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Parte 1 MEMORIA, OBLIO E TRAUMA

3. Ricostruzione storica e rievocazione memoriale

3.2 Il ruolo del testimone tra storia e memoria

Nella parte precedente ho presentato alcune voci a sostegno dell'incompatibilità tra storia e memoria, cercando di rendere conto dell’evoluzione storica di questo dibattito che ha visto molte più zone di confluenza che nette contrapposizioni tra i due termini. Ora vorrei indagare un ambito in cui storia e memoria vengono quasi per necessità a confluire, e dove soprattutto la figura dello storico lavora sull'impossibilità di distinguere tra le due.

Il testimone è una figura chiave tanto in ambito storico quanto in quello giudiziario investigativo, è chiamato a testimoniare chi ha assistito a un fatto o lo ha vissuto in prima persona. Il testimone assume un ruolo particolare in ambito storico: quando il racconto rimane l'unica fonte diretta di un'epoca o di un fatto passato, i testimoni sono l'eredità lasciata al presente. La testimonianza è campo privilegiato della memoria, la memoria individuale di chi va a testimoniare, e come tale pone alcuni fondamentali problemi. È sufficiente essere fonte esclusiva di un evento per essere una risorsa completamente credibile e affidabile? Evidentemente no. Ho cercato una risposta a tale quesito nella psicologia forense che si occupa di psicologia della testimonianza145. La percezione è il primo stadio del processo mnemonico e questa spesso coincide con la codifica per l'acquisizione e la ritenzione del dato che sarà poi ricordato. La percezione non è un processo

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Gaetano De Leo, Melania Scali, Letizia Caso, La testimonianza. Problemi, metodi e strumenti nella

neutro che permette la registrazione oggettiva delle informazioni, ma è influenzata da elementi già esistenti nella persona come conoscenze pregresse, pregiudizi, motivazioni e emozioni. La percezione non agisce in modo passivo agli stimoli dell'ambiente, ma è un processo costruttivo, perciò l'immagine dell'oggetto percepito è il risultato di un processo attivo tra lo stimolo esterno e gli stati interiori. Affinché avvenga la percezione di un elemento è necessario prima riconoscerlo, per questo infatti le conoscenze presenti nella memoria a lungo termine diventano le guide per l'attribuzione di significato e in questo percorso di costruzione della realtà. Possiamo comprend ere come già nella fase della percezione di un oggetto intervengano numerosi fattori che possono impedire un immagazzinamento accurato del dato, basato sul nostro bagaglio di conoscenze e esperienze pregresse.

Oltre alle influenze in fase di percezione la memoria può subire distorsioni anche nella fase di recupero, tra l'immagazzinamento e il ricordo. Abbiamo osservato come le nostre conoscenze pregresse influenzino il modo in cui riconosciamo e definiamo un nuovo oggetto, ma anche gli stimoli dall'ambiente esterno possono influire sul processo mnestico e provocare distorsioni e falsi ricordi. La fonte dei fenomeni di distorsione perciò può essere: interna, se dipende esclusivamente dalla condizione del testimone, fisica o emotiva; esterna, quando le informazioni successive all'evento ne possono condizionare il ricordo, agiscono infatti nella fase di immagazzinamento; infine relazionale, quando il ricordo è influenzato da fattori comunicativi relativi sia al rapporto con l'interlocutore sia alle domande poste. Tralasciando le condizioni psico-fisiche del soggetto, che ci porterebbero a un campo troppo vasto di variabili, qui ci interessano i fattori incidenti legati al processo stesso del ricordo. I fattori esterni intervengono soprattutto nella fase di percezione e recupero dell'evento, che dipendono da frequenza di esposizione, durata di osservazione e posizione dell'evento all'interno di una successione di altri fatti. Nella fase di recupero uno dei fattori esterni può dipendere dall'interlocutore che interroga il soggetto, il suggerimento di informazioni fuorvianti può portare il soggetto a modificare il ricordo dell'evento vissuto (postevent misinformation effect). Fattori interni e esterni, che intervengono nella fase di percezione, poi compromettono l'immagazzinamento delle informazioni, così il testimone può aver dimenticato il fatto o aver sostituito un'informazione con un'altra già presente nella memoria a lungo termine oppure ancora aggiungere elementi nuovi che provocano il falso ricordo.

Tutte queste situazioni ci permettono di cogliere come nel valore della memoria, soprattutto nella sua veste di testimonianza, risiedano anche i suoi limiti, da tenere in considerazione nei diversi ambiti di utilizzo come quello giuridico e storico. A tale riguardo è illuminante l'episodio raccontato da Ronald Eyerman146 che ci introduce al tema del rapporto tra testimonianza e ricerca storica. Durante un incontro organizzato dal Centro di Studi Avanzati dell'Università di Standford, Eyerman assistette alla conversazione tra uno psicologo sociale israeliano e uno storico americano

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Ron Eyerman, Il passato nel presente: cultura e trasmissione della memoria, in Marita Rampazi, Anna Lisa Tota (a cura di), La memoria pubblica. Trauma culturale, nuovi confini e identità nazionali, Torino, Utet, 2007

dell'Olocausto. Lo psicologo sociale raccontava la propria esperienza di deportato, in età giovanile, in un campo di concentramento in Polonia durante la seconda guerra mondiale. Denunciava in particolare il comportamento indegno di un membro della polizia ebrea che lavorava nel campo per i tedeschi, testimoniando la malvagità di questa persona nei dettagli di diversi episodi. Dopo aver ascoltato il suo racconto, lo storico fa notare allo psicologo che doveva essersi sbagliato, che quello che stava raccontando non poteva essere accaduto perché quella guardia era una figura ben nota e non lavorava nello stesso campo in quel periodo, come dimostrava la documentazione consultabile. Lo psicologo era sicuro del proprio ricordo, chiamando in causa altre persone che erano con lui nel campo e che potevano confermare la sua storia. Lo storico disse a Eyerman che non era nuovo a questa situazione, dove poteva osservare una totale discrepanza tra il racconto di testimoni e la documentazione storica. Uno degli studiosi che più ha analizzato questo rapporto è Marc Bloch147.

La conoscenza degli accadimenti del passato è una conoscenza che avviene per mezzo di tracce; le tracce possono essere di vario tipo, dalle ossa trovate in uno scavo archeologico alle variazioni linguistiche nell'uso delle parole fino al racconto scritto di un testimone. Gli stessi documenti sono tracce, segni lasciati da un fatto che di per sé non sarebbe più conoscibile. Lo storico per definizione si trova quasi sempre nella posizione di indagare una realtà che non ha osservato in prima persona, deve quindi affidarsi a una conoscenza indiretta del passato, o meglio affidarsi al racconto di altri che quell'epoca e quel fatto l'hanno vissuto in prima persona e ne hanno raccontato. La mediazione dello sguardo altrui è quasi inevitabile, quindi lo storico si troverà ad analizzare l'immagine del passato che gli interlocutori hanno costruito di quel fatto, oltre all'immagine che gli stessi vogliono presentare ai posteri. Nel campo di ricerca dello storico la memoria svolge quindi un ruolo fondamentale, dal momento che gran parte delle fonti che si troverà a maneggiare nel presente sono racconti memoriali del passato. Bloch distingue tra testimonianze volontarie e involontarie, le prime sono fonti narrative lasciate per informare i posteri o i lettori dell'epoca, le seconde invece sono tracce lasciate senza alcuna previsione di lettura futura. Quelle volontarie sono una fonte preziosa, soprattutto per la loro struttura spesso ordinata, leggibile e cronologicamente attenta, ma sono quelle involontarie, provenienti da "testimoni loro malgrado", sostiene Bloch, a costituire un materiale ancora più importante. Pur non essendo immuni da errori e falsificazioni, la ricerca storica si è sempre più affidata alle testimonianze involontarie, soprattutto perché le eventuali deformazioni della verità non sono state concepite guardando ai posteri e, quali indizi senza premeditazione, diventano degli elementi utili pe r supplire alla mancanza di racconti e per rimettere ogni volta in discussione la visione che lo storico si è costruito di quell'epoca. Non solo i suoi stessi pregiudizi, ma anche le false immagini che i contemporanei hanno inconsapevolmente tramandato del loro periodo. Le testimonianze

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involontarie inoltre sono in grado di fornire informazioni sui modi di vivere e di pensare dei tempi in cui furono lasciate.

Uno dei compiti più impegnativi che lo storico si trova ad affrontare è il reperimento dei documenti, tracce scritte che spesso costituiscono il patrimonio culturale di una società. Nella ricerca dei documenti, lo storico si affida a delle guide, istituzioni incaricate della trasmissione del sapere: inventari di archivi, biblioteche, archivi museali e altri repertori bibliografici. Parlo di istituzioni delegate alla trasmissione del sapere, perché il lavoro dello storico si trova a confrontarsi anche con l'immagine del passato che quella società vuole conservare e trasmettere: «i documenti non saltano fuori, qui o là, per effetto di chissà quale insondabile volere divino. La loro presenza o la loro assenza, in un archivio, in una biblioteca, in un terreno, dipendono da cause tutte umane che non si sottraggono affatto all'analisi, e i quesiti posti dalla loro trasmissione, che non sono soltanto esercitazioni per tecnici, toccano essi stessi nel profondo la vita del passato, perché ciò che si trova messo in gioco in questo modo è nientemeno che il passaggio del ricordo tra le generazioni seguenti»148.

Di fronte alla difficoltà o impossibilità di reperire documenti nel lavoro di archivio, Bloch riconosce due cause principali dell'oblio generato da tali mancanze: la negligenza, che può portare alla perdita di fonti, e, più pericolosa, la segretezza, politica, di stato o di famiglia, che conduce all'occultamento o alla distruzione di documenti. Mi soffermo ora su questi aspetti perché mi permettono di anticipare un argomento di cui mi occuperò tra poco, e che influenzano il lavoro dello storico e il processo di costruzione e trasmissione del patrimonio memoriale.

Riguardo alle testimonianze Bloch afferma fin da principio che non è possibile credere ai testimoni sulla parola, come non è possibile accettare tutte le testimonianze in cui incorre lo storico. Tutti i documenti sostanzialmente devono essere sottoposti a critica. Si tratta di una delle tappe fondamentali del metodo critico storico, da quando, nel 1681, fu fondata la critica dei documenti d'archivio. La critica alla testimonianza, come ai documenti d'archivio, impone allo storico che l'informazione sia verificata e di indicarne la provenienza, affinché possa essere ritrovata. Man mano che la scienza storica ha utilizzato le testimonianze involontarie, tale uso ha portato a tenere in considerazione anche le informazioni implicite del racconto; il rischio di una falsa o cattiva testimonianza ha inoltre spinto sempre più ad adottare un metodo critico di verifica delle fonti.

Come abbiamo messo in evidenza attraverso la psicologia della testimonianza e come emerge dal racconto di Eyerman, anche Bloch sostiene che, oltre alle dichiarazioni volontariamente false, il valore della testimonianza possa essere inficiato dagli errori della memoria: non esiste il buon testimone in assoluto, ma solo buone o cattive testimonianze, la cui veridicità può essere compromessa dalla condizione momentanea del testimone, soprattutto emotiva, o dall'attenzione prestata dall'osservatore alla realtà che vuole percepire e ricordare. Molti fatti storici sono stati

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vissuti dai testimoni in circostanze di pericolo, violenza o forte pressione emotiva, senza che avessero il tempo e le condizioni per poter prestare attenzione a ciò che stava accadendo, richiamate alla mente successivamente, il ricordo potrebbe risultarne distorto. Di fronte a queste situazioni, lo storico deve accettare l'imprevisto e il fattore umano che caratterizza il processo mnestico. Esiste anche la cattiva testimonianza determinata dai pregiudizi e dai preconcetti dell'osservatore, possibile specchio di un sentire collettivo; il suo racconto perciò non offrirà un quadro di ciò cui ha assistito, ma di ciò che a quel tempo si credeva normale vedere. Succede anche che una cattiva testimonianza diventi un'opinione falsa diffusa tra molti, perché questo avvenga però occorrono precise condizioni sociali e politiche, frutto di propaganda e censura. Come può agire lo storico di fronte a tutte le fonti di errore e falsità che abbiamo presentato? Certamente può confrontare la testimonianza con i documenti di archivio e più testimonianze tra loro, valutare i motivi di verità, falsità ed errore dei singoli testimoni, valutare almeno la probabilità che un evento sia accaduto, quindi utilizzare il dubbio come strumento di conoscenza.