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L' improvvisazione tra l'oralità e la scrittura

Nel documento Che cos'è l'improvvisazione musicale? (pagine 188-194)

VII Mezzi e material

25 L' improvvisazione tra l'oralità e la scrittura

È molto forte la tentazione di identificare l'improvvisazione con la musica di trasmissione e produ- zione orale, cioè tutta quella musica che nasce e si propaga in assenza di un qualunque tipo di se- gno scritto. In realtà una musica di questo tipo, che non conosce alcun tipo di notazione né di regi- strazione per la sua conservazione, è molto difficile da trovare nel mondo. Il “primitivo”, o quello che giudichiamo tale con un'ottica occidentale, non è immunizzato, né lo è mai stato, dal contatto con la scrittura. Forse è immune dal concetto di scrittura intesa come aide-mémoir – da Platone in poi – ma non è mai stato immunizzato dalla scrittura come “iscrizione mnemonica” – secondo il concetto derridiano di scrittura. Bisogna capirsi bene quando si parla, in musica, di oralità e scrittu- ra (Caporaletti 2005, 87 e segg.).

La scrittura musicale su carta può essere notazionale, ideografica o verbale. Se il primo tipo di scrittura è, diciamo così, un linguaggio altamente specialistico, elitario – e la teoria della notazione goodmaniana non accenna minimamente a questo fatto – la scrittura ideografica e quella verbale sono modi di comunicazione diffusi anche in scritture non-musicali. L'ideografia e l'alfabeto non sono tuttavia meno importanti per la trasmissione del sapere musicale, per motivi non solo squisita- mente psicologici.

Il portato psicologico della scrittura verbale è stato evidenziato grazie alla teorie di McLuhan (1967; 1995) e Ong (1986). McLuhan e Ong ritengono che il pittogramma o l'ideogramma siano istituzioni di significati in segni da interpretare: il lettore si impegna in un atto cognitivo non digita- le. L'alfabeto fonetico è invece la tecnologia che ha abituato la mente occidentale a pensare in ter- mini logici, sequenziali, di causa-effetto, privati, ripetibili, omogenei: ha creato una frattura tra le lettere che vediamo e i suoni delle parole che parliamo. Leggere è vocalizzare con la voce della mente i segni; non è “interpretare”.

La notazione musicale somiglia a questo modello di scrittura alfabetica (Goldoni 2012). Si scrive da sinistra verso destra; ogni segno indica un suono; le pause corrispondono agli spazi, cioè ai si- lenzi. Il suono, in entrambi i casi, è astratto, senza attenzione alle caratteristiche timbriche. Il ritmo è regolare, scandito dalle sillabe o dalle battute. Lo sviluppo del discorso, verbale o musicale, di- pende dalla memoria analitica. La notazione è riproducibile in copie come il libro, che è il device tecnologico responsabile di aver perpetrato l'alfabeto nella mente occidentale, secondo McLuhan. A

livello di ricezione, una tesi affascinante sulla oralità/scrittura musicale appartiene a Ashby (2010, 178 e segg.). Ashby propone un modello “cristiano” di ricezione della performance di musica scrit- ta: l'ascoltatore siede in silenzio e assume il dettato del performer come fosse un ministro della chiesa; il suo pensare alla musica, cerebrale e silenzioso, è cresciuto attorno all'esperienza di lettura silenziosa e isolata. Il modello proposto da Ashby ricorda la descrizione che McLuhan e Ong danno della lettura in pubblico nell'abbazia amanuense.

La literacy è quindi, in primo luogo, un modo di strutturare l'esperienza della comunicazione a li- vello psicologico. Essa dà non solo dei contenuti, ma la meta-struttura stessa in cui tali contenuti sono conoscibili – ad esempio secondo un modello di causa-effetto o secondo un modello conse- quenziale e armonico. Il medium è il messaggio è la frase che riassume la tesi di dipendentismo tec- nologico di McLuhan e Ong. In secondo luogo, la literacy fonda un canone di opere relativamente stabili. Come abbiamo visto con il nominalismo e con il platonismo, la scrittura dà non solo la per- manenza, ma anche l'identità dell'opera. La scrittura concede a un'opera di vivere oltre il suo autore e le circostanze storiche in cui ha vissuto e diventare parte di altri discorsi musicali, anche quelli fu- turi.

Sembra difficile immaginare il discorso della musica classica funzionante senza l'uso della no- tazione: perché le partiture servono sia per definire il canone musicale che per essere la fonte di accesso principale a questo canone per i musicisti. Rispetto a ciò, la musica classica apparirebbe essenzialmente differente dal tipo di folk music che è mantenuta viva da una tradizione “che suona”. Mentre tale tradizione può ben preservare un'opera musicale, è plausibile assumere che tale “opera” che esiste per un lungo periodo in tale tradizione sia inevitabilmente soggetta a un qualche grado di rimodellamento improvvisativo nel corso del tempo. Entro tale tradizione, la musica è tramandata da un musicista all'altro; ma non c'è una referenza scritta che sta al di fuori di questo processo. Una partitura scritta, d'altro lato, serve a solidificare le caratteristiche dell'o- pera e così almeno sembra fornire un tipo di standard assoluto. (Benson 2003, 78)

I media elettronici però rendono impossibile, secondo Ong e McLuhan contrapporre rigidamente la scrittura all'oralità. L'oralità, che è relegata ormai a visioni edulcorate della vita comunitaria primi- tiva, è contaminata dalla lettera per via elettronica mass-mediatica. McLuhan chiama questo feno- meno “ritribalizzazione”; Ong (1986) la chiama“oralità secondaria”. Laddove non arriva il libro e l'individuo rimane analfabeta, arrivano la radio e la tv con i loro discorsi scritti e recitati.

Tutto questo discorso ha un peso per l'improvvisazione musicale. La tentazione è quella di identifi- care l'improvvisazione, dicevo, con l'oralità. Ma il concetto di “orale” che di solito si assume è di- scutibile: corrisponde a un'enfasi primitivista (Molino 2005; Sachs 2007, 64 e segg.). Secondo que-

sta tentazione, l'improvvisazione corrisponderebbe a un livello degradato, molto banale, di produ- zione musicale elementare, normalmente associato a una fase di sviluppo culturale arcaico – le so- cietà tribali – e all'apprendimento propedeutico alla scrittura notazionale – strimpellare a casa è come la “lallazione” per il bambino che impara a parlare. Oppure, si può ritenere che l'improvvisa- zione sia l'interpretazione orale-aurale di un testo scritto che non può essere logicamente completo e circostanziato sotto tutti i punti di vista:

Tuttavia, è ben difficile ritrovare oggi una simile sorgente musicale, così pura da non essere stata contaminata dai media di massa, i quali hanno allargato così tanto la copertura del messaggio da aver fatto del mondo un “villaggio globale”. L'improvvisazione così come la conosciamo oggi di- pende dai mass-media e dai prodotti che circolano elettricamente – radio, tv, i dischi, gli mp3, i lo- cali da ballo, i centri commerciali, ecc. Abbiamo visto, per esempio, che i dischi sono un importan- te veicolo pedagogico per chiunque voglia imparare a improvvisare nel jazz. Analogamente, la tra- scrizione dei soli permette di fissare su carta l'improvvisazione, così da consegnarla all'analisi for- male e, per un individuo abituato alla lettura alfabetica, invitarlo alla produzione a partire ciò che viene fissato.

La prassi musicale di tipo orale richiede l'esistenza di strutture tradizionali o ripetitive, e – per compensazione? – queste strutture stimolano l'improvvisazione e le sfumature interpretative; eppure quando viene trascritta, senza poter cogliere tali sfumature, la musica sembra banale. (Middleton 2001, 117)

Invariabilmente si opera la trascrizione con la notazione musicale tipo, un sistema per cui si rappresentano, quasi esclusivamente, altezze e ritmi secondo certe convenzioni. Tuttavia nella maggior parte dei casi l'improvvisazione ha scarso rispetto per i vezzi della scala temperata o per le divisioni esattamente uniformi della battuta o del tempo. […] La trascrizione può essere di aiuto per fissare certi aspetti relativi allo stile o ai materiali usati ma così facendo non è pos- sibile documentare quegli elementi che sono caratteristici dell'improvvisazione e che solo ad essa appartengono. (Bailey 2010, 38-39)

Coltrane, parlando di Thelonius Monk, fa un'affermazione su come l'oralità secondaria è da inten- dere per una mente già abituata alla scrittura:

Ce l'aveva, aveva tutta la sua musica scritta, e io la leggevo per impararla. Lui preferiva uno che la imparasse senza leggerla, sai, perché così la sentivi meglio. La senti tua più alla svelta se la memorizzi, se la mandi a mente, a orecchio, capisci?” (DeVito 2012, 15; citato anche in Small 1998b, 231).

si sviluppa dalla “vocalizzazione” di un testo scritto notazionale e immediatamente presente agli

occhi del musicista. Il testo improvvisato è invece mediato dalle tracce134 che la tradizione, il gusto,

e gli ascolti hanno iscritto nella memoria dell'improvvisatore. Tale mediazione ha subito un'accele- razione con l'elettricità e le registrazioni. Imparare a improvvisare, come dice Coltrane, è imparare a memorizzare con l'orecchio, non con la vista. L'apprendimento orale-aurale, non solo per l'im- provvisazione ma per tutta la musica, è necessario: si apprende a orecchio, imitando, dai maestri, dai compagni o dai dischi. Quindi, si può identificare l'improvvisazione con l'oralità in questo modo: l'improvvisazione non sarebbe che il principio della variazione, anche solo a livello formale, compiuto sulla trasmissione – elettrica, orale e scritta – di formule e di materiali tradizionali. In quanto tale, il testo dell'improvvisazione è un testo mnestico, scritto sulla coscienza dell'improvvi- satore, non su un supporto esterno. Derrida direbbe che è un'archi-scrittura.

L'improvvisazione si basa quindi: 1. sulla memoria; 2. su di un principio di intercambiabilità dei materiali; 3. su una ricezione e su una partecipazione vicine alla vita quotidiana.135

Si può tuttavia aprire un dibattito sulla questione: le musiche orali, cioè quelle delle società tradi- zionali, possono essere considerate improvvisate? La fissità della formula è una condizione suffi- ciente per opporsi e dare risalto all'improvvisazione, in quanto variazione da essa? Molti infatti ri- tengono che parlare dell'improvvisazione sia fare riferimento necessariamente alla mancanza di scrittura musicale. Sparti, ad esempio, scrive: “ha senso parlare di improvvisazione solo dove esiste un sistema di notazione degli eventi sonori che funga da alfabeto per la composizione scritta” (Sparti 2010, 40). Dahlhaus (1979) ragiona allo stesso modo: l'improvvisazione è ciò che è non- composto, intendendo come “composizione” l'atto di notazione, e rifiutando che si possa parlare di “composizioni orali” per casi come l'Organum di IV, il free jazz e il Raga indiano. Secondo Da- hlhaus, anche se le musiche tradizionali da un lato, e quelle contemporanee dall'altro fanno a meno della notazione, non sono autentiche improvvisazioni. Curt Sachs invece scrive che ogni mancanza di scrittura è un'improvvisazione, e così identifica perfettamente l'improvvisazione con l'oralità:

Le società prive di scrittura non hanno, evidentemente, alcuno strumento per la notazione della musica […], ma quest'affermazione non si può invertire: la musica senza notazione non si limita alle società prive di scrittura.[...] La musica secolare si rifaceva alla libera invenzione e alla me- moria, nelle civiltà più evolute dell'Oriente e dell'Occidente. La notazione divenne indispensabi- le soltanto sotto la pressione della polifonia più raffinata. […] L'improvvisazione sull'estro del

134 “Traccia” è il termine impiegato da Derrida, non si riferisce alla traccia audio in cd. Piuttosto, mi è sempre parso significativa l'adozione di questo termine da parte dell'industria discografica e della critica.

135 Le tematiche vernacolari, i luoghi sociali di ascolto, gli usi e i costumi dell'improvvisazione suggeriscono l'idea che essa sia una forma d'arte più “popolare” che “elitaria”. Alcuni ritengono che sia un retaggio tribale, perché come ho scritto sopra, “tribale” vuol dire comunitario secondo una certa visione antropologica e romantica (Molino 2005) che vede un “buon selvaggio” in tutto ciò che è distante dall'occidente.

momento giunse fino al diciannovesimo secolo, e persino oggi, in linea di principio, si potrebbe ascoltare un'esecuzione senza scrittura nella cadenza di un concerto. […] Una tradizione vera- mente priva di scrittura vive unicamente nella musica popolare. (Sachs 2007, 66-67)

Io sarei più liberale: non sovrappongo il concetto di improvvisazione sul dualismo oralità/scrittura, facendo così anche il collegamento con un metodo produttivo “popolare” e un metodo “colto”. Questa è solo una delle possibili storie della musica occidentale. La variazione orale a partire da formule può essere un'improvvisazione come no; è difficile sostenerlo in via di principio (Suliteanu e Mirsescu 1976; Nettl 1998, 5-6; Sutton 1998, 70 e segg.; Caporaletti 2005, 69 e segg.; Caine 2007). Per me la questione non è così netta come per Sparti, Dahlhaus o Sachs. Così come il testo scritto può aprire alla variazione, anche il testo mnestico può recriminare una certa cogenza e nor- matività.

Questo pone un problema: se l'improvvisazione non coincide con l'oralità, esiste allora una forma di improvvisazione scritta?136Come può essere improvvisato qualcosa di scritto, quindi di prestabi-

lito?

La prima via è molto banale e piuttosto insignificante: come ho scritto sopra, l'improvvisazione può essere il principio di resa sonora di un testo scritto notazionale, dal momento che esso non esauri- sce tutti i dettagli sonori. Gli elementi espressivi di una performance “classica” di solito sono im- provvisati, oppure sono comunque istruzioni tacite o orali se dipendono da una tradizione perfor- mativa. Un altro fatto rilevante, rispetto al testo notazionale, è l'analisi del processo compositivo: secondo Schönberg, il quale parla della composizione come di “un'improvvisazione rallentata”, la notazione è un a-posteriori rispetto all'improvvisazione su tastiera. Prima si suona, poi si trascrive; se non “funziona”, si può cambiare. Anche nella pratica jazz c'è l'uso di scrivere delle linee, non solo per aiutare la memoria, ma per capire anche gli effetti estetici. Ted Brown dichiara:

Quando improvvisi va tutto così veloce che a malapena hai tempo di tirar fuori cosa veramente intendevi. Scrivere ti forza a procedere al rallentatore, e sentirai alla fine dove ogni frase ti con- duce logicamente” (in Hamilton 2007b, 36)

La seconda via recupera una nozione di scrittura mcluhaniana. In questo caso la scrittura musicale non è quella notazionale, ma quella pittografica o quella che dà istruzioni verbali all'esecutore. Per- ciò l'improvvisatore è chiamato a interpretare il testo non come riferimento al suono da emettere, ma alla sua stessa azione. Questo tipo di scrittura pittografica o verbale, sotto forma di istruzioni, è frequente nella free improvisation e nel grafismo eurocolto: lo ritroviamo in Cage,137 Cardew, Earle

136 Evan Parker parla di “improvvisare su carta” (citato da Small in 1998b, 51). Dudas (2010) parla di Comprovisa-

tion.

Brown, Bussotti, Haubenstock Ramati, Feldman, Oliveros e Schiaffini. Il modello metafisico di Cochrane (2000), il quale sostiene che in questo tipo di musica le regole vengono poste a stabilire cosa è obbligatorio, vietato e opzionale nella produzione di una performance, si basa sulla consegna di istruzioni verbali – che possono essere scritte oppure orali. La “partitura” di From Unknown Si-

lence di Oliveros è questa:

Questo è un invito a creare e suonare singoli suoni indipendenti – no melodie. Un unico suono a un tempo.

Suono significa ogni tipo di suono comprese altezze o meno (rumori) per fare una varietà di suoni inclusiva e molto profonda.

Silenzio prima – silenzio dopo ciascun suono, ascoltando dall'inizio alla fine ogni suono. Ogni suono e silenzio sono diversi se possibile in ogni aspetto.

La durata dei suoni e dei silenzi è libera – i silenzi hanno devono essere altrettanto vari nella du- rata dei suoni.

Le articolazioni e le dinamiche includono la gamma più ampia possibile. Il pezzo è finito quando non ci sono più suoni.

Un piccolo gruppo può eseguire opzionalmente la stessa partitura a una dinamica molto bassa (ppp) muovendosi piano nel e tra il pubblico e gli spazi adiacenti come il foyer e altre entrate. A seconda della durata del pezzo i musicisti si fanno gradualmente strada al palco per essere con gli altri musicisti per il silenzio finale. (© Oliveros, Deep Listening Publications)

La terza via invece riabilita un concetto derridiano di scrittura. La scrittura, cioè, non è solo quello che viene impresso sulla carta, di fronte ai nostri occhi, ma è ogni impressione mnestica sul nostro sistema neuro-motorio. Volevo segnalare la proposta artistica di Butch Morris. Egli sembra incon- sapevolmente sostenere un concetto derridiano di scrittura nella trattazione teorica dei suoi esperi- menti di Conduction: “il mio interesse giace […] dove l'interpretazione del simbolismo che genera la notazione si incontra con la spontaneità dell'improvvisazione” (Morris 2007, 169). Certo Derrida decostruisce la spontaneità e il tempo immediato, ma nella definizione di Conduction (marchio re- gistrato!) leggiamo come ogni segno tattile-gestuale rinvii a un differimento – delle possibilità, scrive Morris – con il suo significato:

Un vocabolario di segni ideografici e gesti attivati per modificare o costruire un arrangiamento no e orchestra di Cage, per via della sua notazione grafica. In questo sistema nessuna misurazione può determinare se un'esecuzione è congruente a un segno piuttosto che ad altri. In questo sistema non ci sono caratteri o classi di congruenza disgiunti e differenziati. Scrive Dahlhaus: “Uno spirito eccessivo di laissez faire ha indotto alcuni com- positori a usare sistemi che restringono solo limitatamente la libertà dell'esecutore di suonare ciò che vuole e come vuole”.

musicale (di ogni notazione) in tempo reale o una composizione. Ogni segno e gesto trasmette

informazioni generative per l'interpretazione e fornisce possibilità istantanee per alterare o

dare inizio all'armonia, melodia, ritmo, articolazione, fraseggio o forma. (Morris 2007, 169- 170)

Nel documento Che cos'è l'improvvisazione musicale? (pagine 188-194)

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