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Parte 2 IL CINEMA TRA RAPPRESENTAZIONE STORICA E

1. L'arte cinematografica tra rappresentazione storica e racconto memoriale

1.1 La memoria nel linguaggio cinematografico

Nel Dizionario della memoria e del ricordo1, alla lettera F si trova anche il termine “Film", definito come «dispositivo di memoria per il movimento»2. Perché inserire il film in un dizionario della memoria? La definizione si riferisce sia al materiale, la pellicola, sia all’opera culturale e al prodotto industriale, le cui immagini si trasmettono tramite proiezione. I film quindi possono essere concepiti come dispositivi di memoria che immagazzinano immagini e, attraverso il montaggio, le rielaborano con suoni e rumori in un risultato indipendente dalla temporalità lineare, che può presentare al suo interno anche diversi livelli temporali.

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Nicolas Pethes, Jens Ruchatz (a cura di), Dizionario della memoria e del ricordo, Milano, Bruno Mondadori, 2005

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André Bazin3 ha osservato come già la fotografia e ancora prima le arti plastiche soddisfino un bisogno fondamentale umano, la difesa contro il tempo. Se nell'evoluzione dell'arte, e dopo essere entrati nell'era della sua riproduzione tecnica, non è più una questione di identità ontologica del modello e del ritratto, rimane il fatto che l'immagine e l'artefatto aiutino a ricordare e forse qualcosa in più. Bazin si spinge oltre, non si tratta più della sopravvivenza dell'uomo, ma della creazione di un universo ideale a immagine del reale, dotato di un'autonomia temporale. Secondo Bazin, il film presenterebbe quel che egli chiama “complesso della mummia”: il film, registrando un fatto passato e proponendolo allo spettatore come presente, cerca la perennità dell'immagine nella forma, ma presenta anche un suo tempo interno tutto particolare che può costruirsi su diversi livelli e che si confronta con il tempo interiore dello spettatore. La fotografia prima, e ancor più il cinema dopo, si trovarono a soddisfare due bisogni che hanno segnato lo stacco inevitabile con le altre arti plastiche: l'ossessione del realismo e il bisogno di illusione. La fotografia aveva dimostrato la capacità di fissare una porzione di mondo in modo automatico e questo le conferiva un grande potere di credibilità; nel suo rapporto con il tempo, la fotografia non rende il concetto di durata, ma lo fissa in un'immagine che lo esclude dalla propria corruzione. Il cinema porta a compimento il processo iniziato attraverso l'obiettivo fotografico, ma non fissa l'attimo, non conserva l'oggetto ripreso intatto in un istante, piuttosto restituisce un'immagine delle cose che è anche quella della loro durata, come scrive Bazin, è «la mummia del cambiamento»4.

Questa struttura di elaborazione del tempo, affine a quella del sogno, permette di accostare il cinema alla memoria. Il rapporto è di lunga data: già subito dopo la nascita del cinematografo, uno dei maggiori filosofi della memoria, Henri Bergson, aveva parlato del cinema come di una metafora della memoria. In Evoluzione creatrice egli identifica il funzionamento della coscienza nel modo in cui il proiettore cinematografico mette in movimento le immagini5. Rispetto alle altre arti il cinema sembra avere una particolare relazione con il tempo: riesce a modificare quello in cui è inserito lo spettatore e a trasportarlo in una durata autonoma e interna. Questa capacità si basa sulla distinzione tra un tempo della storia (diegetico) e un tempo del discorso (filmico)6, che rappresenta la progressione del racconto. Nel tempo diegetico ogni evento trae il suo significato dalla collocazione nella cronologia della storia; il narratore o la narrazione però non devono necessariamente far conoscere gli eventi rispettando la temporalità della storia. Riguardo all'ordine degli eventi, flashback e flashforward rappresentano la libertà del tempo diegetico, un salto indietro o in avanti nell'esposizione dei fatti all'interno del discorso filmico.

Il flashback è una delle figure del linguaggio filmico attraverso cui formalmente si realizza una "presentificazione" del passato: la memoria del personaggio prende forma visiva per lo spettatore.

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André Bazin, Che cosa è il cinema?, Milano, Garzanti, 1999 4

Ivi, p. 9 5

Nicolas Pethes, Jens Ruchatz (a cura di), op.cit., p. 199 6

Gianni Rondolino, Dario Tomasi, Manuale del film. Linguaggio, racconto, analisi, Torino, UTET Libreria, 2005

Nel cinema questa tecnica narrativa di inserire fatti del passato o del futuro (nel caso del flashforward) nel presente della storia si collega al ruolo centrale assunto dallo strumento del montaggio, che consente una sovrapposizione degli assi temporali. Maureen Turim7, nella sua ricostruzione dell'uso del flashback nella storia del cinema, sottolinea come la memoria, nella sua dimensione psicoanalitica e filosofica, sia uno dei concetti iscritti in questi salti nel passato. Per lo studioso il flashback fornisce l'immagine non solo del passato del personaggio, ma anche del tempo storico, registrato e condiviso: «If flashbacks give us images of memory, the personal archives of the past, they also give us images of history, the shared and recorded past. In fact, flashbacks in film often merge the two levels of remembering the past, giving large-scale social and political history the subjective mode of a single, fictional individual's remembered experience. This process can be called the subjective memory, which here has the double sense of the rendering of history as a subjective experience of a character in the fiction, and the formation of the Subject in history as the viewer of the film identifying with fictional character's positioned in a fictive social reality»8.

L'osservazione di Turim si inserisce nell'impostazione di questa ricerca, perché unisce la dimensione personale e quella collettiva del ricordo, a indicare che le immagini create sullo schermo non sono mai frutto di un patrimonio solo individuale, ma anche culturale, condiviso tra autore (regista e sceneggiatore), personaggio e spettatore. Anche il flashback, pur essendo segnato dalla soggettività e dalla visione del singolo, può dare vita a una ricostruzione storica, condivisa e inserita in un contesto collettivo. Il flashback mostra il legame del cinema con la memoria anche dal punto di vista psicoanalitico, ponendo lo spettatore nella condizione di osservare un procedimento, in atto sullo schermo, che è analogo a quello del recupero di contenuti rimossi. Come abbiamo visto nella prima parte, la terapia psicoanalitica consiste nella ricostruzione del passato vissuto da parte del paziente e nel decifrare i sogni e le manifestazioni inconsce (rielaborazioni di quello stesso passato), un procedimento analogo a quello creativo del flashback. Scrive Turim, soprattutto nel cinema di finzione, a volte l'analogia con la terapia psicoanalitica è diretta, quando il flashback diventa la storia narrata dal paziente. Molto più spesso invece non c'è un riferimento diretto alla situazione dell'analisi, in questo caso lo spettatore può identificarsi sia con l'analista, assistendo ai ricordi che prendono forma sullo schermo, sia con il narratore di quelle memorie.

Il flashback è solo una delle soluzioni cinematografiche di ricostruzione del passato. Con l'evoluzione del cinema e l'avvento di nuovi movimenti e correnti, il cinema moderno ha visto lo sviluppo di stili autoriali che hanno elaborato forme nuove e più complesse di rappresentazione del passato sullo schermo. Recuperando le idee di Bergson e analizzando le opere di alcuni registi,

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Maureen Turim, Flashbacks in film, New York-Londra, Routledge, 1989 8

Gilles Deleuze9 ha esposto le sue teorie sul rapporto tra cinema e tempo, andando oltre quella che egli chiama l'immagine-ricordo, rappresentata attraverso il flashback. Deleuze osserva in certi registi una profondità di campo che crea un'immagine-tempo, definibile con la memoria. Più che una funzione di realtà, come Bazin, Deleuze riconosce all'immagine cinematografica una funzione di memorazione, di temporalizzazione, quindi un invito a ricordare. Il filosofo francese distingue tra la semplice evocazione del passato attraverso l'immagine-ricordo o flashback (usata soprattutto nel cinema classico) che si traduce in «una successione di presenti che passano secondo il tempo cronologico»10, e il lavoro sul tempo fatto da autori come Orson Wells e Alain Resnais: uno sforzo di evocazione, inteso a suscitare l'esplorazione di zone virtuali del passato che abbia una funzione di memorazione, quindi una spinta a ricordare più che un'immagine precisa.

Attraverso le osservazioni di Turim come di Deleuze, vorrei mettere in evidenza la particolare capacità del cinema di confrontarsi sia con la ricostruzione memoriale individuale e biografica, sia con quella collettiva e storica. Le due dimensioni probabilmente non sono distinguibili così nettamente, perché proprio lo spettatore, di fronte a quelle immagini del passato, può riconoscere una narrazione di finzione e allo stesso tempo inserire quella storia in un contesto più ampio, storico e sociale. Lo spettatore si relaziona al passato attraverso immagini e sequenze che vanno a comporre una memoria collettiva, come appartenente a determinati gruppi sociali, e una memoria culturale, in quanto il cinema contribuisce a quel sistema simbolico di una cultura nazionale e globale.

Nel rapporto con la memoria collettiva, culturale e sociale, le sequenze create dal cinema, che siano di finzione o documentarie, vanno a comporre un bagaglio specifico che possiamo definire memoria cinematografica. A riguardo Sara Pesce11 scrive che le modalità attraverso cui il cinema memorializza un evento storico, cioè lo trasforma con un'operazione estetica, fanno parte del modo con cui le società ricordano. Il cinema collabora alla formazione di un archivio di immagini (di finzione come di riprese sul campo) che vanno a costituire un patrimonio memoriale anche per coloro che guardano a quel fatto come a un ricordo fittizio (vedi concetto di memoria prostetica nel capitolo dedicato al trauma). Se, come abbiamo visto nei capitoli della parte precedente, la memoria culturale sopravvive e si tramanda attraverso rappresentazioni socialmente riconosciute e condivise, all'interno di quella stessa memoria il cinema svolge un ruolo particolare per la sua capacità (anche tecnologica) di dare una forma concreta al passato e alla temporalità. Per questo i film possono presentarsi come surrogati non tanto del fatto passato in sé, quanto del suo ricordo.

Sara Pesce rileva come, di fronte alla graduale scomparsa dei testimoni diretti di un'epoca, il cinema svolga la funzione di "mediatore" della memoria; dove questi mediatori possono essere fonti documentarie o opere di finzione. Per le loro caratteristiche tecniche i film si presentano come

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Gilles Deleuze, L'immagine-tempo, Milano, Ubulibri, 1989 10

Ivi, p. 125 11

Sara Pesce, Memoria e cinema, in Elena Agazzi, Vita Fortunati (a cura di), Memoria e saperi. Percorsi

dispositivi di memoria, molto simili al processo del ricordo: dopo la fase di immagazzinamento c'è l'elaborazione e, infine, la proiezione della memoria, resa mediante un linguaggio che unisce suoni e immagini e che ha un impatto diretto sulle emozioni.