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26 L'analogia tra l'idioma verbale e l'idioma improvvisativo

Nel documento Che cos'è l'improvvisazione musicale? (pagine 194-196)

Il problema del “significato” musicale è capitale per la filosofia della musica. Non voglio ricostrui- re certo le soluzioni date di volta in volta al problema; mi preme solo spezzare un'analogia che ri- torna frequentemente. Posso riassumere così la mia tesi relativa al problema semantico musicale: la musica non ha certo la capacità semantica definita del linguaggio, ma dispone di molte strategie per

essere significativa, in un modo che forse talvolta il linguaggio non può avere.138 Quando si dice nel

linguaggio comune che una tal musica “arriva direttamente all'anima”, si dice qualcosa di filosofi- camente rilevante, perché, per usare Derrida, la musica riesce ad aggirare il paradigma fono-logo- centrico occidentale.139 L'illusione della presenza musicale, instillata dalla prossimità della voce

alla propria coscienza, è smontata non tanto dalla scrittura necessaria di “tracce” nella memoria del parlante – ad esempio dal fatto che ci si sente parlare la propria voce, secondo una catena causale/temporale – quanto dal fatto che in musica manca un referente “diretto” per l'espressione, e anzi acquista il proprio significato in un sistema sociale e culturale complesso (Monson 1996, 207 e segg.; Sparti 2007a, 103-108). La musica ha un significato non tanto come proprietà immanente, cioè come contenuto, quanto come risultato dell'interazione con il contesto storico-musicale e del- l'appropriazione dei suoi ascoltatori (Kerman 1985; DeNora 2000). Perciò, quando parlo dell'im- provvisazione come una consapevolezza di vivere il tempo presente e la “presenza”, non intendo qualcosa come la presenza di cui parla Derrida. Anzi, più sotto parlerò proprio dei differimenti tem- porali che ineriscono necessariamente all'improvvisazione. Con “presenza” mi riferisco invece alla

responsabilità di vivere il momento presente caricandolo di significato.

La musica non è linguaggio verbale; è banalmente un linguaggio musicale, e come tale è molto meno compromesso con l'illusione di non essere “mediato” da strumenti, scritture, discorsi critici, ecc.

L'analogia dell'improvvisazione con il linguaggio verbale è però calzante per un altro motivo, lega-

138 Ci sono diverse posizioni che negano l'analogia tra il linguaggio e la musica per la mancanza semantica: Davies (1994); Kivy (2007a). Altre posizioni però riconoscono che la musica può avere significato non semantico (per la maggior parte dei filosofi ha un significato emotivo): Ridley (2004), Robinson (1997; 2005); Bowie (2007); Scru- ton (2009).

to alla produzione non tanto di significati, quanto di significanti (Berkowitz 2010, 97 e segg.). Come il linguaggio verbale orale, l'improvvisazione musicale è “radicata, oltre il regno della vo- lontà, in una disposizione antropologica” (Coursil 2008, 58). Coursil scrive che il parlare non è una costruzione deliberata, ma scappa al nostro controllo. Le frasi sgorgano spontaneamente, senza vo- lontarismo, scrive Coursil. In questa maniera Coursil sembra tuttavia prospettare l'illusione della trasparenza della coscienza di cui parla Derrida.

La psicologia cognitiva e la linguistica possono aiutare a capire meglio l'analogia dell'improvvisa- zione con il verbale. Per Johnson-Laird (2002, 417 e segg.) la capacità di improvvisare è come la capacità di produrre nuove frasi nella lingua madre, poiché, in entrambi i casi, c'è poco controllo conscio e molta abilità incorporata. Un individuo, secondo Johnson-Laird, ha una competenza lin- guistica – largamente inconscia: la conoscenza delle regole grammaticali – e una capacità di perfor- mance – l'espressione delle regole. La prima è una conoscenza percettiva, la seconda una compe- tenza produttiva. Tutti i membri di una certa cultura sono esposti a un certo grado di competenze percettiva; ma non tutti lo sono allo stesso grado della competenza produttiva. L'abilità di generare nuova musica appare possibile solo con un esercizio assiduo. Tuttavia,

la capacità generativa di inventare musica probabilmente esiste in ognuno, come l'analoga atti- tudine per il linguaggio. […] tuttavia, se i mezzi per l'espressione (cioè le abilità vocali o stru- mentali) non sono coltivate, il potenziale per la produzione musicale spontanea non può essere realizzato e sviluppato. (Berkowitz 2010, 99)

Nel parlare, produciamo nuovi enunciati, ma non produciamo la lingua che parliamo. Modifichia- mo e riorganizziamo i suoi elementi – vocaboli e costrutti – secondo una sintassi o una cornice che sono già determinate; oppure queste vengono “dilatate” e “riorganizzate” con la produzione. La produzione che riorganizza la regola è la cosiddetta rule-changing creativity; nell'improvvisazione tale produzione corrisponde, per esempio, all'inserimento di note “stonate” in una frase musicale. Non è un caso che anche nella critica e nella filosofia musicale, e più in particolare in quelle del- l'improvvisazione, per indicare costituenti sintattici minimi ci si riferisce al “vocabolario” (Bailey 2010, 148 e segg.), per la sequenza musicale alla “frase musicale”, per la costruzione “narrativa” del solo al “discorso”, per il proferimento dell'improvvisazione in un gruppo musicale al “dialogo” o alla “conversazione” musicali (Monson 1996, 73 e segg.), per lo stile o alla tradizione all'“idio- ma”, per lo stile musicale individuale alla propria “voce”.140

Il caso dell'improvvisazione è più adatto al paragone con il linguaggio di quanto lo sia la musica “classica”. Uno dei motivi di rigetto dell'analogia, da parte di Kivy, è il fatto che la musica, a diffe-

renza del linguaggio, si ripete. In una conversazione normalmente non esponiamo qualcosa come un “tema” e il suo sviluppo; non ci sono ripetizioni letterali come i segni di ripetizione alla fine del la sezione. Questa ricorrenza strutturale sembra però mancare nell'improvvisazione: le frasi sono costruite in maniera tale da sviluppare una certa discorsività:

Proprio come in una conversazione, chi improvvisa in gruppo ricorre a un repertorio di possibi- lità “linguistiche”, che vengono modificate, corrette, arricchite nel corso del loro utilizzo per produrre “frasi” pià o meno sensate. Le frasi musicali sembrano acquisire l'intonazione e il sen- so di domande, asserzioni, risposte e così via. (Bertinetto 2012, 69)

La conversazione, nel jazz, non è solo l'interplay tra i musicisti. Max Roach scrive che improvvisa- re è come avere una conversazione con se stessi (Berliner 1994, 192). Con ciò Roach vuol dire che l'improvvisazione appare come un disallineamento tra il “pensiero” musicale e il proferimento stru- mentale. La mediazione musicale è molto più evidente di quella linguistica. Improvvisare non è forse proprio come parlare nella propria lingua madre; piuttosto è come “imparare uno scioglilin- gua” o “parlare in una lingua straniera” (Berkowitz 2010).

Nel documento Che cos'è l'improvvisazione musicale? (pagine 194-196)

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