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Un platonismo parmenideo La proposta di Dodd

Nel documento Che cos'è l'improvvisazione musicale? (pagine 75-79)

10 L'ontologia type/token e il platonismo musicale

10.4 Un platonismo parmenideo La proposta di Dodd

Il contributo di Dodd al platonismo colpisce per l'estremo livello di astrattezza. Sospetto che a Dodd non importi nulla della musica concreta; piuttosto come spesso capita di leggere tra le sue pa- gine, il suo è un mero esercizio di logica speculativa.

Vediamo come si configura l'ultima versione di platonismo sul mercato. Delineo tre punti: 1. cos'è l'opera; 2. cosa vuol dire comporre; 3. cosa vuol dire improvvisare.

Il primo punto. Dodd rifiuta senza appelli di includere i concreti per la definizione dell'opera (2000, 424). Rispetto a Kivy (“Orchestrating Platonism” in Kivy 1993), Dodd rifiuta anche l'identificazio- ne dell'opera con la struttura sonora espressa in partitura, poiché molte opere non hanno una parti- tura, e le opere hanno proprietà che le partiture non hanno. Secondo Dodd la struttura sonora non è altro che una struttura sonora.53 Dodd sposa un “sonicismo puro” escludente la notazione, la stru-

mentazione e il contesto (Dodd 2007, 201 e segg.): il suo platonismo è radicale rispetto a quello di Levinson. La struttura sonora di Dodd è come il “pensiero” di Frege. Per Frege i pensieri sono enti- tà eterne, senza portatori perché trascendentali – così per Dodd è la struttura sonora, anche se, come vediamo, le strutture sonore non abitano un mondo iperuranico. La proposta platonista di Dodd re- cupera da Wolterstorff anche l'idea che il type condivida i predicati con i propri token, ma non le proprietà (Dodd 2007, 46).54

Come per Wolterstorff, anche per Dodd “essere composta da” è un predicato che non è una proprie- tà condivisa dall'opera con le sue istanziazioni (Wolterstorff dice che il predicato è usato in modo analogico; vedi Dodd 2007, 120), né il type ha le proprietà che hanno i token, ad esempio le pro- prietà fisiche o spazio-temporali. Però per Dodd la cosa è molto più complicata che per Wolter- storff. Infatti Dodd avanza l'idea che il type non abbia parti spaziali, né temporali; che sia astratto, fisso, immutabile ed eterno. Il platonismo di Dodd somiglia per questo motivo ad un “parmenidi- smo” musicale.

La complicazione sorge nel momento in cui Dodd specifica il rapporto che c'è tra l'opera-type e l'occorrenza. Dodd pensa ci sia una relazione di associazione tra la proprietà “essere un'occorrenza di quel type” e il type: cioè il type è il valore della funzione “essere l'occorrenza di quel type”. E tale proprietà, dice Dodd, come tutte le proprietà è una proprietà eterna. Questo vuol dire che il

53 Per una discussione critica, vedi David Davies 2009b.

54 In generale, facendo metafisica analitica, si dice proprio essere questa la differenza tra un type e un kind. Per questa differenza semantica Wolterstorff dice che l'opera è un kind. Invece in Dodd la differenza tra type e kind non è ac- cennata; ogni tanto usa “kind”, molto più spesso usa “type”.

type è associato concettualmente al token (Dodd 2002, 381-2; 2007, 59 e segg.), poiché è istanziato nella proprietà del token che lo rende appunto il token di quel type. Come diceva Parmenide, essere e pensare sono la stessa cosa – una cosa senza parti, assoluta, eterna.

Il type eredita le condizioni di esistenza dalle proprietà associate e siccome le proprietà sono eterne, così sono i type. (Dodd 2002, 389-90).

Una proprietà è essenzialmente il genere di cosa che è adatta ad essere istanziata, e così le pro- prietà non sono autosussistenti, e l'istanziazione non è una stramba relazione che scavalca regni ontologici. (Dodd 2007, 62)

Pensare ad una proprietà è pensare a qualcosa che la ha, precisamente perché le proprietà sono essenzialmente istanziabili (ad un certo tempo o ad un altro). (Dodd 2007, 63)

Il problema dell'opera è per Dodd un problema di proprietà. Ma perché Dodd dice che le proprietà, così come i type, sono eterne, astratte e pure? Perché secondo lui le proprietà non sono che astra- zioni rispetto ai mondi possibili. Per esempio, la proprietà “essere un bambino nato nel 2050” è una proprietà eterna: è possibile; ancora non si è verificata, ma la condizione che si verifichi è sempre possibile. Quando un bambino nascerà nel 2050 si sarà realizzata, secondo Dodd, un'occorrenza di questa proprietà, non la proprietà in sé (Dodd 2007, 64 e segg.).

Quindi la proprietà “essere un'occorrenza di quel type” è una proprietà eterna, così com'è il type stesso, il quale è concettualmente il valore dell'occorrenza. Non conta quando tale proprietà trova una reale occorrenza, oggi, mille anni fa o tra diecimila anni. Conta, per il platonismo di Dodd, che tale proprietà sia istanziabile in quanto possibilità. L'identità di un type è data dalle sue possibili

istanziazioni, non da quelle effettivamente occorse. Il type-opera, essendo la proprietà che un token ha di essere di quell'opera, deve esistere logicamente, per Dodd, prima del token. Cioè deve esistere eternamente, perché l'occorrenza si può realizzare oggi, mille anni fa o tra diecimila anni.

Dodd chiama la sua proposta la “simple view”. Cioè Dodd crede sul serio che la sua proposta sia semplice ontologicamente. La semplicità della sua proposta platonista consiste nel poter fare a meno di un “terzo regno” fregeano-platonico in cui i type stanno, e che Kivy in qualche modo sup- pone esistere nella “testa” dei compositori. Per Dodd i type sono entità legate logicamente e concet- tualmente ai token.55

La strada che lo ha portato a delineare questa ontologia, ripeto: parmenidea e fregeana, è una strada che secondo me prende però troppo sul serio la questione della ripetibilità o della quantificazione

55 Vedi anche Armstrong, 1997. La metafisica di Armstrong viene ripresa da Dodd; ma mentre Armstrong rimane fe- dele ad un ragionamento sulle proprietà, Dodd declina tale metafisica in chiave musicale. Questa è un'operazione che non va da sé, ma Dodd è molto bravo a giustificarla (Dodd 2007, 99 e segg.; vedi Caplan e Matheson 2004, 125 e segg.)

delle proprietà. Sembra che Dodd assuma che l'opera sia una specie di funzione matematica, in cui l'occorrenza sta come una variabile. Ma le opere musicali esistono veramente in questo modo? Il secondo punto. Dodd rilancia la composizione come una scoperta della struttura sonora (vedi Dodd 2007, 112 e segg.). Se Levinson dice che l'opera è un type indicato dal compositore, legato alla sua persona nel suo contesto, Dodd risponde che ciò non è accettabile. Non lo è perché un astratto, qual è la struttura sonora, non può entrare in una relazione causale di nessun tipo. Né un compositore può rivendicare la paternità o il possesso della propria opera. O almeno, non lo può fare finché assume che ciò che fa, comporre, sia una creazione.

Comporre è invece una scoperta, pensa Dodd. Il contesto per la scoperta conta solo in quanto, ad un certo punto, le sue condizioni contestuali la rendono possibile; ma l'opera di per sé non intrattiene relazioni né con il compositore, né con il suo contesto di composizione. Comporre non è creare qualcosa che non esisteva, ma “accendere” all'esistenza qualcosa che non c’era prima in quel modo lì, scoprire qualcosa che preesisteva e renderlo epistemologicamente conoscibile per gli uomini. Una conseguenza di questo concetto di composizione è che quando diciamo che i musicisti fanno musica, secondo Dodd diciamo che fanno una performance dell’opera, non l’opera in sé. L'opera in sé, in realtà, non si fa; si scopre. In ciò, Dodd si pone in contrasto con il platonismo di Wolterstorff e Levinson e in continuità con quello di Kivy, poiché il suo programma platonista assume che la composizione non sia che una sorta di selezione valutativa delle strutture eterne preesistenti. Il compositore alla fine indica su partitura ciò che esiste già, eternamente. E ciò basta per Dodd per rivendicare un rapporto intimo tra lo scopritore e la sua scoperta: come quando, ad esempio, dicia- mo “il teorema di Pitagora”, attribuendo indebitamente nel linguaggio ordinario un eterno al suo scopritore. Questa sentenza attributiva mostra un difetto linguistico, tipico dell'uso comune, più che un'idea ontologica.

Nonostante tutte queste differenze a proposito del creatability claim, la nozione di composizione di Dodd si mostra vicina a quella di Wolterstorff. Cosa scopre infatti il compositore? Comporre è spe- cificare le proprietà che deve avere un token per essere un token di quel type. La selezione valutati- va è normativa insieme. L’identità di un type è data dalle condizioni che un token deve soddisfare per essere un token di quel type. E, ripeto, non serve che i token siano effettivamente realizzati, ba- sta che siano concettualmente possibili.

Primo, i types non hanno le loro istanziazioni essenzialmente: ciò che rende il type K quel type è che pone certe condizioni a ciò che è una delle sue occorrenze (propriamente formate); che abbia le occorrenze che ha, è qualcosa che non ha nulla a che fare con la sua individuazione. [...]

Secondo, dal momento che un type è individuato dalle condizioni che un'entità deve avere per essere una delle sue occorrenze (propriamente formate), ne segue che i type – a differenza delle classi – sono oggetti intensionali. (Dodd 2007, 40)

La nozione di possibilità, benché sia musicalmente ingombrante e inammissibile – diremmo per esempio che il materiale a disposizione di un compositore sia “eternamente disponibile”? Come se fosse possibile per Monteverdi comporre con la serie dodecafonica, le inversioni e i retrogradi? – è comunque interessante per la filosofia dell'improvvisazione. Vedremo più avanti che l'improvvisa- zione, in un certo senso, è strettamente legata a una definizione modale: è una possibilità concreta- mente realizzata tra molte alternative.

Veniamo così al terzo punto. Curiosamente, gli esempi che fa Dodd di musical works sono spesso lontani dall'idea che le performance sia una mera ripetizione di un qualche type: ad esempio In This

House, On This Morning di Wynton Marsalis. Noi la classificheremmo come un pezzo jazz: anche se l'improvvisazione di Marsalis è più vincolata al concetto di “tradizione”, di quanto siano altri tipi di improvvisazione jazz. La strategia di Dodd vuole quindi dimostrare come ogni pezzo, ogni to-

ken, di qualunque prassi musicale, è un token di qualche type eterno. La visione di Dodd è quindi contrastante a quella di Alperson, per il quale la musica improvvisata è 1. un type con un solo to-

ken; 2. un type nato proprio da quel token; e 3. un type irripetibile, che muore nel momento in cui la performance è conclusa. Per Dodd anche la musica improvvisata è un type: eterno, immutabile, fisso, senza parti interne; benché tale type sia improvvisato, per Dodd non aumenta il numero di og- getti ontologici.

In conclusione, mi chiedo se il ragionamento modale abbia senso per un'ontologia musicale: faccia- mo una classificazione degli oggetti musicali a partire da ciò che poteva o potrebbe o potrà essere? O a partire da ciò che abbiamo e che si è verificato nella prassi (Goehr 2007, 59 nota 17; Caplan e Matheson, 2004, 125-132)?

Non credo che né per il senso comune, né per la pratica critica, questo tipo di ipotesi modali abbia un qualche attecchimento. Le nostre intuizioni pre-teoretiche e la nostra pratica valutativa e critica non tiene conto di ipotesi, ma di fatti. Per esse è un fatto che la musica non sia una cosa eterna af- ferrata da un compositore con un balzo trascendente; è un fatto che l'improvvisazione sia qualcosa di legato a un certo momento e non un eterno. Io penso che queste credenze siano comunque argo- menti forti. Si può benissimo concedere alla speculazione di farne a meno, e di decidere dei fatti ontologici secondo criteri logici, di coerenza interna, di bellezza e di sistematicità; criteri dunque avulsi dalla pratica. La simple view di Dodd è veramente così “simple”?

Nel documento Che cos'è l'improvvisazione musicale? (pagine 75-79)

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