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Parte 1 MEMORIA, OBLIO E TRAUMA

4. Forme dell’oblio

4.3 Amnesia culturale, negazionismo e revisionismo

Memoria e oblio sono due facce dello stesso meccanismo. Sul piano pubblico abbiamo visto come la memoria possa facilmente diventare strumento nelle mani del potere e, attraverso le istituzioni dedicate, veicolo di trasmissione per una determinata interpretazione del passato e di un sistema di valori, che omette o nega altre memorie o interpretazioni alternative di quello stesso passato. Se è vero che la memoria della sfera pubblica possa essere "colonizzata" dagli interessi dei gruppi dominanti, anche l'oblio può servire in questo senso. Paolo Jedlowski173 scrive, infatti, che nessuna memoria è concepibile senza l'altra faccia della sua dinamica. L'oblio può essere prodotto dalla natura stessa della mente umana, in quanto le sue capacità di percezione e immagazzinamento sono limitate, oppure a causa della deperibilità dei supporti materiali che conservano l'eredità del passato, ma l'oblio può essere generato anche intenzionalmente nell'ambito della memoria pubblica.

La censura manifesta e dichiarata è un fenomeno ormai raro nelle moderne società democratiche, ma esistono forme più sottili di censura silente che, se operano nel sistema dei mezzi di comunicazione di massa, riescono a veicolare con estrema facilità una certa versione del passato e generare un oblio intenzionale. La dimenticanza volutamente prodotta agisce sulla sfera pubblica, spazio reale o metaforico, che presenta due funzioni in relazione alla memoria: è il luogo di confronto delle diverse memorie collettive presenti all'interno della società dove, nonostante il prevalere di un gruppo memoriale sugli altri, rimane la possibilità di un confronto tra rappresentazioni differenti del passato; la sfera della memoria pubblica inoltre mostra i criteri di plausibilità e credibilità all'interno dei quali le diverse memorie collettive dei gruppi devono collocarsi per essere presenti nella società. In questa dimensione agisce anche l'oblio pubblicamente prodotto, ciò che la memoria pubblica non comprende diventa irrilevante e quindi si perde. Grazie anche all'azione dei media le questioni che non si allineano all'immagine pubblica di un popolo o di un paese (ad esempio crimini compiuti) scompaiono dalla sfera pubblica. Come vedremo nella seconda parte della ricerca, questo descrive bene il caso della Serbia e la rimozione dalla sfera pubblica di un'assunzione di responsabilità nelle guerre jugoslave.

Esistono delle forme di oblio attive e passive. La forma attiva è condotta come attività sociale e istituzionale, mira a definire come e cosa dimenticare e, a livello storico, può condurre a una falsificazione sistematica, a una versione del passato discordante da quella delle vittime. Anna Lisa Tota174, confrontando i due casi italiani delle stragi alla stazione di Bologna (1980) e sul treno

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Paolo Jedlowski, Media e memoria. Costruzione sociale del passato e mezzi di comunicazione di massa, in Marita Rampazi, Anna Lisa Tota (a cura di), Il linguaggio del passato. Memoria collettiva, mass media e

discorso pubblico, Roma, Carocci editore, 2005

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Anna Lisa Tota, L'oblio imperfetto. La dislocazione della memoria della strage sul treno 904 (23 dicembre

1984), in Marita Rampazi, Anna Lisa Tota (a cura di), Il linguaggio del passato. Memoria collettiva, mass media e discorso pubblico, Roma, Carocci editore, 2005

rapido Napoli-Milano (1984), sostiene che per analizzare l'oblio come risultato di un'azione culturale occorre concepire la dimenticanza in modo processuale, l'esito complesso di un intreccio tra fattori istituzionali e scelte individuali, quotidiane, che hanno portato all'esclusione dalla sfera pubblica di un pezzo di passato. Per comprendere come funziona l'oblio sociale è importante considerare le circostanze, anche minime ma ripetute, e le modalità del discorso pubblico che forniscono le basi dell'oblio.

I modi di produzione dell'oblio sono molteplici e a diversi gradi di intensità: le memorie dislocate, di cui abbiamo parlato nel capitolo dedicato alle pratiche commemorative, ne sono un esempio. L'amnesia culturale invece rappresenta un caso limite. Si tratta di una situazione tanto rara quanto radicale, potremmo definirla un oblio perfetto e completo, un contesto sociale in cui non vi sia alcuna forma culturale che tenga vivo il ricordo di un fatto passato. L'amnesia culturale non permette alcuna forma di iscrizione di quell'evento nello spazio pubblico, impedisce lo sviluppo di una narrazione di quel passato, di conseguenza il ricordo non esiste. Si tratta della forma più riuscita di oblio istituzionale, la più efficace, in quanto con il susseguirsi delle generazioni, senza forme di rappresentazione di un certo passato, se ne impedisce la sedimentazione in forme di memoria sociale o culturale. L'amnesia culturale è un caso limite, ipotizzabile più nella teoria che osservabile nella pratica, però è un orizzonte ipotetico che permette di studiare il processo di oblio collettivo nel suo principio, inoltre richiama a una dimensione morale del ricordo per cui la contrapposizione tra memoria e oblio diventa un confronto tra giustizia e ingiustizia all'interno delle società democratiche. Se l'oblio collettivo può essere una forma rara, le nostre società sono piene di forme silenti di memorie senza dimora e riconoscimento pubblico. A contrastare la minaccia di un'assenza totale di ricordo ci sono gruppi di pressione o minoranze memoriali (ad esempio associazioni delle vittime) che resistono contro forme di ridimensionamento o negazione del passato; ad esempio nella Bosnia post-bellica è possibile osservare l'azione costante delle associazioni in memoria delle vittime che tengono vivo il ricordo e continuano nella ricerca incessante dei corpi assenti e negati.

Legato alla dimensione morale della memoria è anche il dibattito intorno a negazionismo e revisionismo, due concetti che riguardano il lavoro dello storico, ma che ho deciso di inserire in un'analisi sulla memoria, vedendo come fine ultimo della rivalutazione del passato storico la consegna all'oblio di una determinata versione dei fatti.

I fenomeni di negazionismo e revisionismo più studiati riguardano l'Olocausto, ma le riflessioni emerse su questo fatto storico globale sono diventate la base per lo studio di altre situazioni di conflitto meno conosciute e riletture del passato storico che passano maggiormente in sordina e in cui è possibile osservare ciò che nei decenni è accaduto con lo sterminio nazista. Questa ricerca tratta nello specifico il conflitto nell'ex-Jugoslavia, non sono passati molti decenni dalla fine delle guerre nei Balcani, ma ciò che è accaduto con l'Olocausto durante la seconda guerra mondiale, e gli studi successivi non solo storici ma anche sociologici, hanno reso più consapevoli e attenti

studiosi e osservatori. Ciò che è avvenuto in Europa negli anni '90 forse non era poi così nuovo, forse si avevano già gli strumenti per riconoscere le ideologie e i meccanismi socio-politici che hanno portato ai conflitti nella regione. Ho trovato conferma nelle parole di Franco Ferrarotti, nel suo libro La tentazione dell'oblio (la prima edizione è del 1993, proprio nei primi anni della guerra balcanica): «Di fatto, oggi (1992) ciò che avviene nella ex-Jugoslavia, la lotta fratricida (ma c'è guerra che non sia fratricida?) fra serbi, croati e musulmani presenta caratteristiche analoghe allo sterminio tentato dai nazisti. Le campagne per la "pulizia etnica", che già nel termine evocano fantasmi nazistici, hanno riportato ai nostri occhi increduli i campi di concentramento, uomini e donne smagriti, dagli occhi infossati e dai corpi piagati dietro il filo spinato, — tutto uno spettacolo già visto che sa di Buchenwald e Auschwitz e ricopre tutta l'umanità di vergogna»175. La vicenda dell'Olocausto diventa un riferimento importante non solo per la conoscenza di fasi storiche, cause, conseguenze, ma anche per la dimensione memoriale che questo evento ha assunto e la rilettura che se ne è fatta nel tempo per la trasmissione alle nuove generazioni di un imperativo morale del ricordo. Non solo cosa ricordare, ma come ricordarlo. Negazionismo e revisionismo sono due concetti dell'analisi storica, ma il fine ultimo di una messa in discussione dell'interpretazione storiografica rimane la memoria, oppure l'oblio.

Per negazionismo si intende quell'insieme di affermazioni con cui, attraverso l'uso di un revisionismo antistorico, alcuni fatti della storia contemporanea non solo sono reinterpretati, ma ne viene addirittura negata l'esistenza, in modo specifico fatti legati a fascismo e nazismo. L'aspetto interessante e subdolo di negazionismo e revisionismo, consiste nel fatto che i seguaci di tali posizioni non giungono a negare l'esistenza della Shoah (sarebbe difficile, impossibile, da sostenere), ma negano la sistematicità dello sterminio e procedono a un revisionismo delle responsabilità del Terzo Reich nell'eliminazione in massa. Lo sterminio è fatto rientrare in una dinamica bellica, non nei piani e negli obiettivi della macchina hitleriana, quindi non è possibile dimostrare che vi fosse un'eliminazione pianificata e organizzata in tutta Europa. Da questo punto di vista i negazionisti negano l'esistenza delle camere a gas e rifiutano qualsiasi documento o testimonianza che attesti lo sterminio programmato, punto da cui ripartire, secondo loro, per riscrivere la storia. Allo stesso tempo i negazionisti chiedono a chi sostiene l'esistenza della Shoah prove irrefutabili che loro possano vagliare e giudicare, assumendo così il ruolo di storici revisionisti, liberatori dalla menzogna della storia largamente conosciuta, viziata dall'esigenza di creare le condizioni storiche e morali per la nascita e lo sviluppo dello Stato di Israele.

Dal lavoro presente dello storico, il negazionista con le proprie teorie si proietta al futuro della memoria, cioè sull'immagine del Terzo Reich. Come scrive Claudio Vercelli176, infatti, il negazionismo deve essere inteso sul piano metodologico, come un attacco al lavoro dello storico, e sul piano ideologico (che io definirei anche memoriale) come tentativo di restituire un'immagine

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Fanco Ferrarotti, La tentazione dell'oblio. Razzismo, antisemitismo e neonazismo, Roma-Bari, Editori Laterza, 2001, p. 101

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del nazismo e del Terzo Reich legittimabile proprio perché privata degli aspetti più brutali e inaccettabili; in questo il negazionismo vuole reinterpretare la storia per darle un significato nuovo. Della Shoah i negazionisti mettono in discussione la natura tecnologica (cioè le camere a gas e i forni crematori), il numero di morti (sei milioni), e la progettualità dello sterminio. Spiegano invece le morti per mano del nazismo come prigionieri, rinchiusi in campi di concentramento non di sterminio, uccisi principalmente da malattie e inedia; gli ebrei erano riconosciuti come comunità ostile e furono trattati come nemici in guerra, il loro imprigionamento fu il risultato dell'evoluzione del quadro bellico, ma i morti furono al massimo due o tre milioni, infine riguardo alla "soluzione finale" non ci sarebbe stata una politica nazionalsocialista di sterminio, ma solo il progetto di una deportazione della popolazione ebraica fuori dai confini del Reich. Ne consegue quindi che, secondo negazionisti e revisionisti, i resoconti e i documenti (compresi fotografie, memorie scritte, documenti ufficiali del regime) sulla Shoah sarebbero dei falsi creati appositamente dagli Alleati contro la Germania e poi riutilizzati dagli ebrei in favore della creazione di un proprio stato nelle terre palestinesi, le testimonianze dei sopravvissuti sono inattendibili così come confessioni e dichiarazioni di ex-nazisti perché estorte con la violenza.

A pochi anni dalla fine del conflitto nei territori ex-jugoslavi è ancora acceso il dibattito su alcuni fatti di quella guerra, come il riconoscimento del genocidio di Srebrenica e dei territori limitrofi, la responsabilità dell'assedio di Vukovar o della pulizia etnica dell'operazione "Tempesta" in Croazia. Togliendo dalle teorie negazioniste e revisioniste i riferimenti specifici alla seconda guerra mondiale, sembra di ritrovare alcuni aspetti in comune con le controversie intorno a questi conflitti più recenti, che sono sottoposti a diverse interpretazioni a seconda della componente nazionale che li riporta.

La negazione della Shoah è cominciata prima del suo riconoscimento storico, per mano dello stesso Reich che ha cominciato a cancellare tracce fisiche e documentarie in corso d'opera, una forma di negazione che ha fatto scuola. Poco dopo la strage dell'11 luglio 1995 nella zona di Srebrenica, le fosse comuni principali furono riaperte (dal satellite si vedeva il cambiamento di colore della terra in quella zona) e i resti furono dispersi in fosse comuni minori, più difficili da individuare, infatti, tuttora rimangono numerosi i dispersi e non tutte le fosse sono state trovate. Come scrive Vercelli riguardo al nazionalsocialismo, la negazione del crimine è connaturato in questa politica in quanto impresa in sé criminale. La negazione del crimine è cominciata in seno al regime stesso con l'adozione di un linguaggio specifico di copertura, allusivo e metaforico, la distruzione della documentazione burocratica e d'archivio e la disintegrazione dei corpi e delle identità delle vittime. Cancellando le tracce di un'esistenza precedente ed eliminando i corpi si voleva negare una memoria ai morti, alle ceneri dei corpi corrispondeva l'oblio delle loro identità.

Concludo con una riflessione di Pierre Vidal-Naquet177 che ho trovato molto interessante riguardo al rapporto tra negazionismo, revisionismo storico e memoria. Una delle sue opere si intitola Gli

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assassini della memoria, espressione che, non a caso, lo storico prende da Yerushalmi e da quel

convegno sugli usi dell'oblio di cui ho già parlato. Chi sono gli assassini della memoria? Non della storia, come ci si potrebbe aspettare da uno storico. Negando un passato, non è possibile uccidere la storia se esistono le evidenze documentarie che un fatto è realmente accaduto e come è avvenuto, ma nel racconto di quel fatto è possibile ucciderne la memoria. Nel capitolo omonimo Vidal-Naquet sostiene che negare un fatto come la Shoah non è solo un oltraggio alla disciplina dello storico, che ha gli strumenti per smontare tutte queste teorie, ma è soprattutto un attentato alla memoria collettiva e individuale, perché la Shoah appartiene alla memoria di ciascuno anche di chi non l'ha vissuta direttamente. Il tentativo ben organizzato di coprire un crimine può diventare un documento al servizio degli storici, il pericolo più grave del revisionismo invece è il tentativo di consegnare all'oblio gli aspetti più aberranti di quel crimine. Questo riguarda uno degli aspetti che maggiormente distinguono la storia dalla memoria, il suo potere non solo di conservare, ma di ricreare e ricostruire, in tale dinamica occorre un confronto con l'oblio.

La memoria ha il potere di ri-presentificare il passato, renderlo attuale, ma in questa operazione seleziona e qualcosa tralascia; ecco che ogni ricostruzione memoriale porta in sé il rischio della dimenticanza, la tentazione all'oblio, che nella dimensione collettiva significa come un popolo guarda a se stesso, che immagine consegna alle generazioni future, e come viene considerato nella storia globale. «L'oblio è l'ultimo rifugio di coloro che preferiscono seppellire tutto, che non hanno il coraggio di guardare negli occhi il proprio passato, che sperano di cancellarlo come un brutto sogno: amnistia sommaria collettiva attraverso l'amnesia di massa»178.

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