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Parte 2 IL CINEMA TRA RAPPRESENTAZIONE STORICA E

3. Vukovar: le memorie cinematografiche di una città divisa

3.4 La costruzione cinematografica del "nemico"

Attraverso il ruolo dell'informazione dei media sulla guerra, giungiamo al secondo aspetto che ho potuto osservare sia nei testi filmici sia nei luoghi memoriali visitati a Vukovar: la creazione di una figura nemica. Branko Schmidt in Vukovar: the way home (1994) mostra una posizione netta: le vicende dei personaggi si svolgono sotto la bandiera croata, presente più volte nella scenografia, e la loro situazione è il risultato dell'aggressione serba alla città da cui sono stati cacciati e dove

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Nicole Janigro, op. cit., p. 135 61 Slavenka Drakulić, op. cit., p. 30

ancora non possono tornare. Nelle prime battute del film Darko, il bambino protagonista, legge un tema ai compagni di classe dove racconta la vicenda della comunità: un anno prima i serbi hanno occupato e distrutto Vukovar, l'antica città croata sulla riva del Danubio. L'interpretazione della storia è già chiara e fino alla fine del film i serbi occupanti continueranno a sparare ai reali proprietari che tentano di tornare alle proprie case. Il gesto finale del ragazzino, che rimette in moto il treno verso casa, è un atto disperato di ribellione, che ricorda le imprese eroiche mostrate dai film partigiani jugoslavi contro gli occupanti nazi-fascisti.

Pavlović sposta l'azione sul piano intimo dei rapporti umani di amicizia, ma portando l'ambientazione del film a Belgrado fa ben capire da dove venissero i blindati diretti alla cittadina croata. Drašković invece procede per gradi e mostra l'evoluzione dei rapporti umani in un arco temporale precedente al concreto scoppio delle ostilità, con la diffusione del nazionalismo, l'identificazione di un nemico etnico e il ruolo della propaganda nei media. D'improvviso l'amico, il parente acquisito, il vicino di casa sono diventati Altro.

Chi è questo Altro? Rada Iveković62

ha scritto lungamente su tale concetto e ne trova le radici nella cultura occidentale, dove l'identità è definita dall'appartenenza a una comunità che ha come fondamento l'esclusione dell'Altro. E nel caso dei nazionalismi riscoperti negli anni '90, la nuova identità collettiva è definita attraverso la negazione di tutti coloro che rimangono al di là del margine esterno e che non si adeguano alla norma del gruppo. La norma è data dal riconoscimento di un'istanza superiore, rispetto a cui l'individuo rinuncia alla propria specificità e il vicino è accettato solo in quanto membro dello stesso gruppo come la nazione o l'etnia. Tale istanza superiore garantisce una dimensione di universalità che integra i singoli individui, ma tale universalità è sempre relativa, basata sulla negazione di altri individui, quelli esclusi. L'identificazione nel gruppo diventa un richiamo forte soprattutto in periodi di minaccia esistenziale, economica o identitaria, a cui la guerra appare come unica "soluzione".

Tutti e tre i film girati a Vukovar mettono in scena tale meccanismo di costruzione dell'alterità, dove l'immagine televisiva diventa il perno centrale del rapporto tra vittime e aggressori. Dubravka Žarkov63 ha studiato la rappresentazione del corpo nel rapporto tra guerra, media e appartenenza etnica. La rappresentazione del corpo del nemico (e di conseguenza della vittima), attraverso i media, ha assunto il potere di produrre l'appartenenza etnica e questo processo, come in un circolo vizioso, dapprima ha condotto allo scontro, come mostra il film di Drašković, e successivamente ha sostenuto la necessità di annientare l'Altro, come spiega Rada Iveković. Žarkov sostiene che nell'ex-Jugoslavia due tipi di guerra erano in atto, attraverso cui veniva prodotta l'etnicità: la guerra dei media e la guerra etnica. Lo scontro mediatico è cominciato molto prima che si cominciasse a sparare, ma le sue conseguenze sono visibili ancora oggi; la guerra etnica invece è quella più manifesta, scoppiata solo negli anni '90. Entrambe hanno prodotto e

62 Rada Iveković, La balcanizzazione della ragione, Roma, Manifestolibri, 1995

63 Dubravka Žarkov, The body of war. Media, ethnicity, and gender in the break-up of Yugoslavia, Durham- Londra, Duke University press, 2007, Kindle e-book

forse tuttora producono gruppi etnici. La guerra dei media è iniziata, ed è stata possibile, nel momento in cui i sistemi informativi dei singoli stati hanno cominciato a diventare autoreferenziali, a chiudersi e censurare i contenuti provenienti dai sistemi di informazione degli altri stati. Non bisogna sottovalutare la violenza nelle pratiche mediatiche di produzione di etnicità, perché molto probabilmente hanno lasciato le radici più profonde e durature degli atti compiuti in battaglia. Entrambe le guerre, mediatica e etnica, sono state efficaci nel definire persone e territori su base razziale. Agiscono con mezzi differenti: al posto dell'atto fisico violento, la guerra mediatica usa parole, immagini, riprese, montaggio. Certo questi strumenti nelle mani della propaganda non possono essere paragonati alla violenza fisica della guerra, ma qui si vuole osservare come, nella vicenda dell'ex-Jugoslavia, entrambi questi sistemi siano stati attivi, e i film realizzati sulla vicenda di Vukovar hanno saputo registrare, nella finzione, tale fenomeno.

Le storie individuali inserite nei notiziari, le strategie di rappresentazione e la trasmissione ripetitiva, utilizzate dalla propaganda di tutte le parti coinvolte, diventano modi per affermare un'inclusione o un'esclusione, per definire i gruppi e i luoghi su base etnica, segnare chi vi può appartenere e chi no. Queste pratiche continuano ancora oggi, per indicare chi pubblicamente può preservare il ricordo, come ho osservato nella mia visita ai diversi luoghi memoriali di Vukovar. La violenza della guerra e la sua rappresentazione mediatica hanno contribuito insieme a definire la stessa realtà materiale e discorsiva, che si riflette sulla concezione del corpo dell'Altro nemico, un corpo a cui sono attribuite categorie di genere e etnia come significati evidenti, empirici, ma che in realtà sono costruiti politicamente. La fisicità del corpo "etnicizzato" non può essere separata dai significati simbolici che gli sono attribuiti.

Tutti e tre i film su Vukovar rielaborano la costruzione di un Altro, etnicamente identificato, giungendo a conclusioni rappresentative differenti. In Vukovar: the way home Branko Schmidt imposta tutto il film sulla contrapposizione tra vittima e aggressore, dando a entrambi una chiara connotazione: la vittima è croata, l'aggressore serbo, le sequenze di repertorio mostrate sono le stesse visibili anche negli altri due film ma, inserite in quel contesto, non fanno altro che confermare tale narrazione, illustrando "la realtà" dell'aggressione e della guerra. Come si può rappresentare un nemico? Semplicemente non mostrandolo, facendone solo sentire la presenza attraverso alcuni elementi, come gli spari, tecnica in cui il genere western ha lasciato i migliori esempi. I personaggi del film di Schmidt non giungono mai faccia a faccia con chi dall'altra parte spara: senza un rispecchiamento non può avvenire un'identificazione e un riconoscimento; i personaggi, e con loro anche lo spettatore, non possono riconoscersi nell'Altro, scoprire l'immagine di un altro uomo uguale a sé e così smontare la costruzione del nemico etnico operata dalla propaganda. Il film di Schmidt mette in scena quello che Luigi Alfieri64 definisce come dicotomia tra il nemico assoluto e la vittima assoluta: quello assoluto è il nemico costruito dall'immaginario, colui

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Luigi Alfieri, Guerra dei mondi: la costruzione distruttiva dell'alterità, in Giuliana Parotto (a cura di), Le

che uccidiamo perché sappiamo che vuole ucciderci, l'immagine falsa che funge da giustificazione al nostro atto di uccidere, a cui fa riflesso il ritratto di una vittima passiva, quasi destinata a essere tale. Queste premesse si traducono poi in una realtà di nemici immaginari e vittime reali.

Gli altri due film invece fanno dello svelamento del nemico il senso stesso della tragedia finale. L'apice del crescendo drammatico, costruito in Vukovar, a story, consiste in una delle sequenze finali dove Toma si ritrova a combattere tra le fila dell'Armata popolare nelle strade di Vukovar, l'esercito sta sparando contro una casa dove probabilmente si nascondono dei difensori croati. Toma si rende conto che il bersaglio è casa sua e che il "nemico" lì nascosto è sua moglie Ana. Con un meccanismo simile nel finale di Dezerter il protagonista si ritrova davanti a uno dei disertori che nel suo lavoro ha sempre identificato come "nemici": i suoi fantasmi interiori, richiamati dalla presenza continua delle immagini televisive di Vukovar, si materializzano nella figura dell'amico disertore dentro al carro armato. In entrambi i film il dramma della guerra si traduce nell'incontro traumatico con se stessi nella figura dall'altra parte della barricata: «l'annientamento dell'Altro si trasforma necessariamente, in un secondo tempo, in una autodistruzione»65.

3.5 Il ruolo dell'immagine mediatica e la costruzione della figura del nemico