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Parte 1 MEMORIA, OBLIO E TRAUMA

6. Trauma e memoria

6.3 Trauma culturale

Il rapporto tra trauma e memoria non riguarda solo la dimensione psicologica e individuale; quando si affaccia alla sfera pubblica, allora è possibile parlare di trauma culturale. Una delle più importanti dissertazioni sull'argomento è offerta dal lavoro di Alexander, Eyerman, Giesen, Smelser, Sztompka. Ron Eyerman215 scrive come solitamente si cerchi di definire il trauma attraverso categorie psicologiche e psicoanalitiche, ma è interessante chiedersi se il trauma possa agire ad un livello collettivo e culturale, quando cioè una comunità percepisce di aver vissuto un evento di portata tale da lasciare segni indelebili nella coscienza collettiva, determinando una nuova identità futura. Il trauma culturale non colpisce ogni singolo membro del gruppo, non si tratta di un'esperienza individuale, ma è percepito da tutti come risultato di un evento che ha determinato uno strappo irripetibile nel sistema di significati collettivamente condivisi. Per questo è necessario reimpostare tale sistema includendo l'evento traumatico al suo interno che, per essere rielaborato, deve essere spiegato e reso coerente all'interno della sfera pubblica.

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Ron Eyerman, Il passato nel presente: cultura e trasmissione della memoria, in Marita Rampazi, Anna Lisa Tota (a cura di), La memoria pubblica. Trauma culturale, nuovi confini e identità nazionali, Torino, Utet, 2007

Jeffrey C. Alexander216 ha dato un contributo fondamentale nella definizione del trauma oltre il dominio più prettamente psicoanalitico, osservando invece i processi sociologici che agiscono nella definizione dell'identità collettiva. Egli infatti sostiene che il concetto di trauma culturale possa essere compreso come fenomeno empirico alla base di processi per la creazione di nuove e significative correlazioni tra eventi e strutture sociali. Sotto questa luce il trauma culturale chiama in campo una responsabilità sociale e politica in quanto può funzionare come elemento di coesione e identificazione per gruppi sociali e intere nazioni. Il trauma viene utilizzato come strumento culturale che definisce l'identità di un gruppo, per cui l'individuazione della causa di sofferenza determina una distinzione tra un "noi" e un "loro": il noi si costruisce sul mancato riconoscimento del dolore altrui.

La teoria di Alexander sulla formazione del trauma culturale nasce dalla contrapposizione a una "lay trauma theory"217, secondo cui i traumi sarebbero una naturale conseguenza di certi eventi che distruggono il benessere di una collettività. Secondo tale teoria l'effetto traumatico è percepito come una normale reazione dell'essere umano di fronte a determinati eventi. La psicoanalisi infatti ci ha mostrato come a livello individuale si attivi un meccanismo di difesa attraverso la rimozione del ricordo dell'evento che riemerge sotto forma di reazioni inconsce emozionali.

La teoria di Alexander invece mostra la sua originalità uscendo dalla sfera individuale e analizzando i fenomeni che utilizzano il trauma collettivo. Considerando il fatto che nella dimensione pubblica il trauma possa agire senza che l'evento abbia coinvolto direttamente alcuno dei suoi membri, Alexander rifiuta di considerare che siano gli eventi intrinsecamente a creare traumi collettivi, ma il trauma è un'attribuzione socialmente mediata. E tale attribuzione può avvenire subito dopo l'evento o addirittura come conseguenza di un fatto traumatizzante che non è mai realmente accaduto: il trauma può essere costruito sulla base di «imagined traumatic event»218, dove per imagined non si intende semplicemente immaginato, ma legato all'immaginario e quindi intrinseco al processo di rappresentazione. L'immaginario contribuisce alla costruzione del trauma sia se si riferisce a qualcosa che si è veramente verificato nella comunità sia a qualcosa che non è mai successo. Il potere dell'immaginario trascende la questione della veridicità dei fatti, perché solo attraverso di esso, nel processo di rappresentazione, i fatti assumono il valore di esperienza: il significato traumatico può essere attribuito a fatti non per la loro reale atrocità (non principalmente per quello), ma perché sono creduti atroci e come tali hanno delle ricadute sulla percezione dell'identità collettiva del gruppo.

Proprio perché l'identità individuale come quella collettiva è legata a un sistema di riferimenti, il senso di sicurezza dei singoli membri si basa su un sistema di aspettative culturali e emotive

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Jeffrey C. Alexander, Towards a theory of cultural trauma, in Jeffrey C. Alexander, Ron Eyerman, Bernhard Giesen, Neil J. Smelser, Piotr Sztompka, Cultural trauma and collective identity, Berkeley, University of California press, 2004

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Ivi, pp. 2-4 218

garantite dall'appartenenza ai gruppi sociali di cui sono membri. Si tratta di una stabilità di significati condivisi più che di azioni concrete. Che le strutture di significato siano sconvolte e destabilizzate, non è il risultato di un evento particolare, ma di un processo socioculturale, che ha imposto con successo un nuovo sistema di classificazione. Tale processo culturale è sottoposto all'influenza delle strutture di potere e dell'abilità di certi agenti sociali. Il trauma culturale nasce da eventi che portano da una crisi sociale a una crisi culturale e tale passaggio si basa sulla distinzione tra i fatti e la loro rappresentazione, in quello spazio prende forma il processo traumatico. Il trauma non è la conseguenza di una sofferenza collettiva, ma è la reazione a un dolore che, per quel gruppo sociale, costituisce il senso della propria identità, e così avviene nel momento in cui determinati influenti attori sociali decidono che quel dolore diventi una rappresentazione simbolica della minaccia al fondamento del senso di sé collettivo.

Gli agenti del processo traumatico sono carrier groups, gruppi dirigenti che occupano posizioni particolari nella struttura sociale e che hanno interessi sia materiali che ideali nella sfera pubblica. Grazie al loro talento discorsivo esercitano un'influenza sulle strutture di significato collettive, si tratta di élite istituzionali, religiose o generazionali che, favorite anche da una determinata situazione storica, riescono a modificare le risorse simboliche sociali. Tali gruppi dirigenti sono responsabili della creazione di una nuova master narrative della sofferenza come risultato di un processo rappresentativo e figurativo che, per essere efficace, deve dare delle risposte a quattro quesiti fondamentali: cosa è realmente accaduto (natura della sofferenza); quale gruppo di persone è colpito dalla tragedia e quindi dal trauma (natura della vittima); quale relazione si instaura tra le vittime e la società più generale; chi è il responsabile del trauma (attribuzione di responsabilità). Nella creazione di una nuova narrazione ufficiale avviene un processo di ri- classificazione culturale che produce la storia fondante di una comunità che lì vi riconosce il proprio trauma. Si tratta soprattutto di un atto linguistico che, per diventare la versione ufficiale, necessita di arene istituzionali attraverso cui il messaggio si diffonda e si stratifichi: religione, sfera estetica, sfera legale, mondo scientifico, burocrazia statale e mass media.

Quando il processo di creazione del trauma entra nella sfera dei mass media, spiega Alexander, deve confrontarsi contemporaneamente con grandi opportunità e limiti considerevoli. La comunicazione di massa mediata infatti permette alla narrazione traumatica di assumere una forma drammatizzata, conferendo a una determinata interpretazione dei fatti un potere persuasivo amplificato rispetto ad altre versioni. Tuttavia, allo stesso modo, tale narrazione è sottoposta a regole e limitazioni del mondo dei media; per quanto riguarda ad esempio l'informazione giornalistica: concisione, neutralità, pluralità di opinione. L'arena mediale instaura una competizione tra vari tipi di pubblico cui la comunicazione del trauma si rivolge e talvolta genera una produzione esagerata e distorta di notizie. Quando un evento è riportato come "traumatico" può innescare un confronto tra un gruppo sociale riconosciuto come vittime traumatizzate e un altro gruppo riconosciuto come i colpevoli (politici o elite) che, nell'arena mediatica, possono

attaccare e accusare i media e i giornalisti impegnati nella comunicazione dei fatti in quanto traumatici.

Possiamo concludere osservando che l'esperienza del trauma può essere compresa anche come processo sociologico in cui si definiscono l'atto di offesa verso una collettività, le vittime e le responsabilità, le conseguenze morali e materiali. Uno degli aspetti più interessanti della teoria del trauma culturale consiste nel suo rapporto con l'identità: il trauma così vissuto e rappresentato porta inevitabilmente a una trasformazione dell'identità collettiva, basata sul recupero e ricostruzione del passato storico. Tale memoria collettiva agisce come una forza che ridefinisce l'autopercezione attuale di quella collettività, attraverso una ricostruzione della sua storia precedente. Una volta che la narrazione ufficiale diventa quella del trauma e l'identità collettiva viene ridefinita sulla base di quell'esperienza, il clamore delle accuse si placa e anche il carico emotivo legato agli eventi traumatici rientra in una routine. Il trauma diventa parte della sfera pubblica, si concretizza in forme istituzionalizzate come monumenti, musei, manufatti artistici e luoghi "sacri" che diventano parte di un'abitudine rituale.

Neil J. Smelser219 si interroga sulle differenze tra trauma psicologico e trauma culturale. Sottolinea come non tutti gli eventi possano necessariamente e automaticamente diventare cause di un trauma culturale, l’esito dipende dal contesto socioculturale in cui si trovava la società colpita all'epoca dei fatti storici considerati l'origine del malessere collettivo. Questo a conferma del fatto che gli stessi eventi storici possono non essere traumatici per tutte le società coinvolte. Lo stesso fatto inoltre può essere classificato come trauma a partire da un determinato momento della storia di quella società e non in un altro. Possiamo comprendere come i traumi culturali siano in gran parte creati storicamente, più che originati dagli eventi in sé. Se il trauma culturale è legato al contesto, Smelser si interroga su che tipo di sistema sia quello culturale per diventare oggetto di un tale sconvolgimento collettivo. Il sistema sociale offre alle relazioni tra individui una struttura organizzativa che si esprime attraverso ruoli socialmente riconosciuti e istituzioni classificate sulla base della loro funzione (economica, legale, educativa, medica ecc.), e presenta un sistema di classificazione stratificato e articolato in classi o gruppi etnici. Perciò un trauma che si possa definire sociale andrebbe a colpire e sovvertire le arene istituzionali che reggono l'organizzazione di quella società. Fatti come guerre, carestie o epidemie possono decimare il numero di componenti di una società, provocando fenomeni di dislocazione e catastrofi umanitarie che nel tempo costituiscono le cause di un trauma sociale, proprio perché hanno comportato una riorganizzazione di quella società colpita.

Riguardo al nostro caso studio, le guerre degli anni '90 e la disintegrazione del sistema sociale jugoslavo hanno determinato un totale riassetto del tessuto sociale e economico di paesi che si sono trovati a doversi riconoscere e organizzare come società autonome con nuove istituzioni. Si

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Neil J. Smelser, Psychological Trauma and Cultural Trauma, in Jeffrey C. Alexander, Ron Eyerman, Bernhard Giesen, Neil J. Smelser, Piotr Sztompka, Cultural trauma and collective identity, Berkeley, University of California press, 2004

tratta di un trauma sociale che alcuni paesi hanno già superato, come la Slovenia, attraverso la costruzione di una nuova narrazione ufficiale autonoma. Il trauma sociale però non coincide con il trauma culturale, che nel caso dei giovani stati ex-jugoslavi sembra ben più radicato. La cultura è un sistema composto da elementi come valori, norme, credenze, conoscenze, ideologie, che offrono delle strutture di significato, e che permettono di costruire un'identità sia collettiva sia individuale. Per una società nazionale la cultura rappresenta la struttura che le garantisce unità e coerenza, dove per unità si intende il consenso generale e l'auto-riconoscimento, anche da parte di controculture e subculture che possono innescare un conflitto con il sistema dominante, ma che allo stesso tempo devono fare i conti con quel consenso. Spesso gli eventi storici portano a un trauma sia sociale che culturale; in campo culturale viene sconvolto tutto il sistema di significati che costituisce l'identità di una società. Il trauma culturale può anche riguardare solo una parte della società, un gruppo, in quel caso tutto il sistema di unità a coerenza sociale può essere messo in discussione: il riconoscimento di un trauma culturale all'interno della stessa società innesca una contestazione tra gruppi politici e dirigenti per la denuncia di ciò che è successo e le sue conseguenze, il significato da attribuire a tali conseguenze e i sentimenti che ne sono derivati. Quando una memoria storica si impone come trauma nazionale di cui la società è responsabile, occorre poi che quello status traumatico venga attivamente sostenuto e riprodotto, in questo il trauma culturale differisce da quello psicologico. L'individuo affronta il trauma psicologico attraverso meccanismi prima di difesa e adattamento, poi di gestione e rielaborazione; a livello culturale invece i meccanismi attraverso cui il trauma si manifesta sono quelli stabiliti da agenti sociali e gruppi rivali.

Le teorie del trauma culturale sono fondamentali per l'argomento di questa ricerca, per comprendere quali culture si siano costruite sul trauma causato dalle guerre che hanno sconvolto l'ex-Jugoslavia negli anni '90. Per alcune società il lavoro di rielaborazione deve essere ancora attivato, permangono in un periodo di latenza ed emergono solo attraverso i sintomi, conclamati e denunciati nel campo dell'arte.

Il concetto di trauma culturale inoltre aiuta a guardare al fenomeno da un punto di vista diverso e forse meno "intoccabile", e ci consente di comprendere come anche il trauma diventi uno strumento di potere e aggregazione, coerentemente con quanto emerso dall’analisi del rapporto tra storia e memoria, di cui abbiamo trattato nei capitoli precedenti. Dominick LaCapra220, i cui studi sulla rappresentazione del trauma torneranno preziosi per l'analisi cinematografica, scrive che è possibile sviluppare una visione traumatica della storia che non riguardi solo i fatti, ma anche le conseguenze; per questo rivendica la necessità di un approccio empatico storico. Pur con un atteggiamento empatico nello studio del trauma culturale storico, è importante non cadere in facili generalizzazioni e considerare che gli effetti postumi dell'evento traumatico non colpiscono tutti i membri di una collettività e non colpiscono tutti nello stesso modo. LaCapra afferma come sia già

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necessario distinguere tra le persone direttamente coinvolte e coloro che sono nati dopo i fatti, non direttamente colpiti: la generalizzazione indiscriminata del concetto di sopravvissuto e la confusione tra la ricostruzione storiografica e l'osservazione dei traumi lasciati hanno solo l'effetto di confondere la distinzione storica cruciale tra i fatti e i sintomi delle loro conseguenze.