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Parte 1 MEMORIA, OBLIO E TRAUMA

6. Trauma e memoria

6.4 Luoghi del trauma

A conclusione di questa panoramica è interessante approfondire il legame tra il trauma storico e le caratteristiche dei siti deputati al ricordo nella sfera pubblica, che Patrizia Violi ha esposto nel suo libro Paesaggi della memoria. Il trauma, lo spazio, la storia. L'approccio di Violi è semiotico, ma nella sua analisi ho trovato dei collegamenti interessanti ai "luoghi del trauma" ancora presenti nei Balcani, e con le narrazioni cinematografiche di quei luoghi, anche quando non direttamente rappresentati.

Violi distingue i siti del trauma dai più generali luoghi della memoria. A prescindere dalla forma che assumono (che siano musei, memoriali, cimiteri, ecc.) si caratterizzano per essere stati teatro di eventi violenti collettivi e per portare ancora le tracce del trauma da cui nascono. Si presentano come forme particolari di "indici" dell'evento e lo riattualizzano nel presente. A differenza degli altri luoghi della memoria, i siti del trauma instaurano un rapporto particolare con la morte che lì è avvenuta e che conferisce loro una potenza simbolica e evocativa. Per questo suo significato ulteriore il luogo del trauma può diventare meta di pellegrinaggi o azioni devozionali, più che destinazioni di conoscenza. «Essi sono luoghi ove l'irrappresentabile è già avvenuto»221, chiamano in causa non solo il sapere, ma anche il sentire, percepiti come tracce autentiche del passato. In questi luoghi la storia non permane in forma di ricostruzione o rievocazione, come accade nei musei e esposizioni, essi funzionano piuttosto da indici dell'evento traumatico, vengono riconosciuti come tali e quindi possono portarne testimonianza nel tempo. Tra i siti analizzati Violi si sofferma sull'esempio italiano del Museo per la Memoria di Ustica a Bologna, e su alcune realtà internazionali, come la Escuela Superior de Mecanica de la Armada (ESMA) a Buenos Aires, sito del trauma della dittatura militare cilena.

La studiosa mette in guardia sull'autenticità conferita a tali siti solo per il surplus di significato che sembrano portare: spesso i luoghi in cui il trauma si espone presentano una struttura ibrida, composta di tracce autentiche e parti ricostruite appositamente per ottenere una determinata impressione sul visitatore. In questo risiede il loro paradosso: se il trauma si presenta come qualcosa di inesprimibile, è difficile immaginare di darvi una forma concreta. Rimane aperta la questione se questa materialità non modifichi il significato dell'evento traumatico, Violi sostiene che ciò che è conservato subisce una trasformazione proprio perché assume la forma di un luogo visitabile e destinato alla conservazione.

221

Patrizia Violi, Paesaggi della memoria. Il trauma, lo spazio, la storia, Milano, Bompiani, 2014, Kindle e- book, cap. 2.1 This must be the place

A mio parere una riflessione sui siti che tentano di "mostrare" il trauma spinge a interrogarsi se sia possibile trovare una forma di conservazione dell'esperienza traumatica, o se attraverso la museificazione questi luoghi semplicemente diventino qualcos'altro e perdano il loro significato autentico. Come per la terapia psicoanalitica, la narrazione è il punto di partenza per una rielaborazione del trauma, per una sua trasformazione in memoria; credo che la trasformazione di tali luoghi da siti di eventi traumatici a spazi visitabili sia il segno di un processo che avviene nello spazio pubblico e che porta quegli stessi a diventare luoghi della memoria. Per i siti in cui non è avvenuto uno specifico processo di museificazione evidente, il loro significato non è insito naturalmente nel luogo, ma è il risultato di un processo di riconoscimento e di attribuzione del valore di testimonianza dell'evento traumatico che unisce il sistema di credenze del visitatore a una retorica dell'autenticità iscritta nel luogo.

Attraverso il potere evocativo delle tracce i siti portano a immaginare ciò che non può essere mostrato, implicano così una sovrapposizione tra ciò che il luogo è stato e ciò che è diventato. Coinvolgono la sfera del sentire più che del vedere, quella del dovere alla testimonianza più che una spinta alla conoscenza. Due sono gli elementi che possono stimolare il coinvolgimento emotivo del visitatore di siti del trauma museificati e conferire quel surplus di autenticità: l'esposizione di oggetti personali delle vittime e l'uso di materiale iconografico. Gli esempi più conosciuti riguardano l'esposizione di reperti legati all'Olocausto, ma per portare esempi pertinenti all’oggetto di questa ricerca, anche a Potočari sono esposti oggetti e fotografie delle vittime di Srebrenica, mentre il War Childhood Museum di Sarajevo raccoglie giocattoli, video e fotografie appartenuti ai bambini coinvolti nell'assedio della città. L'esposizione di oggetti personali e intimi, scrive Violi, aumenta la "densità figurativa" e il gradiente di realismo del luogo, ma soprattutto essi portano con sé un valore di autenticità che si trasferisce al sito: sono prove materiali degli eventi passati, tracce dell'individualità che li ha posseduti, testimonianze dei reali testimoni. Gli oggetti diventano il veicolo per la riattualizzazione non solo della persona, ma soprattutto della sua condizione in relazione ai fatti, permettono di rendere presente ciò che non è più visibile. Per quanto riguarda l'uso di fotografie legate al trauma, quelle relative a determinati eventi storici fanno parte ormai della nostra memoria visiva globale, ma pongono lo stesso problema degli oggetti personali: si ha veramente il diritto di esporre tali manufatti senza il consenso di chi vi è rappresentato o dei reali possessori? In nome di quale verità storica si espongono questi materiali? Se per l'oggetto è il legame con la persona che lo rende una testimonianza, le foto che rappresentano le vittime collocano in realtà l'osservatore fuori campo, oltre il quadro dell'immagine, perché richiamano all'evento che si è verificato dopo quello scatto.

I luoghi del trauma pongono anche il problema della loro conservazione e del rapporto con lo spazio che li circonda: se mantenerli inalterabili in una immutabile fedeltà ai fatti del passato o se risocializzarli in nuove modalità di riuso. Non si tratta di quale forma dare al luogo quanto del suo significato, il valore storico in relazione a una determinata comunità, la narrazione che si fa

dell'evento. Questo riguarda la posizione del visitatore rispetto al sito del trauma e alla sua memoria: attraverso l'esperienza di un trauma secondario che il luogo conferisce, il visitatore svolge una funzione testimoniale. Il trauma della visita investe il visitatore del ruolo di testimone vicario del passato, l'atto del visitare il luogo diventa quindi un atto di testimonianza. Tale passaggio è basato sul concetto di memoria prostetica, la memoria di eventi che non si sono vissuti direttamente, ma esperiti attraverso la mediazione di un luogo che attivi una forma di empatia.

Sono giunta ai concetti di empatia e di memoria prostetica perché uniscono le considerazioni sul ruolo dei siti del trauma alla mediazione svolta dai mezzi di comunicazione di massa, in particolare il cinema, nella trasmissione dell'esperienza traumatica e nell'attivazione di una sua memoria. Violi parla di cinema e televisione come mezzi di comunicazione e trasferimento dell'esperienza traumatica anche a chi non ha vissuto l'evento, ma ha accesso alla sua rappresentazione. La potenza della memoria prostetica consiste proprio nella capacità di stimolare l'empatia nello spettatore e attivare una coscienza sociale di quei traumi e degli eventi che li hanno generati. In una riflessione sul rapporto tra l'esperienza traumatica e una sua possibile rappresentazione, attraverso i luoghi o i media, pongo degli interrogativi cui cercherò di rispondere più avanti nella ricerca: è possibile una traduzione cinematografica dell'esperienza traumatica? E, in assenza di luoghi dedicati, può un film svolgere la funzione di sito del trauma e della sua memoria? Questi quesiti sono centrali soprattutto nel cinema bosniaco e nelle interpretazioni della guerra che registi e registe hanno dato in questo ventennio. Di fronte agli stessi interrogativi, i casi di Srebrenica, Sarajevo e le opere del cinema bosniaco femminile daranno diverse risposte.