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4 Alperson (via Goodman) offre la tesi che la produzione musicale sia in due temp

Nel documento Che cos'è l'improvvisazione musicale? (pagine 31-33)

Entriamo nel vivo del dibattito ontologico e metafisico della musica – ma comincio con il dire che metafisica e ontologia sono due cose distinte. Dico questo perché “ontologia della musica” è l'eti- chetta che viene appiccicata indiscriminatamente a qualsiasi bottiglia della letteratura analitica. Propongo di fare chiarezza: ontologia riguarda “cosa c'è” – cioè opere e performance, spartiti, im- provvisazioni, registrazioni, ecc.; la metafisica invece riguarda “la natura di ciò che c'è” e cioè le proprietà dell'opera e quelle della performance. Se ci sono opere e come individuarle è una questio- ne ontologica, come sono fatte le opere è una questione metafisica.16

Ontologicamente, occorre approfondire adeguatamente le nozioni di “opera musicale” e di “perfor- mance”, o “esecuzione musicale”. “Performance”, in inglese, e “esecuzione”, in italiano, sono tra- duzioni combacianti, per me. Opera e performance sono due concetti che ci servono per costruire la metafisica “negativa” dell'improvvisazione.

Più sopra dicevo che l'improvvisazione musicale è un concetto pratico, cioè inquadra un certo modo di fare musica; e per me questo è un argomento sufficiente per subordinare l'analisi ontologi- ca, o meglio, metafisica, all'analisi delle prassi musicali.

Per costruire la metafisica dell'improvvisazione, mi concentro sull'articolo cardine sul tema, quello di Philip Alperson. Alperson sembra condividere all'esordio l'attenzione verso la pratica: “è proba- bilmente condiviso da tutti che, improvvisare in musica è, in un certo senso, un modo spontaneo di

fare musica” (1984, 17; corsivo mio). A parte l'appello alla spontaneità – verso cui mostrerò forti resistenze – mi sembra corretto cominciare così. È un abbrivio metafisico che si focalizza sulla pra- tica. Dopodiché l'articolo di Alperson prosegue metafisicamente: egli dà una certa definizione di cosa significa fare musica.

Mentre la bruta materia della scultura (es. marmo) può essere modellato in un oggetto ragione- volmente stabile (la statua “David”), che è in grado di persistere e rimanere relativamente iden- tico per osservazioni successive, i materiali della musica sono suoni e silenzi (o suoni intonati e

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Ridley (2003, 208) argomenta contro l'ontologia concernente la musica, adducendo il fatto che si tratta di una meta-

fisica mascherata, scissa dall'estetica. Kania (2008a, 32-35) invece è il filosofo che negli ultimi anni ha speso più inchiostro per separare la Fundamental Ontology (la metafisica, anche se chiamata ancora ontologia) dalla Higher-

silenzi, come alcuni ritengono), e suoni e silenzi sono transitori. È richiesto il costante interven- to dell’agire umano (human agency) affinché esso dia vita ad una serie di suoni musicali e quin- di a un’opera musicale, concepita come una serie di suoni pubblicamente udibili, disponibili per la contemplazione da parte degli ascoltatori. La musica deve essere eseguita (performed) e, in questo modo, sembra essere diversa dalle nonperforming arts come la pittura o la scultura. (1984, 18)

Alperson dà questa nozione metafisica in negativo della musica che sembra essere congruente con le più comuni intuizioni che possiamo avere. La musica non è come scultura, pittura, architettura e altre arti che sostanziano e concretizzano l'opera di creazione in un'opera solida che perdura per un certo lasso di tempo. La musica non dà vita ad un'opera tangibile e durevole. Il suono, ritiene Al- person, è effimero; nasce e muore in relazione all'azione umana che lo produce; somiglia al fuoco che si tiene vivo fin tanto che lo alimentiamo con la legna e soffiamo con il mantice.

Eppure, anche se non udiamo più i suoni dopo che l'agente ha smesso di eseguirli – è vero che pos- siamo ricordarli, o registrarli su un supporto, e non è poco –, nel linguaggio comune ci riferiamo al- l'opera musicale. Diciamo che Per Elisa è una sonata per pianoforte, composta da Beethoven nel 1810, in realtà intitolata dal suo autore Per Teresa. Che cos'è questa cosa che è giunta a noi dal 1810 con un titolo sbagliato – un periodo abbastanza lungo per dire che è un qualcosa di durevole? Qual è la sua natura?

Questa è la vera questione per la metafisica della musica di matrice analitica. Per il senso comune deve essere qualcosa di diverso dal suono che vibra e svanisce, visto che permane per un tempo molto più lungo.17 Quindi: ci ritroviamo ad avere i suoni transeunti in una mano, e nell'altra qualco-

sa di molto più stabile, ma oscuro. Nella prima mano teniamo qualcosa di pertinente all'idea dell'at- tività; nella seconda invece l'immagine è qualcosa di oggettuale, come una stalattite che si è forma- ta in molti anni dal lavorio della goccia di acqua dura. Alperson scrive che l'azione è quello che in- dichiamo con performance o esecuzione; l'opera che ne risulta la chiamiamo composizione.18

Due tempi di produzione di un brano musicale. “Composizione” di solito si riferisce all’atto creativo di concepire e organizzare le parti o gli elementi che costituiscono il modello o lo

17 A meno di non essere un esaltato sostenitore di Goodman, il quale per primo ha proposto al dibattito filosofico tali problemi, ironicamente facendo la fine di una cassandra, ci sono poche chances di non sostenere il senso comune in quest'intuizione. La mia idea è che un certo senso comune per entità come l'opera musicale è dovuto più a ragiona- menti storici, contestuali, pragmatici. Non mi azzardo a dire, come i nominalisti, che l'opera non esiste. Insomma vorrei tirare una “rasoiata” (alla Occam) di tutte quelle entità di cui ha senso parlare, ma di cui non ha senso suppor- re che esistano ontologicamente.

18 Qui rispetto il lessico di Alperson; ma la mia proposta consiste nel rifiuto di identificare la composizione con l'ope- ra. Anzi la composizione, in quanto arte di mettere assieme i suoni, indica tanto un'opera quanto altri modi di mette- re assieme i suoni che non hanno persistenza o ripetibilità. La “composizione” ha, nel suo significato, anche una certa sfumatura valutativa: intende dire che i suoni stanno bene assieme.

schema del tutto musicale (“la composizione”). L’“esecuzione”, d’altro lato, di solito si riferi- sce all’attività di esecuzione con cui la composizione è resa in una sequenza di suoni. […] la composizione è la causa di quello che viene dopo, l’esecuzione.

E l'improvvisazione, che è un fare musicale spontaneo, da quale parte sta? Dalla parte della compo- sizione o della performance? Veniamo dunque alla prima tesi metafisica di Alperson sull'improvvi- sazione:

La distinzione tra composizione e performance, nella prassi musicale convenzionale, conduce a due concezioni tipiche di quell’attività spontanea di fare musicale che chiamiamo “improvvisa- zione musicale”, entrambe le quali hanno una certa validità. In primo luogo possiamo conside- rare l’attività dell’improvvisazione come una specie di composizione, una concezione che tro- viamo implicita nelle definizioni come questa: “improvvisare = comporre (poesia, musica, ecc.) sull’impulso del momento”. In alternativa possiamo considerare l’improvvisazione come un tipo di performance, come troviamo in questa definizione di improvvisazione: “l’arte di esegui- re la musica in modo spontaneo, senza l’aiuto di manoscritti, appunti o memoria”.

Dunque la prima tesi metafisica, che chiamo “la tesi dell'improvvisazione in dei due tempi”, si compone dalle seguenti affermazioni: 1. l'attività musicale convenzionale è una medaglia a due fac- ce, composizione (l'opera “stabile”) e performance (evanescente); 2. la composizione è la causa della performance (dalla penultima citazione); 3. l'improvvisazione attiene sia al dominio della composizione che a quello della performance.

Proviamo a prendere i 3 punti come se facessero parte di un sillogismo. Se l'improvvisazione ap- partiene ad entrambe le facce della medaglia, allora è ragionevole sostenere che essa saldi le solu- zioni di continuità tra composizione e performance. La natura dell'improvvisazione musicale è tale da sfumare i confini rigidi tra i due momenti della produzione musicale tradizionale. L'improvvisa- zione non è la scelta di un'alternativa (o l'improvvisazione nella composizione o l'improvvisazione nella performance), ma è una questione di grado. Il rapporto di causa/effetto ottiene un legame bi- condizionale. Questo sarà, come vedremo, l'obiettivo argomentativo dell'articolo di Alperson: mo- strare l'inconsistenza di una dicotomia forte tra composizione e performance, al posto della quale proporre un modello metafisico alternativo.

5 Goodman ha avuto l'idea filosofica di separare composizioni e per-

Nel documento Che cos'è l'improvvisazione musicale? (pagine 31-33)

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