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Levinson e il platonismo moderato

Nel documento Che cos'è l'improvvisazione musicale? (pagine 67-71)

10 L'ontologia type/token e il platonismo musicale

10.3 Levinson e il platonismo moderato

Levinson ha proposto un platonismo molto blando rispetto alle versioni che lo seguono. Il platoni- smo di Levinson è blando perché considera l'opera musicale come un composito di una struttura so- nora eterna e altri aspetti; tali aspetti sono calati nei contesti e nelle storie concrete in cui sono crea- te le opere musicali.

Innanzitutto direi questo: Levinson, a differenza di Wolterstorff, non dice che l'opera si limita a pre- scrivere gli ingredienti che deve avere una performance corretta. Secondo Levinson l'opera non si identifica semplicemente con una struttura sonora o con una struttura sonora normativa. L'opera ha un plus di proprietà: 1. è una struttura di suoni creata da un compositore (creatability claim), 2. è una struttura sonora indicata in un contesto storico di produzione (fine individuation claim), 3. è una struttura associata a certi mezzi performativi (inclusion of performing means claim).

Vediamo questi desiderata nel dettaglio.

Il primo. Se l'opera fosse una pura struttura di suoni, allora non darebbe seguito all'intuizione di senso comune secondo cui un compositore, con la sua attività compositiva, dà vita all'opera. Qui Levinson non si fa propugnatore di una speculazione fine a se stessa proprio perché difende intui- zioni di senso comune:

Non c'è forse idea più centrale per il pensiero artistico di quella che l'arte è un'attività in cui i partecipanti creano cose – queste cose che sono opere d'arte. L'intera tradizione dell'arte assume che l'arte sia creativa in senso stretto, che sia quasi un'attività divina in cui l'artista porta all'esi- stenza ciò che non esisteva prima, come un demiurgo forma un mondo da una materia inerte. (Levinson 1980, 8).

L'intuizione non è, secondo Levinson, solo un'assunzione di responsabilità da parte del compositore nei confronti della propria opera. È anche il motivo per cui valutiamo esteticamente l'opera musica- le: che l'opera abbia un creatore umano è un motivo di apprezzamento.46

Secondariamente, dall'idea che il compositore è un creatore unico, singolo, ne deriva che esso sia anche intimamente connesso al suo contesto storico-culturale. L'opera musicale è data non solo dal- le proprietà strutturali, ma anche da quelle contestuali.

In particolare, gli attributi estetici e artistici di un pezzo musicale sono in parte una funzione di, e devono essere misurati in rifermento a, il totale contesto storico-musicale in cui il composito- re è situato mentre compone il suo pezzo. (1980, 10)

Quindi se ad un'opera W sono associate certe proprietà storico-contestuali, e ad un'altra W', con la stessa identica struttura sonora, ne sono associate altre, ne deriva che per la legge di Leibniz W e W' non sono identiche, e che le proprietà di indicazione storico-contestuali contano come essenziali per l'opera.47

Proprietà come “bizzarra” e “originale” (rispetto alla tradizione), “influenzata da Liszt”, “eccitante” (perché introduce nuovi elementi) o “che prende in giro Shostakovitch” sono proprietà non esibite, relazionali, estetico-artistiche che fanno leva sulla nostra concezione della storia dei contesti musi- cali. La tradizione che funge da sostrato alle opere influenza intrinsecamente per Levinson la costi- tuzione delle opere stesse – per cui sarebbe meglio chiamare queste proprietà “costitutive”, più che “essenziali”.

Il contesto di produzione è vincolante anche per il terzo punto: le opere indicano spesso i mezzi d'e- secuzione, cioè gli strumenti musicali atti a realizzare l'opera. Non è solo una questione di scelta del colore timbrico.

L'idea che i compositori degli ultimi 300 anni erano in genere impegnati a comporre pure strut- ture sonore, alle quali erano di solito così gentili da aggiungere suggerimenti su come doveva-

46 Howell (2002) corrobora la visione di Levinson da un punto di vista teoretico: infatti per Howell la proprietà di “es- sere creato da un compositore” non individua un type, cioè un'entità eterna, bensì, essendo una proprietà impura, è compatibile con un ragionamento creazionista. Vedremo, tra le obiezioni generali al platonismo, che l'osservazione di Howell mi pare un sensato motivo di rigetto al platonismo più duro.

47 Levinson scrive che le proprietà estetiche sono veramente proprietà dell'opera (Levinson 1980, 11 nota 15); tuttavia non devono essere considerate come essenziali, ma come rilevanti (almeno in questo mondo, non in tutti i mondi possibili) (1980, 25 nota 29). Anderson (1982) elabora il ragionamento di Levinson tramite la semantica dei mondi possibili di Kriepke. Anderson argomenta che è assolutamente contingente che l'Eroica sia stata composta nel con- testo del 1804 da Beethoven. Questo accade solo nel nostro mondo. D'altra parte e in tutti gli altri mondi possibili è necessariamente escluso che la stessa persona, allo stesso tempo indichi la stessa struttura sonora. Cioè in una defi- nizione dell'opera è necessariamente incluso che essa abbia un compositore ad un certo tempo t; ma è contingente il fatto che si tratti proprio di Beethoven e del 1804. Invece Stephen Davies scrive che in tutti i mondi possibili il tem- po è rilevante nel momento in cui identifica un preciso contesto storico culturale: sicché se in un altro mondo possi- bile Beethoven ha scritto l'Eroica nel 1960, quando è già scoppiata la moda elettronica, ciò dimostra come il tempo sia determinante per la definizione.

no essere realizzate, è altamente implausibile. I compositori sono familiarizzati con i colori to- nali solo in quanto sono familiarizzati con gli strumenti che li possiedono. Non abbiamo com- positori che creano pure combinazioni di colori tonali, e che poi cercano gli strumenti che pos- sono realizzarli o che si approssimano a queste tele aurali. (Levinson 1980, 15)

Per Levinson – e come Predelli obietta a Goodman – se il compositore indica “clarinetto”, richiede molto più che un certo timbro simile a quello del clarinetto; richiede proprio il “clarinetto”. Infatti, se l'opera scritta per violino è “virtuosa”, e se essa fosse eseguita al sintetizzatore, con più facilità, allora perderebbe la sua salienza estetica. Il compositore immagina gli strumenti diversi come voci diverse, da equilibrare in un dialogo armonico. In questo dialogo il compositore, se indica “pizzica- to” sta indicando di pizzicare le corde, e come si potrebbe riuscirci, se ad avere la voce del violino è un sintetizzatore? Ne segue, secondo Levinson, che un'occorrenza dell'opera che nell'organico or- chestrale non prevede la giusta strumentazione, non è un'occorrenza. Per Levinson non ci sono oc- correnze corrette e scorrette, come per Wolterstorff: ci sono solo occorrenze o meno dell'opera, a seconda che esse abbiano o meno rispetto della struttura e dei creatability claim, fine individuation

claim, inclusion of performing means claim. Abbiamo visto che il compositore, il contesto e la stru- mentazione sono proprietà costitutive; dovremmo aggiungere altre proprietà costitutive implicite, come “tempo, abbellimenti, accenti, articolazione, armonia” (1980, 6 nota 3 e 16).

Da tutto questo discorso, ricaviamo una definizione metafisica dell'opera musicale secondo Levin- son. L'opera non è identificata essenzialmente con la struttura sonora e i tre claim in aggiunta, ma è

costituita da questi elementi. Cosa vuol dire? Vuol dire che l'opera non è un oggetto iperuranico, al- meno non del tutto. Levinson definisce l'opera un “initiated type”. L'opera, dovuta al compositore in un contesto, deriva, per Levinson, dalla preesistenza delle strutture sonore/performative. Queste strutture, scrive Levinson, sono eterne: esistono da sempre nello spazio delle possibilità logiche delle combinazioni sonore. Questi sono type. Ma il loro tangibile accesso, cioè il fatto che di tutte le possibilità se ne scelga proprio una, quella effettiva, dipende da un atto di creazione del composi- tore e dalla disponibilità contestuale. La creazione è definita da Levinson più o meno come una se- lezione; o, come dice lui, un'indicazione. Levinson fa un esempio: il ponte di Brooklyn esiste dal momento in cui si è costruito; ma la struttura geometrica che incorpora è sempre esistita e sempre esisterà (1980, 8 nota 9).

La nozione di indicazione del compositore, immerso nel suo contesto storico, non significa che egli indica una cosa che semplicemente c'era già. Non basta che uno mi porti a vedere il ponte di Broo- klyn e me lo indichi per farlo esistere. L'indicazione è tale per cui il compositore, nel contesto,

stente.48

La definizione di opera è formulata così:

Un'opera musicale (MW) è una struttura sonora e di mezzi performativi (S/PM structure) indi- cata da X a t, dove X sta per una particolare persona – il compositore – e t è il tempo della com- posizione. Per i pezzi paradigmatici di cui ci siamo occupati, il compositore di solito indica (fis- sa, determina, seleziona) una struttura S/PM creando una partitura. Il pezzo che quindi compo- ne è una struttura S/PM indicata da lui in quell'occasione. (Levinson 1980, 20)

Il platonismo di Levinson quindi ci porta ad una posizione metafisica molto attenuata. Il suo plato- nismo considera la struttura sonora come un ingrediente dell'opera. Essa è quindi, per Levinson, un individuale astratto, non un universale, perché risente dell'atto di creazione.

Questo platonismo si sposa molto meglio di altre versioni platoniste con l'improvvisazione. Addirit- tura Levinson, in un'intervista (Cannone 2010a, 217-219), è pronto ad affermare che l'improvvisa- zione ha una specificità ontologica. In questa maniera ammette un'ontologia pluralista. È costretto a rinunciare al modello platonista, per l'improvvisazione, perché dichiara che:

un pezzo di jazz improvvisato non è un type, non si definisce neanche parzialmente a partire da una partitura che lo precede nell'esistenza, e non può avere delle istanziazioni o delle esecuzioni susseguenti. Il che non impedisce che una partitura approssimativa possa essere redatta dopo, per scopi imitativi, emulativi o d'analisi, e che si possa fare, nello stesso momento che l'improv- visazione musicale viene prodotta, una registrazione analogica o digitale di tale improvvisazio- ne. Ma l'improvvisazione in sé non deve essere confusa né con tale registrazione, né con l'opera notazionale definita dalla partitura trascritta a posteriori. Un pezzo di jazz è effettivamente un

evento sonoro, il prodotto di un'azione umana fatta in un luogo e in un momento preciso, che non si ripete, che nasce e che muore in un intervallo di tempo finito. (Levinson in Cannone 2010, 218)

Levinson si chiede (Cannone 2010, 219) se una descrizione ontologica di questo tipo conceda al- l'improvvisazione di maneggiare “opere”. La risposta, ancorché apra al dibattito su cosa vuol dire opera, è negativa. Il concetto di opera, scrive Levinson, di solito è legato a qualcosa che dura, che ammette delle realizzazioni multiple o delle istanziazioni, e la cui la struttura sonora è fissata da una partitura che utilizza una notazione prestabilita.

Questo mi pare un buon punto. Ciò che sostengo, e verrò a ripetere spesso, è che l'improvvisazione

48 Levinson, in seguito, diventa ambiguo sul “creare”: ad un certo punto riprende la nozione di “rendere normativo” proposta da Wolterstorff. Normativo vuol dire che c'è una relazione tra un'entità preesistente (la struttura sonora) e un atto di selezionare le proprietà necessarie di questa entità per le occorrenze (Levinson 2011, “What a Musical Work Is, Again”); ma allora è difficile dire quanto “creata” sia questa entità (vedi Predelli 2001, 289 e segg.).

non ha “opere”, intese come delle strutture notate che chiedono al performer l'esecuzione pedisse- qua. Non ha “opere” dall'identità fissa. Concepire l'assenza di opere nell'improvvisazione implica anche il contrasto con la metafisica di Alperson, poiché essa sostiene la creazione di un concreto “irripetibile” di un type astratto (1984, 26). Per Levinson, e come vedremo anche per Davies, per Kania e per Brown, nell'improvvisazione l'astratto non c'è proprio.

Per quest'apertura tollerante e pluralista, la proposta di Levinson appare molto più ragionevole del- le versioni platoniste più severe, tra cui Kivy e Dodd, qui di seguito.

Nel documento Che cos'è l'improvvisazione musicale? (pagine 67-71)

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