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Parte 2 IL CINEMA TRA RAPPRESENTAZIONE STORICA E

3. Vukovar: le memorie cinematografiche di una città divisa

3.5 Il ruolo dell'immagine mediatica e la costruzione della figura del nemico nel cinema

Dopo la fine del governo di Tuđman il cinema croato ha vissuto un rinnovamento importante grazie alla corrente di Young Croatian Film, espressione coniata dallo storico del cinema Ivo Skrabalo, per indicare una nuova generazione di registi e professionisti del settore che si era formata all'Accademia di Zagabria. Molti di loro avevano vissuto la guerra in prima persona e cominciarono a raccontare il passato, attraverso i loro film, in modo nuovo. Le facili contrapposizioni proposte dalla propaganda bellica furono superate, iniziarono a trattare la guerra in modo molto più complesso e sfaccettato, aprendo una riflessione sulle responsabilità condivise. Pur con una maggiore maturità critica e un nuovo stile cinematografico moderno, il cinema croato contemporaneo ha continuato una rielaborazione sul passato bellico. I temi che ho osservato nei primi film su Vukovar, in particolare il ruolo dell'immagine mediatica e la costruzione della figura del nemico, hanno formato una memoria cinematografica che ancora oggi influisce sul ricordo collettivo e sulla rappresentazione filmica della guerra.

Ne sono un esempio due pellicole recenti, tra le opere croate più premiate nei festival internazionali. Zvizdan (Sole alto, 2015) di Dalibor Matanić è un film diviso in tre parti, tre storie d'amore ambientate in tre anni differenti (1991, 2001, 2011), gli stessi attori interpretano personaggi diversi per ogni storia e tutte si svolgono nello stesso luogo, l'entroterra della Dalmazia. Il primo episodio finisce quando la guerra è appena iniziata, il secondo poco dopo la sua conclusione e nel terzo sono passati alcuni anni anche se le conseguenze del conflitto hanno determinato le vite dei protagonisti. Tra la prima e la seconda storia il regista inserisce una

65 Rada Iveković, op. cit., p. 41

sequenza senza dialogo, solo un montaggio di riprese statiche in campo lungo su diversi edifici colpiti, che portano ancora i segni del conflitto: case, scuole, un campo da basket, edifici pubblici e privati. Le inquadrature in campo lungo permettono di vedere questi soggetti inseriti nella natura selvaggia dell'entroterra dalmata. La sequenza ha la durata di una canzone jugoslava in sottofondo e si conclude con alcune inquadrature in dettaglio di oggetti lasciati nelle case devastate: alcuni piatti scheggiati, una tazzina, un libro, segnali di una vita umana in quei luoghi, che non sono stati demoliti dal tempo, ma abbandonati all'improvviso. Vedendo questi edifici è inevitabile rievocare quelle case di Vukovar all'inizio del film di Drašković oppure la carrellata finale di Pavlović: è richiamato lo stesso rapporto tra paesaggio e distruzione di quei film girati subito dopo la fine dell'assedio nella città simbolo della guerra in Croazia. Matanić avrebbe anche potuto non inserire quella sequenza, che non è funzionale al film e segna invece una cesura tra le storie, la sua scelta invece è un richiamo memoriale preciso all'immaginario di quel conflitto i cui segni nel 2014 sono ancora presenti. In questo nuovo contesto di recupero, la memoria collettiva di chi ha vissuto quella guerra è diventata parte anche di una memoria culturale da cui tutti possono attingere.

In Crnci (The Blacks, 2009) di Goran Dević e Zvonimir Jurić è possibile osservare invece una riflessione contemporanea sulla costruzione cinematografica del nemico, in un'operazione di recupero e rielaborazione della storia passata. Il film ha una struttura temporale particolare: la prima parte è incentrata sulla spedizione di un gruppo di soldati, i neri, in una foresta vicino a un fiume; la seconda parte invece torna indietro nel tempo e mostra come i soldati siano arrivati alla situazione di partenza. Nella prima parte emerge lo smarrimento totale di un gruppo di uomini, armati, impegnati in una guerra senza nome in un luogo senza alcun riferimento geografico. Solo due elementi connotano la vicenda: la lingua e uno stemma con la bandiera croata sulla divisa nera, il fiume potrebbe essere il Danubio che costeggia Vukovar; solo alla fine della spedizione si scoprirà che stanno cercando i corpi di altri compagni morti. In tutta la prima parte del film si aggirano per la foresta come in un paesaggio surreale, a ogni fruscio istintivamente si difendono da un nemico che non si fa sentire, parlano di un "loro" non identificato. La macchina a mano li segue in una ripresa scarna che conferisce maggiore realismo alla scena, ma nel loro smarrimento sembrano sospesi in un tempo infinito e in uno spazio metaforico. Quando giungono alla radura dove trovano i corpi, la tensione si alza e un diverbio li conduce a uccidersi gli uni con gli altri, solo in due sopravvivono. Il nemico rimane immaginario, solo le vittime sono reali. La spasmodica ricerca di un Altro ostile ha portato infine i personaggi a rispecchiarsi in se stessi, nei propri fantasmi e all'autodistruzione. Nella seconda parte il film torna indietro di 24 ore e vediamo la preparazione alla spedizione, il nemico rimane senza volto, rievocato solo dalla propaganda di stato, serba e croata, presente attraverso le emittenti radiofoniche: la radio serba manda in onda le voci e poi l'uccisione dei soldati croati che i neri devono andare a salvare. Più la tensione aumenta, più la macchina da presa sembra intensificare lo sguardo non sul nemico ipotetico, quanto sui

mostri interiori dei personaggi. I registi hanno dichiarato66 di essersi ispirati a Alien (1979) di Ridley Scott per la costruzione dei momenti di tensione, i salti temporali, la resa claustrofobica degli spazi, chiusi e aperti, che diventano la metafora di uno stato mentale degli uomini coinvolti nella guerra. L'inquadratura stretta sui corpi, i rumori al posto dei dialoghi, l'uso di luci e buio per modellare gli ambienti vanno a comporre il naturalismo crudo del film, che all'assenza di un nemico ostile contrappone la concretezza di una responsabilità storica: una lampadina accesa per sbaglio dal nuovo membro dei neri fa scoprire allo spettatore il "garage", una stanza all'interno della base croata, dove sono evidenti tracce di sangue sul pavimento e sui muri, vestiti lasciati da prigionieri torturati e uccisi lì. Scrive Jurica Pavičić: «The dramaturgy of the film represents the Homeland War first through its official version (bright, pastoral, heroic), and then, afterwards, through its underground version, claustrophobic, dark, gothic, suffocating. In that way, the audience of The

Blacks passes through the same process of rude awakening that all of Croatian society passed

between 2000 and 2010. The cinematic device in Dević and Jurić's film re-enacts mutations of the national conscience.»67

3.6 La fondazione di nuova memoria su Vukovar: Vukovar-Final cut di Janko