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La tesi di Goehr

Nel documento Che cos'è l'improvvisazione musicale? (pagine 100-103)

11 Un'opera è definita dalle proprietà che ha?

11.1 La tesi di Goehr

Intanto notiamo che la filosofia analitica della musica considera come suo esempio paradigmatico la pratica musicale che vede Beethoven al centro (Goehr 2007, 205-242). Nel linguaggio ordinario la chiamiamo “musica classica”.72

La mossa successiva di Goehr è innanzitutto quella di spostare l'attenzione dalla metafisica e dal- l'ontologia della “opera” – cosa è un'opera e quali sono le condizioni di identità tra l'opera e le per- formance – al “concetto di opera” come costrutto storico-sociale, cioè a quei tratti che si sono attri- buiti al concetto dell'opera in un certo contesto.73 Quindi abbiamo che non solo l'opera Quinta Sin-

fonia prescrive le proprietà che un'occorrenza deve possedere per essere un'occorrenza corretta del- l'opera; ma anche l'opera Quinta Sinfonia ha delle proprietà attribuite da qualcuno che ci fanno dire che si tratti di un'opera in quanto astratto, type o kind. Goher non si concentra su frasi come “questa esecuzione è un'occorrenza corretta della Quinta Sinfonia”, ma su giudizi come “La Quinta Sinfo-

nia è un'opera musicale, mentre L'incoronazione di Poppea non lo è”. Apparentemente un giudizio del genere è controintuitivo e fortemente revisionistico della pratica critica e apprezzativa (Ruta

anche l'indicazione della strumentazione o le proprietà contestuali. Un altro modo per inquadrare la differenza robu- sto/moderato è quello proposto da Stephen Davies, che differenzia tra thin e thick work. Vedi oltre.

72 Benson (2003, 15 e segg.) mostra come il paradigma beethoveniano non sia che una delle possibili alternative nel corso della musica “classica”. Contemporaneamente a Beethoven, infatti, troviamo una concezione come quella di Rossini per cui l'opera musicale ha un'identità molto meno stabile e conclusa.

73 Il termine “opera” ha un'ambiguità semantica, in italiano. È tanto l'opera (d'arte) musicale, quanto l'opera “lirica”. In questa tesi mi riferisco sempre all'opera (d'arte) musicale in quanto prodotto di una certa cultura classica, cresciu- ta attorno al paradigma Beethoveniano.

2013, 79 e segg.). Tuttavia è motivato: Goher dà i confini non ontologici, ma storico-contestuali, entro cui si tiene il concetto di opera.

Un insieme sistematico di fattori ha potuto determinare l'affermazione del concetto di opera con- temporaneamente alla produzione musicale beethoveniana. Posso solo elencarli dalla lettura del te- sto della Goehr: 1. l'evoluzione della notazione musicale e della stampa musicale; 2. la nascita di società di tutela del diritto d'autore; 3. il clima culturale romantico che enfatizzava la genialità soli- taria come tratto della personalità; 4. la nuova concezione delle figure professionali musicali come il compositore e il direttore d'orchestra; 5. l'influenza della critica musicale nei giornali; 6. la prati- ca di commissione di opere al compositore; 7. la nascita di società come la Gesellschaft der Musik-

freunde (1812) e di nuove sale da concerto; 8. l'autonomia estetica ottenuta dall'arte musicale. Tutti questi fatti storici non sono autonomi e sufficienti: fanno parte di un plesso che, in modo olistico, ha instaurato il concetto di opera. In altre parole l'analisi compiuta da Goehr rifiuta di prendere que- sti fatti storici come una definizione essenzialistica del concetto di opera. La tesi fondamentale di Goehr è che non si danno definizioni essenzialistiche, esaustive e definitive, di concetti pratici. La sintesi dell'argomento della Goehr è: non tutta la storia della produzione musicale ha desiderato produrre “opere”. Il concetto di opera è un prodotto storico. Se qualcuno sostiene che Bach abbia desiderato comporre opere, sostiene qualcosa di storicamente errato.74 Non cambia che noi conside-

riamo la musica di Bach come una produzione di opere, benché lui non avesse tale concetto: non possiamo attribuire dei concetti storici in modo retroattivo, anteriormente alla loro nascita, e in ma- niera scissa dalla Weltanschauung propria dei soggetti storici.75 L'affermazione “I Concerti Brande-

burghesi sono un'opera” è un'affermazione falsa. Il concetto di opera, la “operalità”, per così dire, ha bisogno di precise condizioni storico-contestuali che al tempo della composizione dei Concerti

Brandeburghesi non si erano verificate. Tant'è vero che, per arrivare a considerare la musica scritta da Bach come “opera”, abbiamo avuto bisogno di aggiornare la musica di Bach secondo il nostro concetto di opera: ad esempio l'abbiamo tradotta in una notazione musicale più esaustiva, come è quella pubblicata nelle performing editions. Proponiamo di solito la musica di Bach in sala da con- certo, il che comporta dei rituali sociali ed estetici tipici di questo luogo e della sua funzione. Di si- curo Bach non poteva conoscere questi rituali. La sua musica non può averne ovviamente tenuto conto. Credo sia legittimo concedere che quando uno produce un'opera d'arte abbia in mente un

74 Ricordo la contro-critica di Goehr a Ziff. Secondo Goodman il trillo nel Trillo del diavolo di Tartini non è una pro- prietà essenziale della composizione, poiché non è notazionale, ma consegnato al performer tramite il titolo non equivoco e la tradizione performativa; così, però, Goodman viola il senso comune, secondo Ziff. Goehr replica a Ziff che Goodman parla di opere nel senso del termine assunto a partire da Beethoven, quando la notazione era completa; quindi l'obiezione di Ziff, poiché considera un pezzo musicale precedente a Beethoven, non è valida. 75 Proporrò lo stesso tipo di argomentazione con il concetto di “creatività”.

certo pubblico di riferimento; quindi, la funzione e la destinazione contano molto per la definizione dell'opera.

Allora prendiamo in considerazione la musica di Beethoven e, paradigma del pardigma, la Quinta

Sinfonia, così come fa Goehr. Vediamo quali sono le proprietà che l'opera deve avere per essere tale e le condizioni di identità di una performance per essere di quell'opera. Che ragioni abbiamo per af- fermare l'essenzialità, riguardo alla Quinta Sinfonia, esclusivamente di proprietà notazionali? Sia ben chiaro: non voglio dire in modo pregiudizievole che sia sbagliato. Dico solo che mi manca il perché di questa scelta sposata dalla stragrande maggioranza dei filosofi analitici. Ho scritto sopra che se uno vuole definire la sostanza di un'opera – e dobbiamo capire anzitutto perché lo vuole fare – passa attraverso la determinazione delle proprietà essenziali o costitutive; deve selezionare. Ma perché ne prende quasi esclusivamente due, altezza e durata? Sembra che la scelta sia motivata dal punto di vista della tradizione metafisica, non però da quello storico-critico-artistico. Tale scelta trascura molte cose, che forse sono ugualmente essenziali: 1. le indicazioni non-notazionali o orali che sono state comunque trasmesse dal compositore o si possono desumere dalla storia delle per- formance; 2. le convenzioni performative che mutano di anno in anno, di cartellone in cartellone, e implicano luoghi, organici, copyright, occasioni celebrative, ecc.; 3. la storia della ricezione dell'o- pera, cioè la storia della critica dell'opera; 4. le motivazioni e le intenzioni del compositore, legate a fonti diverse dallo spartito; 5. l'analisi del materiale storico che il compositore aveva a disposizio- ne, cioè l'analisi dei modelli cui il compositore si è ispirato; e così via.

Faccio un esempio. Nel 2011 è uscita per Decca la serie delle nove sinfonie composte da Beetho- ven e dirette da Riccardo Chailly, eseguite dalla Leipzig Gewandhaus. Nella critica musicale la di- rezione di Chailly è stata salutata non solo come “fresca” o “nuova”, ma come “rivelatrice” (John- son 2012). Ciò che è stato apprezzato del lavoro di Chailly e dell'orchestra di Leipzig è stata l'ado- zione secondo diversi criteri dei tempi metronimici indicati da Beethoven stesso in modo contro- verso nelle edizioni Peters (vedi anche Benson 2003, 81). Il nominalismo direbbe che questa non è una proprietà essenziale, ma contingente; probabilmente il platonismo sarebbe d'accordo. Ma la cri- tica e i direttori d'orchestra a partire dal 1840 – da Mendelssohn cioè –, direbbero che è una pro- prietà “rivelatrice”.

Un altro esempio simile riguarda la musica di Bach (non ancora “opere” secondo i criteri fissati da Goehr). Glenn Gould ha registrato in modo sconcertante le Variazioni Goldberg: un tocco legger- mente “swingeggiante” ha iscritto queste registrazioni nella storia performativa di questa composi- zione – si può dire che abbiano cambiato per sempre il modo di suonarla (Caine 2007).

compatibili con la stessa partitura (idea del nominalismo), o hanno la stessa struttura sonora (plato- nismo). Altezza e durata e altre indicazioni sono sì proprietà dell'opera, in quanto oggetto fissato, ma spesso non sono così essenziali come altri parametri che forse non sono nemmeno fissati (Shar- pe 1979). Neanche l'opera, come caso particolare di composizione “classica”, dà una volta per tutte le proprietà essenziali e le condizioni di identità esecutive.

Sicché il rispetto di indicazioni notazionali può dare identità all'esecuzione di quell'opera. Ma non è quasi mai sufficiente, se è vero che anche altri parametri sono “rivelatori”. Quali siano, se vi siano, non è decidibile a priori. Un altro esempio: nel rock abbiamo tutti la percezione che il pezzo – che non è certamente un'opera – tollera trattamenti armonici, ritmici, strumentali diversi, ed è più rigido per quanto riguarda il testo e la melodia (Baugh 1993; Gracyk 1996; Fisher 1998; Brown 2000b; Bruno 2013). Poi però il fenomeno delle tribute band ci mostra come anche nel rock esiste un con- cetto di fedeltà ancora più stringente che nella musica “classica”. Occorre dunque, come ripeto spesso in questa tesi, guardare alla pratica valutativa e critica, quella pratica esercitata dai produtto- ri stessi, poi da figure professionali specializzate come i critici e i giornalisti, infine dagli ascoltato- ri comuni più o meno esperti. Se uno adducesse contro questa idea l'argomento che parlare di este- tica non deve interferire con il rilevamento delle proprietà dell'identità, e che queste sono date pri- ma della valutazione critica, deve essere consapevole di scagliarsi contro queste pratiche. Ogni cri- tica, anche quella ontologica, è sempre valutativa (Carroll 2009).

Lo iato piuttosto netto tra proprietà essenziali e costitutive no può essere posto in via di principio, ma deve corrispondere esplicitamente ai requisiti e ai valori della pratica musicale. Insomma l'idea sbagliata è che un'opera o un oggetto musicale abbia un'identità circoscrivibile in modo essenziali- stico.76

Nel documento Che cos'è l'improvvisazione musicale? (pagine 100-103)

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