nei combattimenti con l'Armata popolare. L'apice di tale escalation è rappresentata dalla sequenza in cui Toma è un cecchino appostato su un tetto davanti alla propria casa; attraverso il mirino del fucile può vedere Ana che, sotto il fuoco dell'esercito popolare, scappa lasciando la casa dove è tornata dopo aver perduto i genitori. Toma si trova dalla parte della barricata che sta distruggendo la sua stessa casa e uccidendo sua

moglie, senza successo urla tra le lacrime di fermare l'attacco. Ana riesce a salvarsi e in piena guerra nasce il bambino. Le voci fuori campo si interrompono per intervenire solo nel finale: Toma dice che per rispondere alle domande sulla guerra (chi, cosa, dove, quando) occorrerebbe considerare non solo i giorni e gli anni recenti, ma l'intero secolo passato, e preservarne la memoria; Ana invece si sente come dopo un lungo incubo e il risveglio è terribile. I due si rivedono solo alla stazione degli autobus, poco dopo la fine dell'assedio, senza scambiarsi una sola parola. Si riconoscono attraverso i finestrini dei bus, ciascuno diretto verso una destinazione opposta: Belgrado e Zagabria. Poco dopo la partenza Toma fa fermare il suo autobus, scende per restare a Vukovar.

Qui il film potrebbe chiudersi in una scena che lascia l'amarezza di un incontro mancato, un ricongiungimento impossibile (che ricorda molto, con le dovute distinzioni, il finale di Il dottor

Zivago). Qui invece, sul movimento di Toma che cammina verso la città, la camera si alza e inizia

un lungo piano sequenza, una ripresa aerea della devastazione di Vukovar e dei dintorni, sulle note della canzone Budenje ranog proleća (Il risveglio precoce della primavera) del cantante serbo Bajaga. Giunta al fiume la macchina da presa vira e torna indietro, riprendendo dall'alto nuovamente la città in macerie da un'altra prospettiva, fino alla torre dell'acqua.

Come altri film serbi sulla guerra (penso soprattutto a Pretty Village, Pretty Flame di Srđan Dragojević, uscito nel 1996), anche quello di Drašković sollevò numerose critiche, accusato principalmente di non indicare chiaramente i responsabili dell'aggressione e di voler spartire le responsabilità tra entrambe le etnie coinvolte. Daniel J. Goulding52 osserva come il film invece prenda le parti, ma di un'umanità e di una tolleranza multietnica, che nel finale risulta sconfitta. Quando il film uscì negli Stati Uniti nel 1996 scatenò una polemica53: la comunità croato-americana scrisse delle lettere al New York Times e al Washington Post, accusando il film di essere un prodotto della propaganda serba e di denigrare a livello internazionale i croati. Inoltre una proiezione del film organizzata presso le Nazioni Unite venne improvvisamente cancellata dopo le proteste della missione croata. E la questione non sembra chiudersi negli anni '90, infatti nel 2009 il critico cinematografico Jurica Pavičić54 riporta che il film di Drašković sarebbe stato nel programma del Zagreb Film Festival di quell'anno. Quando però il produttore si accorse che la pellicola era stata inserita nella sezione "Film e propaganda", insieme alle opere realizzate in Corea del Nord e nella Germania di Hitler, decise di ritirare il film dal festival. In un articolo pubblicato per Image & Narrative Edward Alexander55 sottolinea come effettivamente il film manchi di rappresentare, nel''assedio, l'azione delle truppe paramilitari serbe e non faccia riferimento al

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Daniel J. Goulding, Liberated cinema. The Yugoslav experience, 1945-2001, Bloomington-Indianapolis, Indiana university press, 2002

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Dina Iordanova, Cinema of flames. Balkan film, culture and the media, Londra, British Film Institute, 2001 54 Jurica Pavičić, Film me iznervirao zbog te vrste političke retorike, in Jutarnji, 2009, http://www.jutarnji.hr/kultura/film-i-tv/j.-pavicic-film-me-iznervirao-zbog-te-vrste-politicke-retorike/2844575/