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L'opera è creata, non scoperta

Nel documento Che cos'è l'improvvisazione musicale? (pagine 84-88)

10 L'ontologia type/token e il platonismo musicale

10.5 Il platonismo è stato criticato ancor più del nominalismo

10.5.2 L'opera è creata, non scoperta

Il problema della pratica in un contesto è centrale anche per il problema della “creazione vs. sco- perta”. I platonisti come Kivy e Dodd dicono che la descrizione del processo creativo come scoper- ta è compatibile con intuizioni di senso comune riguardo alla figura del compositore, al suo grande credito sociale, alla congruenza con la critica delle altre arti, con la scoperta scientifica e con la scoperta geografica (vedi anche Ruta 2013). E d'altro lato la scoperta degli universali-opere è giu- stificata per via speculativa: come si potrebbe creare una cosa eterna, che non nasce né muore? Ma mi sembra proprio questo lato logico-teoretico dell'argomento che chiede alla pratica di accomodar- si. Prima c'è l'istanza speculativa; poi si va a confermare a livello di senso comune. Vediamo per- ché.

Non mi sembra sia comunemente registrato l'uso di definire la composizione come scoperta. Il les- sico, e quello dell'improvvisazione in particolare, è piuttosto enfatico, impreciso, romantico – lo ve- dremo nel dettaglio. Però, in generale, abbiamo delle intuizioni di senso comune che ci dicono che

riguardo all'arte, l'attività dell'artista è di tipo creativo. Creativo qui non vuol dire che gli artisti sco- prono qualcosa, benché anche la scoperta chiede creatività (secondo il nostro senso comune) e la creatività chiede la scoperta. Creativo vuol dire che l'artista crea un qualche cosa, cioè fa esistere una cosa che non c'era in quel modo lì (Predelli 2001). Non diremmo volentieri che Leonardo abbia scoperto il ritratto di Monna Lisa: come potrebbe averlo scoperto, giacché la scoperta implica la preesistenza eterna dei colori e della tela disposti in modo da raffigurare Monna Lisa, prima ancora che venga a nascere il soggetto raffigurato, cioè Monna Lisa in carne ed ossa?57

Dunque secondo Trivedi (2002) e Nussbaum (2003) l'appello all'unità della musica con le altre arti smentisce il fatto che la composizione sia una scoperta, e conferma invece che sia una creazione. Tuttavia per Dodd la musica è un caso particolare, perché mentre il pittore crea un particolare con- creto, il compositore scopre un universale astratto (Dodd 2002, 383). Quindi, per Dodd, non c'è unità tra le arti; e allora alcune possono richiedere una creazione, altre una scoperta.

Ecco per me un altro lampante caso di confusione tra l'estetica e la metafisica. Perché si ritiene che la musica sia metafisicamente diversa dalle altre arti? La confusione potrebbe nascere dal fatto che il materiale della musica, il suono, sia evanescente e non tangibile. Ma questo è falso. Infatti il suo- no viene memorizzato nella mente o registrato su vari supporti. Inoltre anche arti performative come il teatro, perfino lo sport, hanno il problema dell'evanescenza (Fischer-Lichte 2004). In terzo luogo il suono ci investe tattilmente con varia forza: certe volte sentiamo “un muro di suono”, che fa risuonare tutto il nostro corpo nelle viscere – accade in discoteca, per esempio, o laddove c'è un'acustica ricca di basse frequenze.

Forse la differenza tra la musica e le altre arti sta nel problema della riproducibilità a partire da un originale? Non direi, anche le altre arti performative hanno questo problema. La storia della pittura presenta numerosi casi di contraffazione, che, nonostante siano ontologicamente diversi dal caso della riproducibilità, possono essere comunque ricondotti al problema della ripetibilità. E che dire poi della riproducibilità tecnica nella fotografia e nel cinema, a proposito della quale Benjamin (2000) ha dedicato la sua ricerca?

Dal versante dell'intuizione pratica, pertanto, potrei di sicuro affermare che i compositori non sco- prono alcunché. Al massimo concedo che essi non scoprano altro che ciò che è messo insieme sta “bene”. In questo caso scoprono qualcosa come la salienza estetica della composizione, a posterio- ri. I compositori dicono: abbiamo scoperto certe soluzioni formali, abbiamo scoperto certe melodie, ecc. Questo consueto modo di esprimersi non ha rilevanza pratica se non nella sua parafrasi espli-

57 Per questo motivo di senso comune Levinson mitiga il suo platonismo con il creazionismo; invece Dodd, più rigida- mente, fa dire al senso comune che basta l'attributo di creatività, più che il concetto di creazione, e pertanto si mette nell'ottica di correggere la pratica linguistica comune a partire dalla sua teoria metafisica.

cativa: abbiamo scoperto che ciò che abbiamo escogitato, messo a punto, messo insieme... sta bene, è efficace, funziona, è bello, è fecondo, ecc.58

Ma come mettono insieme o a punto i suoni? Con prove ed errori, con tentativi riusciti ed aborti. Spesso, di getto. Oppure con regole pratiche (rules of thumb) o regole più astratte, matematico-filo- sofiche – come la serie dodecafonica, il principio della musica spettrale o le regole che ci si dà nel- la free improvisation (Fisher 1991, 131-132). Anche Schönberg, il quale parla della composizione come di “un'improvvisazione rallentata” ammette implicitamente, con questa definizione, che pri- ma si suona e poi si annota nella partitura: dal particolare concreto alla notazione astratta.

Un sostenitore del discovery model continuerebbe a ribattere che in realtà la composizione è solo una giustapposizione di pure, astratte, eterne strutture sonore scoperte. Direbbe che ciò che si suona e poi si annota, durante l'atto compositivo, è scoperto perché dettato da forze soprannaturali o in- conscie. Persino Trivedi, che critica la scoperta, sembra acconsentire a questa proposta (2002, 77). Però quest'insistenza non viene mai giustificata. Ecco allora che dalla pratica si scavalla indebita- mente alla metafisica, cioè si cerca di aggiustare la pratica ad un'ontologia già delineata in cui le opere sono, metafisicamente, degli universali.

Cox (1985) per esempio leva il mantello metafisico della scoperta con un'argomentazione: le possi- bili combinazioni dei suoni sono pressoché infinite, scrive, e quando abbiamo possibilità pressoché infinite o infinite, diciamo che si tratta di creazione (come per Dio); inoltre, gli stili di combinazio- ne sono estremamente personali e soggettivi; e mentre l'essenza della scoperta è il quid scoperto, l'essenza della composizione è invece un'espressione personale. Ergo, la composizione è una crea- zione colorata soggettivamente.

Fisher (1991) e Nussbaum (2003) fanno un'operazione analoga a quella di Cox. Essi sostengono che la scoperta non porta all'esistenza la cosa, mentre la creazione sì. Quindi nella differenza sco- perta/creazione non c'è in gioco la creatività, ma l'esistenza del prodotto di scoperta o di creazione. In questo senso, l'analogia tra la scoperta di un teorema e la scoperta della Settima Sinfonia da parte di Beethoven è altamente discutibile: la prima scoperta identifica un fatto (matematico), la seconda no. E non serve nemmeno che il fatto scoperto sia eterno: ad esempio il detective scopre il killer, che esisteva comunque senza la scoperta, ma non esisteva eternamente. Secondo Sharpe (2001) la scoperta di fatti non fa assunzioni sull'intenzione dell'autore: cioè è possibile scoprire una cosa cre- dendo che si tratti di qualcos'altro. Ad esempio Colombo ha scoperto l'America pensando che si trattasse delle Indie. Quindi nella scoperta ci si può (intenzionalmente) sbagliare: ma ci si può sba-

58 In questo senso, la scoperta di aver fatto qualcosa di bello, piacevole, riuscito, efficace, ecc. non è equivalente alla scoperta di cui parlano Kivy e Dodd. Per loro la scoperta è di una struttura sonora in sé; quest'atto somiglia alla sor- presa di un ascoltatore o di un esecutore che per la prima volta si affacciano all'opera del compositore.

gliare con un'opera musicale? Non c'è, scrive Sharpe, una verità indipendente su cui misurare l'er- rore. La composizione è così com'è, e non è altro da sé.59

Trivedi (2002) Caplan e Matheson (2004) proseguono dicendo che è falso il presupposto metafisico platonista secondo cui un oggetto astratto non può entrare in una relazione causale con un concreto (cioè la persona che “compone”). Dodd (2002, 431-2) dà questo presupposto come fondamentale per la sua ontologia e ne deduce che un compositore non fa altro che accedere, scoprendola, a una struttura sonora eterna; ma chi l'ha detto, scrivono Trivedi, Caplan e Matheson, che non si possa en- trare in relazione con gli astratti?

Una risposta arriva, in contraddizione con sé stesso, anche da Kivy, che sembra essere il più vicino a Dodd. Per Kivy ad esempio abbiamo relazioni di tipo emotivo con l'opera, non con la sua perfor- mance. Trivedi è d'accordo e dice che abbiamo emozioni, stati mentali e cognizioni degli astratti. Per Caplan e Matheson abbiamo comunemente esperienza di astratti che entrano in relazione cau- sale: ad esempio le forze naturali portano ad esistere nuove creature, la Ford Motor Company fa esistere la Ford Thunderbird (che è un type individuale astratto), ecc. Un anti-creazionista come Dodd invece direbbe che il modello di automobile non è un type, ma un token, poiché ha parti ed è spaziotemporalmente locato. Dodd replicherebbe inoltre che l'obiezione va fuori pista. Dodd vuole negare la relazione causale che porta una persona a far esistere un astratto, non che si possa perce- pire questo astratto già esistente (sub specie aeternitatis).

Ma allora dove abita questo astratto? Da dove viene? (Trivedi 2002, 78-9). E anche se non viene creato può essere distrutto?60 Per Dodd domande del genere sono mal poste e inconcludenti. Per me

no: perché se devo essere convinto che gli universali esistono, vorrei almeno sapere come si fa a sa- perlo.

Sharpe (2001) si prende gioco di Dodd immaginando che Beethoven dica a Hummel di aver sco- perto il Trio Arciduca, e Hummel gli chiede: dove? Dietro all'armadio, risponde Beethoven.

Caplan e Matheson (2004, 118 e segg.) scrivono che non c'è nessuna giustificazione addotta dai platonisti che dimostri che l'opera sia un astratto, né un particolare né un universale. L'astrattezza è

59 Dodd non coglie il punto nella sua replica a Sharpe. Dodd (2002, 386) scrive che anche per la scoperta ci sono casi in cui non ci si può sbagliare: come quando si scopre una moneta per terra. Ma si scopre una moneta per terra? È questo il verbo che si usa? Non diremmo piuttosto che si trova una moneta, che ci si imbatte su di essa ecc.? Di so- lito diciamo che si “scopre” qualcosa che si cerca. Se andassimo in cerca di monete e ne trovassimo una, allora po- tremmo dire di averla scoperta. È strano che Dodd scelga questa via di risposta, perché la moneta, secondo la sua metafisica, è un particolare concreto, mentre la scoperta è riservata agli universali astratti. Dodd chiarisce che la scoperta scientifica e geografica sono scoperte per “inchiesta” (2002, 385 e segg.), mentre la scoperta di un univer- sale musicale è una scoperta creativa: ma dove sta precisamente la differenza?

60 Levinson sostiene che l'opera non può essere distrutta (Levinson “What a Musical Work Is, Again” 2011, 261-263), mentre Trivedi pensa di sì (Trivedi 2002, 77).

semplicemente postulata. E un astratto non deve per definizione essere avulso dallo spazio/tempo; questa caratterizzazione appartiene a priori all'anti-creazionista; ma un creazionista dirà che ci sono astratti causalmente legati, come gli eventi. Tirare un sasso causa la rottura della finestra. È un evento astratto, che fissa una catena spazio-temporale. L'improvvisazione, in quanto è un evento, potrebbe essere ritenuta un astratto causalmente legata, perché creata, all'opera di qualcuno. Ma non mi pare una via granché parsimoniosa per spiegare uno stato di cose.

Ricapitolando. La difesa della composizione come scoperta, qualora proceda per via pratica, non è abbastanza giustificata e, anzi, è contro-intuitiva. Qualora invece proceda per via teoretica, l'argo- mentazione non è irresistibile; ci sono buone ragioni teoretiche per descrivere la composizione come creazione. Potremmo credere che, fintantoché resta un mero gioco speculativo, si possa ac- cettare anche il modello della scoperta. Ma allora perché non accettare la composizione come crea- zione, a fronte di una speculazione diversa, che rispetto alla scoperta ha anche il vantaggio di ac- cordarsi con la pratica produttiva, valutativa e critica – per le altre arti e per la musica?

Nel documento Che cos'è l'improvvisazione musicale? (pagine 84-88)

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