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Le tesi di Wolterstorff: l'opera è un kind normativo

Nel documento Che cos'è l'improvvisazione musicale? (pagine 63-67)

10 L'ontologia type/token e il platonismo musicale

10.2 Le tesi di Wolterstorff: l'opera è un kind normativo

Sono passati sette anni dalla pubblicazione della teoria di Goodman, è il 1975, e Wolterstorff lancia

39 Questa tesi è ripresa da Brown il quale scrive: “La decostruzione di un pezzo pop come «You Are My Sunshine» fatta da George Russell è un esempio ovvio. Un ascoltatore che dice che una di queste performance non è «You Are My Sunshine» perché non si conforma a una rappresentazione notata di esso, non coglierebbe il punto della perfor- mance (Brown 1996, 362).

il platonismo. La versione platonista di Wolterstorff non è esente da precisazioni e correzioni anche nel corso degli anni – vedi la differenza tra Wolterstorff (2007) e (1994). La tesi di Wolterstorff è seminale e la vague platonista si è in seguito indurita. Presento per prima cosa la tesi sulla composi- zione e sulle performance, poi dico qualcosa sull'improvvisazione. Essendo il primo platonista, Wolterstorff ha l'onore e l'onere di inaugurare uno stile di pensiero con una terminologia. La tesi platonista che propone Wolterstorff è normativa.

Per capire meglio, dobbiamo sapere che per Wolterstorff, onde stabilire in cosa consiste l'opera e quale relazione intrattiene con le sue esemplificazioni, contano i predicati, non le proprietà.41 Cioè:

se c’è la condivisione di predicati tra kind e esemplificazioni, c'è anche la condivisione della pro- prietà per la quale i predicati stanno? Non è necessariamente così, secondo Wolterstorff; ad esem- pio, “è composto da Hindemith” è un predicato che appartiene all'opera e a tutte le sue esemplifica- zioni, ma sta per una proprietà che appartiene solo all'opera e non alle sue esemplificazioni. La re- gola è questa: c'è una qualche connessione tra l’essere vero di un predicato di un'esemplificazione dell’opera e l’essere vero del predicato dell’opera; ma, d’altra parte, sembra che non ci sia relazio- ne tra l’essere vero di un predicato di un’opera e l’essere vero del predicato dell’esemplificazione. Questa regola ha una ripercussione su ciò che vuol dire comporre, secondo Wolterstorff. Vediamo allora che dal focus sui predicati l'atto di composizione si configura non tanto come la dettatura di una certa sequenza,

perché noi abbiamo visto che “ha sol diesis alla settima battuta” può essere vero del Primo

Quartetto di Bartok, anche se non è vero di molte delle sue performance. Addirittura può non essere vero di nessuna delle sue performance. (Wolterstorff 2007, 121)

L'opera che viene composta è invece un norm-kind. L'opera cioè è quella cosa che detta piuttosto le condizioni di identità normativamente alle sue esemplificazioni.42 Sicché l'opera ammette sia esem-

plificazioni ben formate e corrette che esemplificazioni mal formate e scorrette.

La tesi di Wolterstorff è molto raffinata. Il concetto di “normativo” permette a Wolterstorff di schi- vare il nominalismo e l'identità di compitazione, in modo da includere, tra gli esemplari dell'opera, anche quelli scorretti, secondo il senso comune. Wolterstorff è in fondo preoccupato dall'obiezione critica: se si dicesse che l'occorrenza corretta è quella che condivide la struttura sonora dell'opera, a un esame delle esemplificazioni giudicate corrette troveremo differenze significative tra loro in ogni dettaglio (2007, 126). Ma per non cadere anche nel paradosso della nota sbagliata, Wolter-

41 La distinzione standard tra predicato e proprietà si può trovare chiaramente esposta in Mellor (1997).

42 Inoltre, poiché comporre è selezionare proprietà normative, per Wolterstorff ne deriva che 1. è assolutamente plau- sibile che due persone distinte compongano la stessa opera, e 2. che così facendo creano – se l'opera fosse una strut- tura sonora e basta, allora il compositore sarebbe più uno scopritore; qualcosa di bizzarro, ammette Wolterstorff.

storff introduce una gerarchia tra le proprietà per cui stanno i predicati. Wolterstorff ritiene che al- cuni predicati stanno per proprietà tali che è impossibile che qualcosa sia un'esemplificazione cor- retta dell’opera e che non abbia tale proprietà. Queste sono le proprietà necessarie: quelle proprietà che danno le condizioni di identità. Per essere considerata corretta, un'esemplificazione deve condi- videre tali proprietà con l'opera. “Essere composto da” individua, per Wolterstorff, una proprietà non necessaria (infatti non appartiene a nessuna esemplificazione); “avere il sol # alla settima bat- tuta” è invece necessaria: se non la si ha, non si è un'occorrenza corretta del Primo Quartetto, an- che se si è comunque un'occorrenza scorretta di esso.43

Un'altra questione, parallela, è se l'esemplificazione sia sempre e comunque un'esecuzione dell'ope- ra. Eseguire un’opera, infatti, è un modo di produrre sequenze di suoni; ma la stessa sequenza di suoni potrebbe essere prodotta anche da altri modi: ad esempio, dal vento. Dunque una performan- ce non è solo un’occorrenza di una sequenza di suoni, ma è anche un’occorrenza prodotta dall’atti- vità dell’eseguire. Questa questione è determinante per la natura dell'opera: essa è soltanto un certo

kind di esemplificazioni di sequenza sonore, comunque prodotta, o un certo kind di performance? Bisogna notare che in entrambi i casi l'opera è un concetto normativo; quindi per Wolterstorff non c'è motivo di scegliere per un verso piuttosto che per l'altro. Wolterstorff ammette che forse la se- conda alternativa però è preferibile per un discorso storico: 4'33'' di Cage, ad esempio, non conse- gna nessuna struttura sonora per la corretta performance; ma consegna una performance corretta (2007, 134).44

Wolterstorff sembra ritenere fondamentale, implicitamente, la nozione di intenzione. Ma qual è l'in- tenzione? Seguire le indicazioni fornite dallo spartito nel produrre l’occorrenza di una sequenza di suoni. Ma questa intenzione, aggiunge Wolterstorff, non è sufficiente per aver eseguito l’opera. Questo perché gli spartiti hanno raramente tutte le coordinate per la corretta esecuzione dell’opera. Non c’è uno standard di correttezza che stabilisce quale sequenza di suoni debba occorrere affinché l’opera sia realizzata correttamente. Normalmente molte indicazioni sono presupposte dal composi- tore come parte dello stile e della tradizione all’interno dei quali sta lavorando. Il che spiega come mai, tra una esemplificazione e l'altra ci siano differenze acustiche notevoli. L'opera ha insomma dato le coordinate di correttezza, ma non può garantire che esse siano rispettate.45

43 Wolterstorff aggiunge che le proprietà per cui stanno gli stessi predicati veri di opera e di esemplificazione sono di- verse, analogiche. Cioè l'opera, di per sé non ha per esempio la proprietà di alcun sol diesis alla settima battuta, an- che se ha questo predicato, perché l'opera come astratto non “suona”, propriamente. Mentre la performance ha que- sta proprietà in senso proprio, cioè suona un sol diesis alla settima battuta. Il predicato è lo stesso, ma la proprietà è diversa, è analogica.

44 Sharpe (1979) è contento di questa soluzione data da Wolterstorff: per Sharpe il type non è una struttura, ma l'inter- pretazione di quello stesso type. Sicché la performance è un token non di una struttura, ma di un'interpretazione. 45 Una demarcazione interessante: l'opera su spartito dà non solo le coordinate di correttezza, ma anche quelle di ec-

Questo fatto apre a un'affermazione sulle opere “di musica popolare” che Wolterstorff ritratta dal 1975 (2007) al 1994. Un altro motivo per spiegare la differenza tra le esemplificazioni, è che uno potrebbe eseguire un'opera senza seguire le indicazioni fornite dallo spartito, poiché potrebbe non

esserci uno spartito. Wolterstorff sostiene dapprima (nel 1975) che le composizioni orali sono ope-

re.

La maggior parte della musica popolare indigena rimane senza spartito, quindi, in questo caso, gli esecutori non sono mai guidati dagli spartiti delle opere, e ciononostante tali opere possono essere eseguite. È vero che le coordinate possono essere fornite agli esecutori dell'opera con mezzi diversi dagli spartiti. All'esecutore di musica popolare può essere detto oralmente come deve essere eseguito qualche passaggio, oppure il ritmo può essere battuto con il piede. Ma chiaramente non è un progresso significativo riguardo alla nostra idea iniziale dire che l'inten- zione implicata nell'eseguire un'opera è l'intenzione di seguire le coordinate per produrre esem- pi di quell'opera, dal momento che della maggior parte delle opere è vero che anche quando noi includiamo tutte le coordinate, che siano annotate in uno spartito o in altro modo, queste coor- dinate sono del tutto insufficienti a determinare esempi corretti. (2007, 129-30)

Le opere orali per Wolterstorff sono comunque delle selezioni normative, quindi sono composizio- ni. Ma cosa dire invece delle improvvisazioni? Secondo Wolterstorff (1980) improvvisare non è

comporre, perché manca l'antecedente normativo a partire dal quale si esegue un qualcosa:

Supponi che qualcuno ha improvvisato all'organo. Supponi che poi vada a casa e annoti un'ope- ra tale che la sua improvvisazione, giudicata secondo i requisiti di correttezza specificati nella partitura, è corretta sotto tutti i punti di vista. Nonostante ciò, il compositore non ha composto la sua opera nell'esecuzione dell'improvvisazione. Con ogni probabilità, non compose nemme- no mentre improvvisava. Con ogni probabilità, nella sua improvvisazione, non ha scelto di se- lezionare quel particolare set di requisiti per la correttezza di occorrenze che si trovano nella partitura. Supponi, per esempio, che a un certo punto nella sua improvvisazione abbia introdot- to un po' di rubato, in piena coscienza di farlo. Facendo così non ha ancora deciso se seleziona- re il rubato in quel punto è un requisito di correttezza delle occorrenze. Non si può unicamente estrarre un'opera da una performance (Wolterstorff 1980, 64; vedi Alperson 1984, 29 nota 30)

Addirittura, per Wolterstorff, l'improvvisazione totale non è neanche una performance:

Ad esempio certe opere musicali che sono improvvisazioni totali (in quanto distinte da quelle che sono improvvisazioni su un tema) non sono né performance né opere da performance. (Wolterstorff 1980, 118)

Wolterstorff (1994) ha in seguito corretto il tiro della sua tesi. La correzione concerne l'attività compositiva. Questa è calata con decisione nella pratica. Quelle che Wolterstorff aveva chiamato le

“coordinate di correttezza” della performance, le quali erano consegnate dal compositore con la partitura o con altre indicazioni, ora diventano delle coordinate contestuali. Cioè la correttezza è un'istruzione, un'educazione del compositore e del performer alla storia della pratica. Analogamen- te tale pratica è connessa da Wolterstorff allo “spirito oggettivo” (la storia estetica del materiale musicale) e soggettivo (le metamorfosi delle abitudini di ascolto, che sono abitudini sociali). In questo plesso intricato, il privilegio accordato alla nozione ontologica di opera viene ridimensiona- to, in favore della pratica entro cui si vengono a solidificare le idee ontologiche.

In questo scritto (Wolterstorff 1994) la visione dell'improvvisazione è attenuata: essa non è più con- siderata come non-composizione; piuttosto viene ribadito che non equivale a una performance di un'opera. Non lo è perché l'improvvisazione è un altro tipo di fare musicale, che non coinvolge l'o- pera; in quanto fare musicale, tuttavia, è un modo di comporre. (Wolterstorff 1994, 119).

Nel documento Che cos'è l'improvvisazione musicale? (pagine 63-67)

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