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Parte 1 MEMORIA, OBLIO E TRAUMA

6. Trauma e memoria

6.2 Trauma e testimonianza

Per le caratteristiche e i tempi in cui si manifesta, il trauma è una categoria di analisi che sfugge a tutte le categorizzazioni convenzionali. La sua particolarità in relazione alla memoria e all'oblio mette in discussione prima di tutto il concetto di esperienza, e la sua comunicazione. Questo punto, analizzato da Ernst Van Alphen nel libro Acts of memory, mi sembra molto importante per l'analisi successiva relativa all'espressione artistica dell'esperienza traumatica attraverso il cinema. È difficile rispondere alla domanda come "guarire" il trauma, forse impossibile, ma cambiare le categorie di partenza nell'ascolto dell'esperienza traumatica (come proponeva anche Cathy Caruth) può essere l'inizio di un adeguato percorso di comunicazione e rielaborazione, soprattutto

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Cathy Caruth, Unclaimed Experience. Trauma, narrative, and history, Baltimore, The Johns Hopkins University Press, 1996, p. 17

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in ambito storico dove la testimonianza non è solo un racconto individuale, ma assume un valore collettivo.

Riprendendo un articolo di Joan W. Scott, Van Alphen204 propone una nuova concezione del termine "esperienza" che, a contatto con il trauma, dimostra l'inadeguatezza del suo valore storico. Nell'analisi storiografica l'esperienza si propone comunemente come punto di riferimento vero, auto-evidente e origine esplicativa dei fatti generali. Nella storiografia moderna l'esperienza è diventata il momento fondante su cui si basa l'analisi. Nel ventesimo secolo al significato di testimonianza soggettiva, autentica e indiscutibile, si è aggiunto il significato di fattore esterno a cui l'individuo reagisce. L'esperienza quindi si presenta come categoria che identifica ciò che succede all'interno e all'esterno dell'individuo, ma, nella varietà di significati che il termine assume, l'esistenza umana è un dato scontato che si costituisce di esperienze. La categoria esperienza però incontra qualche problema quando si tratta di comprendere come questa contribuisca alla formazione della soggettività di fronte al trauma. Van Alphen definisce "esperienza fallita" dove il trauma rappresenta proprio l'impossibilità di esperire il fatto accaduto e farne memoria, quindi vissuto personale. Il trauma e la sua comunicazione mostrano l'inadeguatezza della categoria dell'esistenza individuale come dato scontato, occorre invece considerare la soggettività come costituita discorsivamente. In questo senso l'esperienza diventa un evento linguistico che non può essere limitato alle strutture di significato esistenti. Tale limite è apparso evidente di fronte ai testimoni della Shoah e alla loro difficoltà nel far comprendere come, anche dopo la liberazione, l'esperienza del campo di concentramento continuasse nella loro mente e non potesse essere trasmessa attraverso le categorie temporali di pre- e post- bellico.

Considerando il trauma come discorso, la narrazione diventa condivisa e l'esperienza non solo individuale, ma collettiva. Nella trasmissione di vicende traumatiche i piani della testimonianza soggettiva e del linguaggio come strumento collettivo della storia devono collaborare per l'avvio di un processo, sia storico sia individuale, di rielaborazione. Se l'identità individuale è il risultato del processo discorsivo delle esperienze personali e se questo ha conseguenze sulla formazione dei ricordi, allora l'esperienza e gli strumenti per la sua narrazione non possono essere considerati come due ambiti separati. Il trauma rappresenta la rottura di questa interconnessione: infatti, spiega Van Alphen, la vita dei sopravvissuti all'Olocausto (si basa sullo studio Holocaust

Testimonies compiuto da Lawrence Langer nel 1991) non poteva essere rappresentata perché la

sopravvivenza in un campo di concentramento non poteva essere comunicata attraverso la struttura convenzionale di significati.

L'Olocausto ha messo in evidenza l'inadeguatezza di un linguaggio che non riusciva a offrire termini e posizioni in cui questi testimoni potessero identificarsi e attraverso cui l'ascoltatore potesse riconoscersi. Il ruolo centrale della testimonianza nella vicenda dell'Olocausto, e

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Ernst Van Alphen, Symptoms of Discursivity: Experience, Memory, and Trauma, in Mieke Bal, Jonathan Crewe, Leo Spitzer (a cura di), Acts of Memory. Cultural Recall in the Present, Hanover, University Press of New England, 1999

aggiungerei anche successivamente nel conflitto dell'ex-Jugoslavia, negli anni ha dimostrato come sia necessario trovare delle forme di discorsività condivisa tra ascoltatore e testimone per una rielaborazione del trauma e per la sua trasformazione in memoria. La discorsività implica considerare l'identità, e quindi il linguaggio che la comunica e la costruisce, non una categoria universale, ma come costruzione sociale. Una visione discorsiva della memoria permette di comprendere anche la sua capacità di mettere in connessione gli individui e le esperienze. Solo considerando la memoria non come una componente data a priori, ma come qualcosa che l'uomo produce insieme ad altri individui che condividono la stessa cultura, è possibile superare l'impasse dell'incomunicabilità del trauma riscontrata negli anni '90 dagli studi sull'Olocausto.

Nonostante le difficoltà e i limiti delle strutture convenzionali del linguaggio, messi in evidenza da Van Alphen, la narrazione del trauma rimane un punto chiave per la sua rielaborazione, proprio perché il racconto implica la condivisione e quindi una modificazione degli schemi di significato. Anche Aleida Assmann aveva affrontato questo tema nella comunicazione dell'esperienza traumatica della guerra a livello letterario, portando come esempio Mattatoio 5 di Kurt Vonnegut. All'interno dei Trauma Studies questo appare un punto importante anche per comprendere lo sviluppo di altre forme di narrazione del trauma che uniscono la dimensione individuale della singola vicenda a un messaggio collettivo. Negli ultimi decenni le arti e i media hanno offerto numerosi esempi di narrazione del trauma di fronte al grande dramma del XX secolo, l'Olocausto, che è anche uno dei casi più analizzati dagli studi sul trauma e sulla memoria. Le arti, la letteratura, i media hanno portato la narrazione del trauma individuale e storico in una dimensione collettiva di condivisione, favorendo una rielaborazione non solo per il singolo testimone, ma per intere generazioni. Il tema sarà centrale nella seconda parte di questa ricerca in cui, tra le arti, il cinema si propone come veicolo di narrazione del trauma nel dopoguerra di uno dei conflitti più recenti in Europa, nel territorio dell'ex-Jugoslavia.

Susan J. Brison205, in Acts of memory, sottolinea come i ricordi traumatici si caratterizzino per il fatto di costituire una memoria somatica legata al corpo: il corpo diventa "lo schermo" su cui si manifestano i segnali di reminescenza del trauma e i suoi sintomi, quindi prima della mente è il corpo che ricorda. La rappresentazione del corpo in relazione al trauma è un tema che ritorna anche nel contesto artistico e mediale, alcuni registi infatti hanno adottato la rappresentazione del corpo come cifra stilistica per offrire una narrazione in contesti in cui il trauma collettivo è ancora presente, come nel caso della Bosnia Erzegovina.

Il trauma si caratterizza anche per la conseguente distruzione nella vittima di una propria percezione di sé nel tempo, per questo, sottolinea Brison, i racconti traumatici sono atti narrativi di memoria che contribuiscono alla ricostruzione della personalità. Per la persona sopravvissuta l'atto del racconto permette di dare forma e ordine temporale agli eventi ricordati, e quindi aiuta sia a

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Susan J. Brison, Trauma narratives and the remaking of the self, in Mieke Bal, Jonathan Crewe, Leo Spitzer (a cura di), Acts of Memory. Cultural Recall in the Present, Hanover, University Press of New England, 1999

esercitare un controllo su tale memoria sia a ridefinire la propria identità. La ricostruzione, che richiede nuovi schemi di pensiero in cui riconoscersi, implica anche un ribaltamento di ruolo: da oggetto del discorso di qualcun altro (degli esecutori del crimine, per esempio) a soggetto attivo della propria storia. Portare testimonianza dell'evento traumatico, secondo Brison, favorisce tale cambiamento prima di tutto per la vittima, permettendo di trasformare il ricordo in una narrazione coerente che può entrare a far parte della propria immagine di sé. Inoltre la testimonianza aiuta a trasformare il trauma in memoria anche per la collettività e a reintegrare la vittima nella comunità. Il testimone, soprattutto in un contesto di testimonianza storica, porta il trauma dalla dimensione privata a quella collettiva, sviluppa l'autoconsapevolezza dell'intera comunità, di una generazione.

La narrazione può diventare parte della memoria collettiva e culturale oppure rimanere presente nella dimensione pubblica in forma di contro-memoria. Brison avanza due considerazioni (che si collegano alla questione del linguaggio) sul fatto che la memoria traumatica diventi parte di quella culturale. Primo, il contesto culturale condiziona non solo come gli eventi traumatici siano vissuti, ma soprattutto come vengano percepiti e rappresentati, quindi ciò che è successo a una persona, come a una collettività, può essere compreso solo attraverso i significati assegnati al trauma e attraverso le parole usate per definirlo. Secondo, la possibilità che il trauma sia ricordato, e le modalità con cui ciò avviene dipendono non solo da come è vissuto, ma anche da come è percepito dagli altri e dall’empatia che la testimonianza del sopravvissuto è in grado di suscitare.

Il rapporto con gli altri rimane un punto fondamentale per la trasformazione della memoria traumatica in narrazione di sé: «In order to construct self-narratives we need not only the words with which to tell our stories, but also an audience able and willing to hear us and to understand our words as we intend them. This aspect of remaking a self in the aftermath of trauma highlights the dependency of the self on others and helps to explain why it is so difficult for survivors to recover when others are unwilling to listen to what they endured».206

Shoshana Felman e Dori Laub207 hanno probabilmente realizzato il più importante studio sul trauma, focalizzandosi sul rapporto tra testimone e ascoltatore. Le teorie di Laub sul ruolo dell'ascoltatore nel processo di testimonianza derivano dalla sua esperienza concreta: è stato uno dei fondatori del Fortunoff Video Archive for Holocaust Testimonies dell'Università di Yale; ha compiuto numerose interviste a sopravvissuti dell'Olocausto, inoltre in qualità di psicanalista ha assistito numerose vittime della Shoah e i loro figli. Infine egli è un sopravvissuto a un campo di concentramento dell'Est Europa. La sua teoria comincia dalla posizione particolare di un ascoltatore di fronte a un trauma psichico di massa: non si trova in presenza di documenti o artefatti, ma deve confrontarsi con l'assenza, qualcosa che ancora non esiste e che deve invece ancora essere registrato.

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Ivi, p. 46 207

Shoshana Felman, Dori Laub M. D., Testimony. Crises of witnessing in literature, psychoanalysis and

Risulta importante la distinzione tra l'evento originario del trauma, di cui è possibile avere prove e documenti storici in grande quantità (come nel caso dell'Olocausto), e il trauma, che non è stato ancora veramente testimoniato e di cui forse non c'è neppure piena consapevolezza. Il luogo e il momento in cui inizia una consapevolezza e una conoscenza dell'evento traumatico consiste nella nascita di una narrazione che è ascoltata, per cui l'ascoltatore diventa parte della creazione di un linguaggio nuovo. La testimonianza del trauma non può esistere senza la presenza del suo ascoltatore che è «the blank screen on which the event comes to be inscribed for the first time»208, (sottolineiamo come ritorni la figura dello schermo).

L'importante novità della teoria di Dori Laub sta nell'affermare che non solo l'ascoltatore ha un ruolo attivo nel processo di testimonianza, ma è anche comproprietario dell'evento traumatico poiché, attraverso il suo ascolto, egli giunge ad assumere parzialmente l'esperienza del trauma su di sé. L'ascoltatore quindi condivide la lotta del testimone con le memorie e il lascito del passato traumatico, deve imparare a riconoscere dall'interno vittorie, sconfitte, silenzi della vittima, affinché queste prendano la forma della testimonianza. Allo stesso tempo però l'ascoltatore deve restare un individuo indipendente, che pur assumendo il trauma su di sé non prenderà mai il posto di vittima. Rimanendo consapevole del proprio ruolo, egli può portare avanti il compito di testimone del trauma altrui e di testimone di se stesso in quella situazione; solo attraverso la contemporanea consapevolezza di possibili ostacoli in sé e nel testimone egli potrà favorire la testimonianza.

L'atto della narrazione può essere un passaggio molto traumatico per la vittima, perché si tratta di ri-vivere l'evento; se inoltre la narrazione non fosse oggetto di un ascolto attento e partecipe, potrebbe essere vissuta come un ritorno del trauma. L'assenza di un destinatario, attraverso cui il trauma diventi memoria, può solo annichilire una narrazione che così non ha la possibilità di farsi testimonianza. Il trauma si manifesta al di fuori dei normali parametri di spazio, tempo, successione, causalità. L'assenza di tali categorie lo rende, per chi lo vive, un fenomeno senza inizio e fine, e senza un legame con le altre esperienze di vita, dotato però di un'ubiquità atemporale. Fuori da tali categorie, il trauma appare alla vittima come la manifestazione di un destino che resta oltre ogni comprensione, ma si ripete nel reale.

Nel lavoro con i sopravvissuti dell'Olocausto, Laub spiega come il percorso terapeutico consista prima di tutto nella ricostruzione della storia del trauma, in una ri-esteriorizzazione dell'evento, che può avvenire solo nel momento in cui il sopravvissuto possa trasmettere la propria storia a un altro, e quindi trasferire l'evento fuori da sé. Il primo passo in questo processo è una reciproca accettazione, tra testimone e ascoltatore, della realtà dell'evento traumatico, in questo caso dell'Olocausto. Ascoltatore e testimone devono quindi creare un'alleanza, una forza congiunta, stabile a tal punto da poter accettare insieme l'orrore del genocidio. L'esperienza personale di Laub comprende entrambe le posizioni, in qualità di analista di sopravvissuti dell'Olocausto e di testimone storico per il Fortunoff Video Archive di Yale.

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Egli sostiene come testimonianza e pratica psicanalitica siano in sostanza molto simili per il narratore come per l'intervistatore/terapeuta. Da un punto di vista clinico anche nell'intervista testimoniale egli vede la messa in atto di un «brief treatment contract»209, una specie contratto stipulato per un periodo di tempo limitato da due persone per cui una si impegna in una ricostruzione della propria storia, l'altra ad assisterla e proteggerla per tutta la durata della sua testimonianza. Tale metafora serve per sottolineare il ruolo dell'ascoltatore/intervistatore/terapeuta in una lotta per far uscire la vittima da silenzio e solitudine. L'ascoltatore è colui che tiene la bussola in questo viaggio difficile in cui la vittima è, almeno all'inizio, cieca. Nel "contratto" stipulato con la vittima, l'ascoltatore si assume il compito di tenere il filo della narrazione del trauma, di gestire l'impatto che i frammenti del racconto avranno sulla ricostruzione dei fatti e di governarli, e soprattutto deve riuscire a guardare oltre la situazione contingente dei singoli frammenti per inserirli in una riflessione più ampia.

Dove Dori Laub descrive il processo di rielaborazione del trauma che coinvolge due persone impegnate nei due ruoli descritti, Shoshana Felman210 invece compie un passo ulteriore, riflettendo come la singola testimonianza del trauma eserciti una funzione collettiva. Alla fine del ventesimo secolo, definito come era della testimonianza, l'autrice si interroga su quale relazione possa esserci tra trauma e pedagogia, dal momento che il ruolo centrale della testimonianza mostra le possibili relazioni tra l'ambito clinico e quello storico. Alcuni interrogativi posti da Felman sono alla base di questa ricerca e attivano una riflessione sul ruolo dell'ascoltatore nel momento in cui non si tratti più solo di una singola figura, come il terapeuta o l'intervistatore, ma di un soggetto plurale, un pubblico. Questa prospettiva si apre quando la testimonianza di un trauma storico assume la forma letteraria, artistica o di documento, come nel caso delle video-interviste dell'archivio di Yale.

Che significato assume la narrazione del trauma se si pone di fronte a una macchina da presa? Chi è l'ascoltatore di quelle video-testimonianze raccolte dal Fortunoff Archive? Quando diventa pubblico, scrive Felman, il racconto di una vita non è più soltanto una ricostruzione di fatti privati, ma un punto di unione tra vita e testo, dove la testimonianza testuale può diventare parte della vita degli ascoltatori e di un patrimonio collettivo. Il testimone attesta i fatti che ha vissuto, ma come si posiziona chi legge e guarda di fronte all'orrore di traumi storici, diventando testimone del testimone? E cosa significa per il singolo sopravvissuto rivolgersi a una possibile platea? Per il testimone è l'occasione di uscire dalla condizione di solitudine che il trauma comporta e la sua voce diventa non solo un parlare a un altro, ma per l'altro. Citando il filosofo Levinas («The witness testifies to what has been said through him. Because the witness has said ʼhere I amʼ before the other»), Felman sottolinea come, di fronte a un ascoltatore collettivo, il messaggio trascenda i limiti della testimonianza stessa: il testimone attesta una realtà di orrore che deve essere trasmessa attraverso di lui e diventa veicolo di un'eredità che deve sopravvivere al di là del suo racconto.

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Ivi, p. 70 210

Shoshana Felman, Education and crisis, or the vicissitudes of teaching, in Shoshana Felman, Dori Laub M. D., op. cit.

Qui si entra in un'altra dimensione della testimonianza del trauma, cioè quello dell'etica della memoria. Ciò che vorrei porre all'attenzione non è il senso di responsabilità insito nell'atto del ricordo collettivo; qui, in relazione al trauma, credo sia importante chiedersi come la testimonianza collettiva possa aiutare la rielaborazione nella vittima e di come avvenga una trasmissione nell'ascoltatore pubblico non del trauma, che in sé non è comunicabile, ma della narrazione che il testimone ne può fare. A questo riguardo Marcelo Pakman211, partendo da un'analisi delle opere di Borges, discute le implicazioni etiche dell'atto di testimonianza. Considerare la deposizione testimoniale quale dovere morale chiama in causa un altro attore di questo rapporto complesso, le altre vittime, coloro che non sono sopravvissuti e che ormai non possono più parlare. Essi rappresentano il potere sociale potenziale del testimone, perché se il racconto non diventasse pubblico, sarebbe come se non fossero mai esistiti e cadrebbero nell’oblio: «L'oblio viene qui definito come una mancanza di memoria collettiva»212. In questo risvolto della testimonianza, propone Pakman, il trattamento terapeutico del trauma implica trovare un posto per la testimonianza nel sociale, costruire una nuova memoria collettiva dove la testimonianza possa acquisire un significato comune.

Il testimone morale, come lo definisce Avishai Margalit213 nel suo studio The ethics of memory, è colui/colei che ha visto cosa può produrre la malvagità umana e ne ha sperimentato le conseguenze su di sé; accetta la difficoltà di una condivisione del trauma perché, alla base della sua missione, sente la speranza in una comunità di ascoltatori per cui è necessario portare alla luce il male "indicibile" che ha vissuto. Una volta trovata una narrazione del proprio trauma come parte di un grande trauma storico, anche per le vittime che ormai non hanno più voce, l'imperativo etico della testimonianza diventa il criterio attraverso cui il sopravvissuto ri-definisce la propria identità, in vista del valore collettivo che la storia individuale assume.

La spinta etica, che trascende i limiti del trauma e si incarna nel ruolo del testimone, porta a una riflessione sulla congiunzione di responsabilità e memoria214. In questa relazione diventa centrale il rapporto con l'Altro e il suo riconoscimento come interlocutore. Dove il trauma comporta l'isolamento della vittima, la testimonianza del trauma invece rappresenta un auto-riconoscimento da parte del sopravvissuto, il suo reinserimento in una comunità memoriale e il riconoscimento di un pubblico di ascoltatori verso cui si esercita un sentimento di responsabilità. Alla base di tale rapporto intersoggettivo la responsabilità si intreccia alla forma dialogica che assume la narrazione del trauma attraverso la testimonianza: se la comunicazione tra sopravvissuto e ascoltatori funziona è perché assume una forma di reciproco riconoscimento, del testimone da parte del