• Non ci sono risultati.

La registrazione dell'improvvisazione

Nel documento Che cos'è l'improvvisazione musicale? (pagine 157-161)

19 La musica registrata

19.4 La registrazione dell'improvvisazione

I motivi per cui un'improvvisazione registrata non è valutabile come un'improvvisazione genuina sono lampanti. L'improvvisazione, per sua natura, è qualcosa che sfugge alla fissazione su di un supporto – scritto o “discografico” che sia. Registrare un'improvvisazione è snaturarla (Globokar 1979, 25-26). Prévost:

Ora, niente è più morto delle improvvisazioni del giorno prima. Cosa succede a un ascoltatore esposto a un'improvvisazione ripetuta (registrata)? Cosa succede alla musica? Come ha notato Cardew, almeno una caratteristica di un'improvvisazione è assente in un disco: cioè, la sua tran-

sitorietà... Un'improvvisazione registrata è fissata per sempre, le sue radici sono imparate e me-

morizzate. (Prévost 1995, 60)

E Lee Brown scrive:

Una volta incorporata nei solchi o nei byte dei media di registrazione, la musica improvvisata è in pericolo di essere seriamente alienata da sé. Basta solo premere il bottone “repeat” per porta- re a casa il fatto che l'effetto della registrazione su ciò che ho chiamato “presenza” è corrosivo. (Brown 1996, 366)

Harold Budd dichiara che nemmeno la registrazione documentale di una performance jazz restitui- sce a pieno titolo l'improvvisazione:

La registrazione jazz è un'attività non creativa, perché la registrazione documenta una perfor- mance – può essere mediocre, o può essere eccellente, e non fa alcuna differenza – in ogni caso, viene fatta all'interno di un luogo artificiale, uno studio, e questo è il modo tradizionale in cui le registrazioni sono state sviluppate, per documentare una versione di qualcosa, in contrasto con lo studio di registrazione in quanto strumento compositivo, che non accade nella maggior parte della musica improvvisata, a meno che non stiamo parlando di una definizione più ampia di ciò che è l'improvvisazione. (Budd in Childs, Hobbs et al. 1982, 54)

Questo è del tutto evidente. La salienza di “presenza” dell'improvvisazione viene irrimediabilmen- te perduta in registrazione e in riproduzione. Alperson:

Ci sono sensi in cui si può dire che le improvvisazioni sono catturate in movimento, per così dire, rese permanenti e ripetibili. […] Particolari improvvisazioni possono essere sedimentate per mezzo di pianoforte a rulli, nastro magnetico, registrazione fonografica, una lista che senza dubbio continua a crescere con lo sviluppo di nuove tecnologie. Come abbiamo visto, questi mezzi per preservare le particolari improvvisazioni hanno un ruolo importante da giocare per fissare una tradizione musicale e per fornire un repertorio da cui gli improvvisatori possono at- tingere. Tuttavia, tali casi staranno all'originale come copie di un dipinto stanno all'originale, cioè come occorrenze di un megatype, solo se uno pensa che l'improvvisazione in quanto strut- ture o progetti (che capita fossero improvvisati). Non sarebbe accurato neppure considerare una copia di un'improvvisazione come un'occorrenza di un'improvvisazione in quanto azione. In senso stretto ciò che abbiamo è una registrazione di un (unica) azione. […] Questo è un caso in- teressante, ontologicamente, perché, a differenza del dipinto e delle sue copie, l'oggetto della no- stra attenzione non è un artefatto ma la creazione di un artefatto. (Alperson 1984, 26)

L'improvvisazione è un'azione; in quanto tale la registrazione non può catturarla. La registrazione può catturare certamente i prodotti dell'improvvisazione; ma allora manca tutto l'altro aspetto “creativo”. Non si può controbattere a questo dicendo che “gli elementi di suspense e sorpresa che caratterizzano l'ascolto live possono non essere diminuiti dal fatto che sto ascoltando un disco” (Edidin 1999, 30). Edidin sostiene che se ascoltiamo un disco per la prima volta potremmo ottene- re la stessa reazione estetica di una performance. Quindi anche il disco potrebbe essere irripetibile, se lo ascoltassimo una volta sola nella vita. Ovviamente si può dare questo caso; ma non dimostre- rebbe niente del fatto che il disco è intrinsecamente ripetibile, mentre la performance non lo è. Da- vies (2007, 312) scrive che la registrazione può coinvolgere i rischi e la spontaneità del live, ma non può mostrarli. Sicché, se prendiamo la definizione dell'improvvisazione come “composizione simultanea alla performance” (Alperson 1984, 20), e la registrazione come “composizione in un momento e in un contesto diverso dalla performance” vediamo come le due prassi, improvvisazio- ne e registrazione, siano in qualche modo antitetiche. L'improvvisazione vuole “ravvivare” un ma-

teriale; la registrazione lo vuole ibernare.

Inoltre, dal versante dell'estetica, ci sono ottime ragioni per dire che la registrazione altera la musi- ca improvvisata. Tali ottime ragioni sono le medesime che Brown ha segnalato per differenziare e introdurre la categoria di opera fonografica. Le riporta Derek Bailey:

le illusioni tecniche che si impiegano nelle registrazioni (“dal vivo” o in studio) sono nemiche degli equilibri e dei ruoli in costante cambiamento che operano all'interno della maggior parte della musica improvvisata. Procedimenti di registrazione come riduzione del rumore, “presenza”, limitazione di compressione, filtro e immagine stereo, in genere servono solo a eli- minare o a disturbare elementi molto importanti. (2010, 145)

Ancora maggiore ovviamente è l'illusione tecnica prodotta da un intervento in post-produzione massiccio. Bitches Brew (1999), per esempio, è la registrazione di una performance improvvisata in studio cui segue l'editing, il missaggio e la giustapposizione “a mosaico”. Pertanto è difficile veder- la come “improvvisazione” (Merlin e Rizzardi 2009; Prati 2010, 16). Bailey continua aggiungendo una condizione necessaria all'improvvisazione:

Ma ancora più importante delle limitazioni tecnologiche è la perdita, durante il processo di regi- strazione, dell'atmosfera in cui l'attività musicale si svolge – l'ambiente musicale creato dall'ese- cuzione – “l'incontrarsi della musica con il luogo e l'occasione” secondo quanto scrive Peter Ri- ley – ed è questa una delle forze principali dell'improvvisazione. (2010, 145)

Eppure la registrazione è una pratica che si fa anche con l'improvvisazione. A cosa serve?

Serve sicuramente a fissare una tradizione, a stabilire un canone, ad accumulare un repertorio di frasi da cui attingere, modelli da imitare. Il disco jazz è uno strumento pedagogico. Berliner (1994, 104 e segg.) documenta il ruolo dei dischi nella diffusione del linguaggio, nel fissare dei modelli di perfezione.

Ma i dischi nel jazz hanno avuto il ruolo di chiamare gli appassionati non solo verso la produzione in prima persona. Li ha anche condotti al consumo feticistico. L'accumulazione compulsiva dei di- schi può ricevere una spiegazione dal fatto che la registrazione dell'improvvisazione jazz cattura un momento, come la fotografia di un ballerino. L'appassionato jazz riunisce su di sé le figure del

concert-goer e del feticista che viene irretito e “martellato” dai dischi (Adorno 2002b, 42 e segg.)112.

Senza ritornare qui sull'insieme di condizioni sociali di possibilità di quest'invenzione del jazz come genere artistico, bisogna nondimeno precisare che questi amatori sono prima di tutto dei discofili: il jazz che valorizzano e a partire dal quale elaborano una nuova griglia di apprezza-

mento è impressa più sui dischi che sulla scena. (Roueff 2010, 128)

La registrazione jazz, oltre ad avere un valore pedagogico, ha un chiaro valore critico di analisi (Jost 1994, 13 e segg.; Caporaletti 2005, 121-135). La critica, al riguardo, propone due scuole di pensiero per la registrazione dell'improvvisazione: 1. la musica improvvisata registrata deve essere il più spontanea possibile – cioè senza post-produzione evidente, senza alternate take; 2. la regi- strazione deve rendere perfetta l'esecuzione; oppure deve intervenire massicciamente nella produ- zione – e allora il lavoro di studio diventa imprescindibile: lavori di grande post-produzione sono per esempio Bitches Brew (1999) di Miles Davis e Music for the Gift (2000) di Terry Riley.

Quali sono i motivi per cui giudicare criticamente un'improvvisazione a partire dalla registrazione? Jost dichiara: “dipende dalla misura in cui tali improvvisazioni possono essere prese, oltre ai fatti musicali immediati, come indicative degli specifici principi creativi dei musicisti o dei gruppi” (1994, 13). Così la valutazione della registrazione cela due presupposti: 1. lo stile di un musicista o di un gruppo sia un qualcosa che abbia una certa continuità nel tempo, una certa evoluzione, e 2. lo studioso è consapevole che la singola registrazione fa parte di un percorso stilistico complessivo, e non può dunque giudicare la registrazione isolata da esso.

Tuttavia questa posizione pone dei problemi riguardo alla qualità dell'analisi praticata: se, come in Jost,113 l'analisi del free jazz viene condotta con criteri formali occidentali, per esempio con la tra-

scrizione notazionale di soli non sempre “temperati”, allora non sono sicuro che essa riesca a resti- tuire il tipo di musica su cui si concentra. Questo vale per il free jazz come per ogni altro tipo di im- provvisazione: dal punto di vista formale, l'improvvisazione è sempre imprecisa, e esteticamente anche più imperfetta della musica composta – ribadisco: dal punto di vista formale. Jost si mostra consapevole dell'implicito riduzionismo della sua analisi dell'improvvisazione condotta attraverso i dischi – e come tale bisogna accoglierla.

Nel documento Che cos'è l'improvvisazione musicale? (pagine 157-161)

Documenti correlati